computer

21 Dicembre 2013

Attenzione, qualcuno può spiarti dalla webcam del tuo computer

Alcuni ricercatori della Johns Hopkins University hanno dimostrato che è possibile attivare la telecamera del laptop senza accendere la luce che segnala all’utente che è in corso una registrazione. I test sono stati fatti su MacBook precedenti al 2008, ma gli studiosi ritengono che tecniche simili possano funzionare anche in computer recenti e di diverse marche.

GUARDI LO SCHERMO del tuo laptop e forse dovresti dire “cheese“. Anche se non puoi saperlo. Sì, perché qualcuno potrebbe essere lì a spiarti, senza lasciar traccia alcuna. Come? Grazie alla webcam incorporata e soprattutto se il computer ha già diversi anni di vita. Per la prima volta due ricercatori della Johns Hopkins University, Stephen Checkoway e Matthew Brocker, hanno infatti dimostrato che è possibile controllare da remoto la telecamera di un MacBook e accenderla senza attivare la luce verde usata da Apple per segnalare ai suoi utenti che è in corso una registrazione. Il tutto riprogrammando un chip contenuto nel dispositivo, il micro-controller, e sfruttando un software chiamato Remote Administration Tool (RAT) che permette a chiunque di gestire un computer attraverso la Rete.

I test sono stati limitati a un determinato modello di webcam montate da Apple nel 2007 e nel 2008 “ma le stesse tecniche  –  sostengono in una mail a Repubblica.it gli studiosi  –  possono funzionare anche con macchine più recenti e di marche diverse”.  In altre parole: se nel tuo portatile c’è una videocamera, può capitare di essere esposto agli sguardi di occhi indiscreti. Una novità? Non esattamente, almeno non per gli “smanettoni”. È il 1998, quando il gruppo hacker Cult dei “Dead Cow” presenta a Las Vegas il primo “supporto remoto”, BackOrifice: un RAT dalle capacità elementari. Screenshot dello schermo, trasferimento dei file, riavvio della macchina: sono solo il primo passo per arrivare al pieno controllo del sistema infettato. Compresa la telecamera interna. Oggi non è più un segreto che i criminali informatici, e gli agenti federali, siano in grado di osservare i nostri spostamenti da quel piccolo occhio robotico posizionato sopra i monitor: nel 2009  –  ad esempio  –  l’Università di Toronto ha rivelato che il governo cinese se ne è servito persino per sorvegliare i monaci tibetani, incluso il Dalai Lama.

Ma, finora, a contrastare le intrusioni massicce nei nostri computer hanno pensato i LED: le spie luminose pronte alla difesa della privacy, in grado di arginare la curiosità dei voyeur 2.0, lampeggiando non appena l’apparecchio si accende. Una sorveglianza quasi infallibile secondo il parere sia degli utenti sia delle compagnie hi-tech. Ma in agosto la loro efficacia è stata messa in discussione dalla testimonianza di Cassidy Wolf, la Miss Teen Usa, vittima di un ricattatore che, controllando il suo pc, è riuscito a scattarle delle foto mentre era nuda nella sua stanza. “Non ero consapevole che qualcuno mi stesse spiando“, ha dichiarato Wolf al The Today Show. “Non ne avevo idea, la luce della webcam non si è mai accesa”. Increduli? “Ora, per la prima volta, una ricerca dimostra pubblicamente che tutto ciò è possibile e come”, scrivono Ashkan Soltani e Timothy Berners Lee sul Washington Post, il primo a dare notizia dello studio di Checkoway e Brocker.

Per la precisione, a essere analizzate nel report dei due statunitensi, sono le iSight webcam installate nella prima generazione di prodotti Apple, compresi iMac G5, MacBook e MackBook Pro. Tutti fabbricati prima del 2008. Dei dispositivi dotati di un “hardware interlock” tra la webcam e il LED che non permette alla videocamera di attivarsi senza avvisare l’utente. Un sistema apparentemente perfetto ma che i due studiosi sono riusciti ad aggirare, consentendo a camera e luce di accendersi indipendentemente uno dall’altro. Spiega Checkoway: “I computer moderni sono una collezione di diversi dispositivi connessi tra loro, ognuno dei quali ha il suo processore”. Gli fa eco Charlie Miller, esperto di sicurezza per Twitter. “C’è più di un chip nel tuo computer. C’è un chip nella batteria, c’è un chip nella tastiera e un chip nella telecamera”.

Ed è proprio questa separazione che ha consentito ai ricercatori di riprogrammare il micro-controller dell’iSight e bypassare il sistema di sicurezza progettato dall’azienda di Cupertino, i cui responsabili – contattati lo scorso 16 luglio – non hanno voluto commentare questo teste. “Nessun informazione riguardo a possibili piani di mitigazione”, chiariscono Checkoway e Brocker. “Abbiamo sviluppato, e pubblicato gratuitamente, un codice sorgente che può rallentare gli attacchi ma non bloccarli in ogni caso”.  Non solo. Sistemi di controllo remoto più raffinati  –  avverte Morgan Marquis-Boire, un ricercatore dell’Università di Toronto – potrebbero già essere in grado di disattivare il LED. Come proteggersi, allora, dal pericolo di un’invasione? Scherza Miller: “La cosa più sicura da fare è mettere del nastro adesivo sulla camera”. 

Fonte:www.repubblica.it


18 Dicembre 2013

Uno studio dell’agenzia statunitense per il volo parla chiaro: la tecnologia e il ricorso ai sistemi di guida automatica stanno erodendo le competenze dei comandanti. Poco reattivi e disabituati a impugnare la cloche, non padroneggiano le ultime novità dell’elettronica di bordo.

C’E’ UN RAPPORTO che, per chi ha paura di volare, rischia di peggiorare la situazione. Altro che smartphone sempre accesi: sono ben altre le preoccupazioni. Si tratta di uno studio, predisposto dalla potentissima Federal Aviation Administration statunitense, che racconta in 277 dettagliatissime pagine come la tecnologia abbia reso i piloti degli aerei poco reattivi. Non solo: i capitani che ogni estate ci portano in viaggio per il mondo sono ormai dipendenti dagli stessi sistemi automatici di cui i loro mezzi sono zeppi e dei quali tuttavia faticano a padroneggiare i più recenti aggiornamenti. Senza contare la massiccia presenza di tecnologia che ormai ha relegato la cloche praticamente ai soli decollo e atterraggio – che sta producendo un effetto deleterio sulle abilità di guida manuale dei velivoli.

Ad anticipare l’inquietante indagine, che sarà diffusa in settimana, è stato il Wall Street Journal. A quanto pare la Faa – che ha preso in considerazione oltre 9mila voli commerciali in tutto il mondo incrociando anche altri elementi come interviste e osservazioni dirette – ha sancito che i piloti stanno pian piano dimenticando come si conduce un aereo senza l’aiuto della tecnologia. Per esempio, “spesso si affidano troppo ai sistemi automatici e possono essere riluttanti a intervenire” o a disattivarli in circostanze rischiose o eccezionali. Quando invece la situazione andrebbe letteralmente presa in mano. Lo studio sottolinea inoltre come alcuni piloti “non abbiano conoscenze sufficienti e approfondite” per tenere sotto controllo la traiettoria degli apparecchi. Sul banco degli imputati diversi fattori che contribuiscono a questa sorta di inatteso digital divide fra le nuvole. Fra i motivi principali  i metodi di addestramento e il poco tempo a essi dedicato”.

Non è quindi una coincidenza che, fra le varie categorie d’incidenti esaminate dalla commissione di 34 esperti che ha compilato lo studio, in quasi due terzi dei casi i piloti abbiano avuto problemi sia nel controllo manuale del velivolo sia nell’uso dei computer di bordo. È il caso, tanto per citare un evento tristemente noto, della tragedia dell’Airbus A330 Air France in servizio fra Rio de Janeiro e Parigi, precipitato nell’oceano Atlantico il 9 giugno 2009. Oppure, fortunatamente con conseguenze assai meno gravi, del Boeing 777 della Asiana Airlines che lo scorso luglio si è schiantato all’Aeroporto di San Francisco in fase d’atterraggio.

Un bel grattacapo, insomma, se si considera che a produrre questa pressione sono proprio quei sistemi che, in fondo, hanno contribuito a elevare ai massimi livelli la sicurezza dei cieli, in particolare negli ultimi decenni. Il fatto è che, come fa notare lo studio dell’agenzia americana, con la sempre maggiore affidabilità dei motori e dei sistemi di gestione del volo, i comandanti impiegano la maggior parte del loro tempo nel cockpit a programmare e monitorare l’andamento di quegli stessi sistemi. Relegando il volo manuale ai pochi minuti iniziali o finali. Tuttavia l’eccessivo affidamento sui computer è stato da anni individuato dalla stessa industria aeronautica come un problema potenziale di portata molto ampia. Come se, spiega il documento, “la definizione delle normali competenze dei piloti fosse cambiata nel tempo“. Oggi il capitano è un manager di sistemi sottoposto a un bombardamento informativo che può condurlo in confusione, verso scelte sbagliate, aggravate dalla scarsa esperienza diretta sui comandi.

Niente paura, però. Nella stragrande maggioranza dei casi i piloti sono in grado di individuare e correggere le eventuali anomalie riscontrate nei sistemi prima che possano produrre conseguenze più gravi. Il vero rischio rimane, come spesso accade anche in altri ambiti, il fattore umano. Per esempio la loro passività, stando almeno a quanto racconta una parte del documento che raccoglie alcune interviste con gli addestratori. Quando i piloti devono passare alla guida manuale tendono infatti “a osservare quel che capita piuttosto che a essere proattivi” e prendere una decisione. Un atteggiamento che sembra appunto un’altra conseguenza diretta dell’ecosistema hi-tech nel quale vivono immersi ormai da anni. Come se fossero diventati più pigri. Anche a causa, secondo la British Pilots Association, delle troppe ore di volo sulle loro spalle. Da parte sua, la Faa ha pubblicato 18 nuove indicazioni per cercare di tamponare questo fenomeno. Vere e proprie regole per aiutare i piloti a recuperare le loro competenze di base: si va dall’invito ad allenarsi di più, tornando a sollecitare le proprie capacità manuali, alla progettazione di pannelli di controllo, console e cabine di pilotaggio “più comprensibili dal punto di vista dell’equipaggio” fino a esercitazioni più avanzate sulla complessità dei computer di bordo. Il rapporto consiglia infine ai piloti di allenarsi a far fronte a malfunzionamenti rari ma potenzialmente catastrofici “per i quali non sono previste procedure particolari“.

Fonte:www.repubblica.it


15 Settembre 2013

Alle Hawaii a zero dollari

Bella sorpresa per i viaggiatori di United Airlines che quando hanno fatto i biglietti si sono accorti che il loro volo era praticamente gratis. Un volo per Los Angeles intorno agli 800 dollari è costato poco meno di 10 dollari, così come una tratta per le Hawaii. La compagnia: “Onoreremo la vendita”

Roma, 14 settembre 2013 – Pensavano di sborsare circa 800 dollari e invece ne hanno spesi neanche 10. Bella sorpresa per i viaggiatori di United Airlines, una delle maggiori compagnie aeree statunitensi, che ieri nel prenotare e fare biglietti online hanno scoperto, arrivati al pagamento, che il loro volo era praticamente gratis.

Zero dollari, la tariffa applicata, e solo pochi dollari di tasse e commissioni. Un volo per Los Angeles con scali e interconnessioni, mediamente intorno agli 800 dollari, è costato così poco meno di 10 dollari. Così come una tratta per le Hawaii.
Nonostante l’inattesa ‘offerta’ sia stata causata da un errore del computer – riporta la BBc online – la compagnia aerea ha fatto sapere, con un tweet, che “onorerà” i biglietti emessi.
Ma ha, appena accortasi dell’errore, sospeso “temporaneamente” il suo sito web per riparare il meccanismo che ha consentito l’emissione dei biglietti scontatissimi.

Fonte:http://qn.quotidiano.net


SOCIAL NETWORKS

Seguici sui Social

Aeroclub Modena è presente sui maggiori canali Social. Per qualsiasi informazione non esitate a contattarci. Sapremo rispondere puntualmente ad ogni vostra necessità.