DC9

3 Marzo 2016

Contatti con Alitalia per inserire il ‘salottino’ che ospitò la celebre partita a scopone all’interno del Museo del Calcio di Firenzetwitta

ROMA – C’è un’immagine che vale un Mondiale e che presto potrebbe finire nel Museo del Calcio di Firenze.

In una foto d'archivio la storica partita a carte sull'aereo di ritorno da Madrid dopo la vittoria dell'Italia ai Mondiali del 1982, da sinistra Dino Zoff, Franco Causio, Sandro Pertini ed Enzo Bearzot. ANSA
In una foto d’archivio la storica partita a carte sull’aereo di ritorno da Madrid dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 1982, da sinistra Dino Zoff, Franco Causio, Sandro Pertini ed Enzo Bearzot. ANSA

Il DC9 che riportò a casa gli azzurri dell’82, rimasto celebre soprattutto per il famoso ‘scopone’ ormai passato alla storia tra Pertini, Bearzot, Zoff e Causio, potrebbe infatti presto atterrare nella Hall of Fame dei ricordi pallonari.

Quell’aeroplano va ora verso la demolizione, tra lo stupore generale, e per preservarne la memoria la Figcsta pensando di salvarne almeno un pezzo (il ‘salottino’ che ospitò i quattro giocatori di carte, seduti su 4 sediolini e un tavolino di legno davanti) così da ricreare quella scena all’interno del Museo del Calcio di Firenze.

È un’ipotesi ancora allo stato embrionale, confermano in Figc, ma che sta facendo capolino nei massimi vertici di via Allegri che hanno preso contatti con Alitalia per studiare una soluzione che preservi una parte della storia del calcio italiano.

Fonte:www.tuttosport.com/


7 Febbraio 2014

Mario Sardu, 62 anni di Riola, era il responsabile del centro radar di Marsala. «La notte del 27 giugno 1980 nel Tirreno erano in volo soltanto jet “amici”»

 

SASSARI. Il muro di gomma che protegge il segreto della strage di Ustica non è più da tempo un vergognoso bastione impenetrabile che respinge la legittima domanda di verità. È come se il cemento che per anni ha tenuto insieme bugie, complicità, omissioni e depistaggi si stia lentamente sbriciolando, facendo intuire lo scenario di guerra nel quale, il 27 giugno del 1980, finì il Dc9 Itavia, con 81 persone a bordo.

Così, proprio l’altro ieri, un altro mattone è caduto. Ad allargare la breccia è stato un ex maresciallo dell’Aeronautica sardo, Mario Sardu, 62 anni di Riola, che dopo oltre 33 anni ha deciso di rompere il silenzio, raccontando in una lunga intervista al quotidiano La Repubblica cosa vide e sentì la notte di Ustica. Quella notte maledetta Sardu era il responsabile del 35esimo Gram di Marsala, cioè il cervello del sistema radar militare che controllava il Tirreno e il canale di Sicilia.

Non sono verità sconvolgenti quelle che rivela Sardu, ma da lui arriva la conferma, forte e credibile, che il Dc9 Itavia fu abbattuto da un caccia della Nato. L’ex maresciallo prima di tutto smentisce quello che per anni ha costituito un comodo alibi per l’Aeronautica. E cioè che i radar erano impegnati in un’esercitazione Nato. Va da sè che così si trovava anche una giustificazione alla presenza di aerei da guerra dell’alleanza atlantica nel basso Tirreno. Ebbene Sardu dice invece che la sera del 27 giugno non era in corso alcuna esercitazione. La guerra simulata, in codice Synadex, era stata programmata per quella sera alle 21, ma non partì mai.

«Qualche minuto prima della caduta del Dc9 – ha detto Sardu – tutto il traffico era “friendly”, cioè erano in volo solo aerei amici». Una constatazione che ha il peso di un’accusa. Come dire: il Dc9 non può essere stato abbattuto da un aereo nemico, uno”zombi” come si dice nel gergo militare. Restano solo jet della Nato.

Sardu dice poi di non aver visto l’aereo dell’Itavia precipitare, scomparire dai monitor del centro radar, ma si accorse che a un certo punto la traccia non c’era più. Scomparsa. Sul chi può essere stato a lanciare quel missile che ha provocato la morte di 81 persone, l’ex maresciallo non azzarda conclusioni, ma è innegabile che restringe le possibilità.

Sta di fatto che lo scenario fatto intuire dall’ex sottufficiale sardo era stato in qualche modo anticipato nella primavera del 2011, quando la Nato aveva trasmesso un dossier alla procura di Roma in risposta alla rogatoria inoltrata circa un anno prima dalla magistratura italiana. I vertici dell’alleanza atlantica avevano trasmesso l’elenco delle tracce radar degli aerei militari che, la sera del 27 giugno del 1980, erano in volo nello spazio aereo italiano. Per alcuni velivoli mancherebbe ancora l’identificazione, ma tutto fa pensare che fossero cacciabombardieri francesi decollati dalla base di Solenzara, in Corsica.

Parigi ha sempre dichiarato che nella base dell’Armée dell’air di Solenzara il giorno di Ustica le attività erano state sospese alle 17. In precedenza, esattamente nell’ottobre del 1997, l’allora segretario generale della Nato, Javier Solana, aveva consegnato al nostro governo una documentazione nella quale si parlava di dodici caccia americani e britannici in volo quella tragica notte. Ma Solana omise di riferire di altri quattro aerei da combattimento. Si parlò anche allora della possibilità che si trattasse di aerei francesi, perché una registrazione radar di Poggio Ballone (Grosseto), stranamente non inghiottita dal gorgo oscuro nel quale sono svanite prove e testimonianze, indicava in Solenzara, in Corsica, la base di partenza dei quattro jet.

Per dire la verità, fu il generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, braccio destro di Carlo Alberto Dalla Chiesa nella cupa stagione del terrorismo, il primo a mettere in relazione Solenzara con la strage di Ustica. La sera in cui il Dc-9 dell’Itavia precipitò in mare, infatti, dalla base corsa partirono decine di caccia-bombardieri. Bozzo era là in vacanza con alcuni parenti, e fu quindi testimone dell’intenso traffico aereo di quella sera. La sua testimonianza casuale – durante un briefing in Calabria successivo a un sopralluogo del giudice Priore che indagava sul misterioso Mig-21 trovato sulla Sila – smentì clamorosamente il ministero della Difesa francese. Diventa così sempre più realistica la possibilità che il Dc9 Itavia si sia trovato al centro di un’operazione di guerra reale e non simulata. E anche sull’obiettivo di quell’operazione restano pochi dubbi: il colonnello libico Muahammar Gheddafi

Fonte:http://lanuovasardegna.gelocal.it


7 Febbraio 2014

"Ustica, solo aerei Nato in volo la notte della strage"

Il maresciallo che seguiva il traffico rompe il silenzio: ecco cosa accadde. C’erano solo velivoli “friendly” e un missile può essere lanciato anche da una nave

CAGLIARI – Tra i grandi misteri d’Italia, quello di Ustica è il più tormentato e affollato di bugie. Cosa davvero successe la notte del 27 giugno 1980 lo sanno in molti, ma tengono le bocche cucite o raccontano fandonie. C’è di mezzo la Nato, tante ragioni di Stato e ci sono le 81 vittime che viaggiavano a bordo di un DC-9 dell’Itavia.

Il maresciallo Mario Sardu, 62 anni, quella notte era il responsabile del 35esimo GRAM di Marsala, sede del centro militare di controllo radar, nome in codice “Moro”. Oggi è pensionato. Ed è arrabbiato con l’Aeronautica per problemi legati a scatti di carriera e ad avanzamenti di grado che non gli sono stati concessi. Ha fatto ricorso al Tar, ma è stato respinto. Stessa sorte col Consiglio di Stato. Ha scritto a Napolitano e al ministro della Difesa. Nessuno gli ha risposto.

Per 33 anni non ha mai rilasciato un’intervista. Questa è la prima. Ed è destinata a riaccendere polemiche. Perché il maresciallo spiega come il wargame Synadex, l’esercitazione simulata, non sia mai stata sospesa. Semplicemente perché non andò mai in esecuzione. Ai giudici, invece, i radaristi avevano detto che era stata “attivata”. E conferma l’ipotesi che ad abbattere il DC-9 non sia stato un aereo “nemico”.

“In quel momento, qualche minuto prima della caduta dell’aereo, tutto il traffico era friendly. Il settore (Martina Franca) ci disse non seguiteli più. Volevano che seguissimo le tracce in penetrazione (quella degli aerei non appartenenti alla Nato, ndr), perché quelle che avevamo identificato erano tutti amici. Quando facevamo l’esercitazione, cosa che accadeva almeno una volta alla settimana, si metteva il nastro Synadex di simulazione di guerra. L’operatore EM Ior era Tozio Sossio. Il simulato partiva alle 9, ma per 20-25 minuti lui non riuscì a mettere la scheda. Poi il settore ci disse “ripassiamo in reale”. Ma nel frattempo l’aereo era già caduto”.

Quindi non siete mai stati in simulato? La Synadex doveva attivarsi alle ore 19 Zulu, cioè alle 21 locali. Alle 21 e 13, quando avete dato lo “stop” non eravate ancora partiti, è così?
“Esatto! Non siamo neanche entrati in simulato. Queste cose le hanno prese tutte sottogamba, non le hanno mai considerate…”.

Perché non l’ha mai detto prima?
“Non ce l’hanno mai chiesto! Salvatore Loi era all’identificazione e girava la manopola su sim o su reale. Ma su reale non poteva più vedere il DC-9 perché era già caduto”.

Alle 20 e 59, per essere precisi. E voi stavate preparando la Synadex…
“Esattamente. Quando ci preparammo a passare in simulato gli aerei erano tutti identificati. Tutti amici. Noi eravamo della Difesa, non del traffico aereo. Dovevamo guardare dalla Libia, dalla Tunisia, dai paesi ostili… purtroppo non seguimmo più la traccia del Dc-9 per seguire il simulato”.

Ma il sergente Luciano Carico disse che sul sistema fonetico manuale aveva seguita la traccia del Dc-9 e l’aveva vista scomparire dal monitor.
“Quello che ha detto Carico non importa. Quando ci ha chiamato il giudice Borsellino a Marsala, lui e il tenente Avio Giordano, che non erano mai andati a Roma a deporre, parlavano tra di loro in corridoio e io dissi: ‘Signori miei, stiamo attenti perché voi alle consolle non c’eravate, c’eravamo io e Loi che abbiamo già deposto a Roma'”.

Lei questa cosa la fece presente durante il confronto?
“Certo, e il giudice istruttore Vittorio Bucarelli mi minacciò, disse che alzavo troppo la voce e che i carabinieri erano fuori, pronti a portarmi via…”.

Quindi l’aereo, da 26mila piedi, passò a zero. Colpito da un missile, secondo i giudici…
“D’accordo, ma il missile chi l’ha lanciato?”.

È quello che le chiediamo, era lei in servizio la sera della strage.
“Secondo lei chi può essere stato, se quella sera gli altri aerei erano tutti amici? Non certo un nemico…”.

Gli aerei militari erano marcati con lo strap, l’etichetta di colore rosso, avevano comunque un’autorizzazione di volo…
“Sissignore. Gli aerei non autorizzati invece, come quelli provenienti dalla Libia, venivano marcati zombi ed erano in giallo, perché considerati non alleati. Li tenevamo d’occhio, mentre gli aerei amici non li guardavamo neanche”.

C’erano aerei, in quella zona, la sera del 27 giugno 1980?
“Come dissi all’epoca, un caccia, un aereo militare, è piccolo, a differenza di un aereo civile. Se non si accendono i codici, i famosi IFF/SIF, rischi di non vederlo. Più basso vola, meno possibilità ha di esser visto dal radar. I militari dovevano accendere tutti e tre i codici IFF/SIF 1,2,3; mentre gli aerei civili solo il 3. Se sono friendly, volo basso e non accendo i codici, non vengo visto dal radar. E poi, non sono solo i caccia a lanciare i missili, ma anche
le navi… quindi non dirò che non c’erano altri velivoli. C’erano eccome, ma erano tutti friendly”.

Facciamo un’ipotesi. Se caccia francesi Mirage, in formazione, partivano da Solenzara, in Corsica e volavano bassi, quante probabilità avevate di vederli?
“Se volavano bassi noi non li vedevamo! Avrebbero consumato il doppio del carburante… come fece quel Mig precipitato in Calabria, ma loro, i francesi, sarebbero potuti rientrare alla base: avrebbero avuto abbastanza autonomia. I libici, no. Poi c’erano gli americani. Quelli di Sigonella o quelli stanziati a Cagliari quando andavano verso la Tunisia o il Marocco, per fare attività anti-sommergibile, volavano bassi e non li vedevamo. Al ritorno, però, si alzavano, volavano più in alto per consumare meno carburante, e a quel punto ci apparivano sul radar. Spesso facevamo decollare i nostri F-104 da Trapani Birgi. Al che loro, sentendo che partivano gli intercettatori, accendevano finalmente i codici. Furbi, gli americani, li accendevano solo all’ultimo…”.

E le portaerei?
“Quelle americane che navigavano in mezzo al Mediterraneo ovviamente non le potevamo vedere, se da quelle si alzava in volo uno solo o più velivoli non potevamo saperlo, valeva sempre la storia dell’1+. Erano libere di scorrazzare. Ci avvertivano soltanto dell’eventuale presenza di sommergibili russi. La portaerei di Napoli, però, dubito avesse i radar. Noi eravamo nel pallone, ma non avevamo i radar spenti… “.

Che sfortuna, proprio in quei quaranta minuti…
“Gheddafi si salvò nell’86 un giorno che il radar di Marsala era in avaria e il radar di Siracusa in manutenzione, o viceversa, non ricordo bene. Nell’85 aerei israeliani rasero al suolo la caserma dove si diceva fosse Arafat, lo mancarono d’un soffio. Ora, gli israeliani andarono e tornarono indisturbati, proprio in quel momento in cui non potevamo vederli. Qualcosa dovevano sapere. Guarda caso agirono quando entrambi i radar erano in avaria… “.

Fonte:www.repubblica.it


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