Che fine fa l’industria degli elicotteri?

5 Ottobre 2015da admin

La sfida tra i grandi costruttori, la crisi nera dell’Offshore, l’arrivo di Lockheed Martin, le gare più importanti e i mercati emergenti: ecco come sta cambiando il volto del mercato dell’ala rotante.

Diciamo la verità: alzi la mano chi non è rimasto spiazzato dopo l’affare dell’anno, anzi del decennio, dell’industria degli elicotteri. Per chi ne fosse all’oscuro, stiamo parlando dell’acquisto di Sikorsky da parte di Lockheed Martin, un affare da 9 miliardi di dollari che ha proiettato sul mercato un nuovo gigante da 80 miliardi di fatturato annuo e mandato letteralmente in tilt le previsioni degli analisti.

Tra le mire espansioniste del colosso di Bethesda, sovraesposizione di programmi civili e militari, tagli alla Difesa e la crisi nera dell’Offshore, il grande domino dell’industria degli elicotteri sta cambiando faccia.

Ma non nella misura che ci si aspettava.

GUERRE DI MERCATO, GUERRE POLITICHE E GUERRE VERE

Il grande gioco dell’industria elicotteristica mondiale è un domino in cui lerelazioni internazionali hanno un elevato peso specifico. E soprattutto generano ricadute importanti su un’industria che conta su un’importante componente militare. Basti pensare alla guerra di posizione tra Stati Uniti eGermania. Una guerra di posizione sullo scacchiere globale per la leadership dell’Occidente e dell’Europa.

Per gli Usa una partita che era chiusa fin dai tempi della Seconda guerra mondiale e che si è, incredibilmente, riaperta con un l’unificazione tedesca prima e la guida indiscussa dell’Unione europea poi, da parte della Germania.

Oggi si assiste a un conflitto a bassa intensità diplomatica, ma di conflitto si tratta. Un corpo a corpo in cui l’ultimo episodio è lo scandalo che ha colpito laVolkswagen e che chiude un periodo di tensioni crescenti. Dalla crisi Ucraina, ai rapporti con la Russia, dallo spionaggio dell’NSA ai danni della cancellieraMerkel al modo di risolvere la crisi finanziaria Greca ed europea.

Che c’entra tutto questo con l’industria elicotteristica?

Semplice: il mercato dell’ala rotante è oggi dominato da cinque costruttori internazionali, un franco-tedesco Airbus Helicopters, due basati negli Stati Uniti, Bell Helicopter Textron e Sikorsky, un anglo italiano, AgustaWestland, eRussian Helicopters.

E le case diventano sei con la necessaria aggiunta, sul piano del settore Difesa, della statunitense Boeing (che produce l’AH-64 Apache).

Insomma il conflitto diplomatico tra USA e Germania è una guerra di mercato tra Airbus da una parte e Bell-Lockheed Martin-Boeing dall’altra. Una guerra senza esclusione di colpi. E con AgustaWestland che fa il “vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro”, per dirla con Manzoni. Cioè il ruolo del terzo incomodo molto fragile.

Un’azienda a guida italiana che, non potendo scegliere tra due alleati imprescindibili come Stati Uniti e Germania, prova a far da sola. Non è un caso che proprio pochi giorni fa Mauro Moretti, numero uno di Finmeccanica che controlla AgustaWestland, abbia detto al Corriere della Sera che “bisogna muoversi all’interno del rapporto tra gli Stati e sostenere – oltre alle Pmi e agli investimenti stranieri – anche le grandi imprese nazionali”. Tradotto: senza l’aiuto del governo rischiamo di trovarci in mezzo, di essere più deboli dei nostri concorrenti. Ecco spiegati gli esiti delle gare in Polonia, della presenza in Turchia, e via così.

Oltre alle guerre di mercato ci sono anche quelle vere (ISIS, Siria, Ucraina) e le emergenze umanitarie, come l’immigrazione. Su questo piano le aziende che hanno puntato su elicotteri duali, aeromobili progettati sia per l’impiego militare che per quello civile, hanno visto lungo. Oppure le aziende che hanno linee produttive simili che sfornano mezzi civili e militari molto simili, al netto dell’armamento.

LO SPETTRO DEL BRENT A 45 DOLLARI AL BARILE

Ma se la geopolitica è un ingrediente essenziale dell’industria degli elicotteri, ne esiste uno altrettanto importante e imprevedibile. Un elemento che condiziona le scelte dei costruttori e che grava pesantemente sui conti delle aziende: il prezzo del petrolio.

Gli analisti che Helipress ha interpellato, tra Germania e Stati Uniti, prevedono che il clima attuale di incertezza duri ancora a lungo. Nessuno immagina davvero uno shock sui prezzi – si parla di 20 dollari al barile – come, provocatoriamente, ha ipotizzato Goldman Sachs.

Piuttosto si ragiona su un barile di Brent che sicuramente al di sotto dei 60 dollari, così almeno la vede il Wall Street Journal in un’analisi di pochi giorni fa. E addirittura alcune fonti hanno confermato a Helipress che non è irragionevole immaginare il barile a quota 45 dollari, come suggerisceGoldman Sachs. È chiaro che in ballo ci sono molti fattori, come l’ingresso di futuri nuovi produttori nel mercato globale del petrolio come l’Iran, la decisione dell’Arabia Saudita di lasciare invariata la produzione, il rallentamento dell’economia globale e l´indebolimento di quella cinese, le scorte immense di Stati Uniti e Cina, la speculazione sulle materie prime e sul petrolio che è in ribasso.

Una cosa è certa: se si tiene conto del crescente ruolo del gas e delle energie rinnovabili, il petrolio, la cui importanza rimarrà sul medio periodo ancora cruciale, potrebbe non essere la materia prima del futuro.

Con un “breakeven price” per la profittabilità dell’estrazione dello shale oil (il petrolio ricavato dai pori delle rocce impermeabili) fissato a minimo 60 dollari le compagnie petrolifere, hanno chiarito gli analisti interpellati da Helipress, “hanno bisogno di un prezzo che sia quanto meno decisamente sopra i 70 dollari al barile per continuare a lavorare con prospettive di profitto sul petrolio difficile da estrarre (lo shale oil, appunto) o per far fronte al naturale declino di giacimenti tradizionali con sempre nuove trivellazioni”.

L’estrazione dello shale oil soffre più direttamente del basso prezzo del petrolio, ma i produttori possono reagire in maniera più flessibile alla riduzione del prezzo. È una caratteristica che non si riscontra nel settore dell’estrazione Offshore, nel Mare del Nord e soprattutto nelle acque profonde (deep water oil), che soffre per la rigidità dei contratti, per l’infrastruttura e per gli effetti di un prezzo al barile stabilmente al di sotto del “breakeven price”.

Tutti fattori che possono essere difficilmente compensabili con una immediata riduzione della produzione e che si accompagnano ad una decisa perdita di profitto sul medio periodo.

Cosa vuol dire tutto questo per l’industria?

Significa che l’Oil and gas, come segmento, va probabilmente ripensato nel suo complesso. I grandi margini di profitto che si ottengono dalla vendita (ai lessor) di macchine grandi e costose come i Super Puma, gli S-92, l’H175 o l’AW189, dai grandi flussi di cassa generati dai più che remunerativi contratti di manutenzione “Power by the hour”, potrebbero avere i giorni contati.

AIRBUS HELICOPTERS: POLONIA, INDIA E STATI UNITI

Airbus Helicopters non ha certamente esultato per l’affare Sikorsky-Lockheed. Il costruttore franco tedesco, sempre più dominatore in America Latina (dove più di un elicottero su tre è marchiato Airbus, anzi Helibras) e protagonista in Cina, aveva grandi piani per il mercato statunitense: da domani si troverà a dover affrontare in casa sua un colosso consolidato, forte dell’acquisizione di un contractor governativo affermato (Sikorsky detiene il 65 per cento della spesa programmata dal Pentagono per gli elicotteri) e un competitor dall’indole notoriamente aggressiva anche sui mercati internazionali.

Lo scettro del segmento civile resterà tuttavia saldamente nelle mani della casa franco tedesca anche per i prossimi anni. Airbus copre oggi il 44 per cento delle quote globali, più del doppio rispetto a quelle di Bell (la seconda potenza del mercato degli elicotteri civili) e l’affare Lockheed-Sikorsky non produrrà effetti significativi per il mercato civile globale per molti anni.

A uscire ridimensionate dalla calda estate americana, casomai, saranno le mire di Airbus sul segmento Difesa.

Dopo la complessa e ancora travagliata operazione in Polonia, dove l’H225Mè stato selezionato – non senza un lungo strascico di polemiche – come futuro elicottero utility delle forze armate di Varsavia, Airbus guarda infatti con interesse all’India, altro mercato dal potenziale “brasiliano”.

Ma si tratta di progetti a lungo termine, non dell’Eldorado americano e del suo imminente rinnovo dello sterminato parco macchine militare.

Dalle tasche della Difesa americana, infatti, appena un dollaro su 100 sarà dedicato ai progetti di Airbus.

FINMECCANICA-AGUSTAWESTLAND E GLI ALTRI: QUALE FUTURO

Diverso il discorso AgustaWestland. La casa anglo italiana, oggi al terzo posto delle quote del mercato civile (16 per cento), è attualmente impegnata in una fase di transizione che ha visto, proprio nelle ultime ore (con il sì del cda di Finmeccanica alla riforma Moretti) la nascita di una maxi conglomerata formata da più divisioni caratterizzate da un’autonomia inferiore rispetto al passato.

L’ascesa di Lockheed nel comparto civile non preoccupa, vista anche la mole di ordini accumulati da AgustaWestland. Il backlog attuale della casa di Samarate ammonta a oltre 12 miliardi di euro: in altre parole, si tratta di altri tre anni di produzione garantiti, una cifra che comprende i nuovi ordini che nel 2014 hanno superato quota 4 miliardi di euro.

Anche in questo caso è il segmento degli elicotteri militari a stentare. Archiviato il mercato statunitense, ormai una chimera per la casa anglo italiana, restava aperta la porta fondamentale del bando da 3 miliardi in Polonia: le carte in regola c’erano, l’elicottero pure (l’AW149), ma la gara è andata comunque al rivale Airbus.

Leggi anche: perché l’AW149 non ha vinto in Polonia

Il rischio, per AgustaWestland, è di restare schiacciata sull’asse Italia-Regno Unito, mercati che non possono garantire da soli una crescita del comparto Difesa del costruttore.

La verità è che se l’acquisizione di Sikorsky darà una spinta importante al futuro del costruttore americano, l’affare con Lockheed non servirà a risolvere il problema principale dell’industria degli elicotteri: ci sono troppi costruttori e tre di loro sono basati negli States, il tutto in piena epoca di tagli alle spese militari.

Sikorsky si è messa al riparo sulle spalle del gigante, ora non resta che vedere cosa succederà a chi non l’ha ancora fatto.

Fonte:hwww.helipress.it/

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