Donald Trump

14 Novembre 2016

Il neo Presidente degli Stati Uniti potrà usare solo l’Air Force One e il Marine One ma possiede anche una flotta personale: ecco quali sono e quanto hanno pesato nella strada verso la Casa Bianca.

Che fine farà il Trump Force One ora che Donald Trump è stato ufficialmente eletto 45° Presidente degli Stati Uniti?

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Forse non tutti sanno che il tycoon statunitense possiede una flotta mista di aerei e elicotteri (cinque aeromobili in totale, tre ad ala rotante) che hanno giocato un ruolo decisivo nella sua campagna elettorale, macinando chilometri senza sosta dalla West Coast alla East Coast per supportare Trump nella sua strada verso la Casa Bianca.

Non è chiaro quale sarà il destino degli aeromobili di Donald Trump: dal suo insediamento in avanti, il neo presidente potrà infatti impiegare esclusivamente l’Air Force One e il Marine One per gli spostamenti aerei: ecco la sua flotta da privato cittadino.

LA FLOTTA DI DONALD TRUMP
Il neoeletto Presidente degli Stati Uniti conta su una flotta di Boeing 757, jet Cessna Citation X e di Sikorsky S-76B. La particolarità della flotta di aerei e elicotteri di Donald Trump è senza dubbio nell’età media degli aeromobili (20 anni, una rarità tra i super ricchi d’America) e nei sontuosi allestimenti custom degli interni.

 

https://youtu.be/0Tmbn5QMIlw

Fino a ieri l’aeromobile preferito da Donald Trump era il suo Boeing 757 (soprannominato Trump Force One): prodotto nel 1991 (e acquistato dal neo presidente nel 2009) il 757 ha anche prestato servizio per qualche anno come aereo di linea in Messico prima di passare tra le mani del miliardario Paul Allen, uno dei fondatori della Microsoft.

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Il bireattore può accogliere a bordo un massimo di 200 persone ed è stato al centro di un eccentrico progetto di rinnovo degli interni che ha visto l’installazione di una stanza da letto e di rifiniture in oro a 24 carati. Lusso anche nelle toilette: le tavolette dei WC, si legge su un focus del New York Times, sono state rivestite di pelle Edelman, la stessa utilizzata per le sedie dello studio della figlia Ivanka.

Nonostante lo sfarzo, la scelta del Boeing 757 (un aeromobile di vecchia concezione) è piuttosto insolita per un uomo da 11 miliardi di dollari.

Più che per veri e propri spostamenti all’estero, piuttosto rari, Trump ha però spesso utilizzato il 757 come testimonial del suo brand e della sua capacità di fare affari: negli anni ‘80 acquistò un Boeing 727 del 1968 da una compagnia sull’orlo del fallimento per una manciata di dollari, risparmiando considerevolmente sull’acquisto di un jet privato di nuova costruzione.

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GLI ELICOTTERI DI DONALD TRUMP
Oltre al Boeing 757 e al Cessna Citation X, Donald Trump è un grande estimatore del costruttore nazionale Sikorsky: possiede tre elicotteri Sikorsky S-76B immatricolati tra il 1989 e il 1990 e acquistati a più riprese tra gli anni ‘90 e il 2014. Gli aeromobili sono stati protagonisti a più riprese nella campagna elettorale del tycoon e hanno giocato un ruolo importante nella pubblicizzazione del brand Trump.

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Uno degli aeromobili è stato anche protagonista di un progetto di rinnovo degli interni, una sorta di “Pimp my Chopper” prodotto dalla CNBC.

 


Tra gli spostamenti in elicottero più noti autorizzati dalla FAA ci sono il trasporto dei bambini alla Iowa State Fair e il noto volo dalla Florida alle Bahamas del 2015 per festeggiare il capodanno con la famiglia.

Il valore medio degli aeromobili si aggira intorno gli 850mila dollari, in linea con la policy di “usato sicuro” intrapresa da Trump per i suoi mezzi personali. Il Sikorsky S-76B di costruzione più recente è stato inviato in Scozia nel 2015 ed è impiegato per il trasporto dei clienti del lussuoso Trump Turnberry Resort.

FONTE:www.helipress.it/


9 Novembre 2016

Una vittoria clamorosa, un trionfo che può segnare una svolta epocale nella storia. La via da percorrere per raggiungere la Casa Bianca era strettissima, ma Donald Trump l’ha sfondata come un caterpillar, prendendosi praticamente tutti gli Stati in bilico.

“Io non sono un politico. I politici parlano ma non agiscono. Io sono il contrario” disse all’inizio della corsa presidenziale. Mai come questa volta si può parlare di un “self made president”.

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Si è fatto da sé come imprenditore di successo – dai borough del Queens alla Trump Tower della Manhattan più glamour – tanto ricco quanto discusso.

 

Si è conquistato da solo la presidenza degli Stati Uniti, spazzando via tutto e tutti: non aveva al suo fianco l’establishment del Partito Repubblicano, mai così freddo con un suo candidato, tentato addirittura di abbandonarlo nel corso della campagna. Non ha mai avuto al suo fianco la stampa, ostile al punto di demonizzarlo tanto in patria quanto all’estero.

Non ha avuto il sostegno delle cancellerie estere e degli operatori finanziari internazionali, che salvo rare eccezioni hanno sostenuto la corsa di Hillary Clinton. Ha fatto a meno della spinta dei vip americani, attivissimi negli endorsement a favore dell’ex first lady per tutta la durata della campagna elettorale e fino all’ultimo giorno. Non ha potuto contare sul presidente uscente Barack Obama e anche questa si è rivelata un’arma a suo favore, perché gli Usa hanno voltato le spalle all’esperienza democratica.

 

La vittoria di Trump fa letteralmente saltare il banco. Ha smentito le previsioni dei sondaggisti, che lo hanno visto sempre indietro, pur registrando una rimonta nelle ultime settimane, a dimostrazione ancora una volta dell’incapacità dei sondaggi di leggere fino in fondo gli umori della gente, negli Stati Uniti come altrove in passato.

Ha cancellato mesi di campagna attiva della stampa americana e internazionale, mai così schierata in una corsa presidenziale e mai così compatta a sostegno di Hillary Clinton: solo due testate statunitense si sono schierate con il candidato repubblicano, contro 57 esplicitamente al fianco della candidata democratica, il numero di endorsement più basso per un candidato nella storia americana.

Anche per la stampa sorge un interrogativo quasi esistenziale sulla capacità di analisi del sentiment popolare, sulla lettura del malcontento delle aree rurali, delle zone industriali, della working class sempre più impoverita e ansiosa di cambiamento.

Il trionfo di The Donald è una sconfitta cocente per Hillary Clinton, che si è rivelata un candidato debole e poco amato. Si dice negli Usa che per vincere un candidato deve essere empatico, deve risultare simpatico e vicino alla gente: questo non è mai riuscito a Hillary, ma non è solo questo. Hillary è stata considerata come il vecchio, la continuità, l’establishment, è stata considerata Clinton III, esponente della Dynasty che ha già eletto due volte il marito Bill.

La sua sconfitta è anche e soprattutto il fallimento politico di Barack Obama e della sua avventura politica nata sotto il segno del “change”. Un cambiamento che diede la vittoria all’outsider del 2008, ma che l’America profonda (e non solo) non ha visto nelle proprie tasche e non immagina nel proprio futuro.

Donald Trump si è fatto largo con posizioni estreme, che non hanno spaventato l’elettorato. Estreme contro i migranti, dal muro al confine col Messico ai controlli severissimi sui musulmani.

Estreme in economia, con la promessa di una riduzione generale delle tasse, specie per le aziende, e l’abolizione dell’Obamacare da sostituire con una soluzione mercatistica, con la riduzione delle regolamentazioni e un piano per l’aumento dell’occupazione, con la battaglia contro le delocalizzazioni delle grandi aziende e la revisione dei grandi accordi commerciali in chiave anti-globalizzazione.

Estreme in politica estera, con una mano tesa alla Russia di Vladimir Putin ma anche con l’intenzione di ridurre il peso degli Usa come gendarme del mondo. Nemmeno le sue posizioni sconce e imbarazzanti sulle donne o le affermazioni indigeribili per i latinos hanno interrotto la sua corsa.

Neanche le indiscrezioni sui suoi problemi con il fisco hanno scalfito a sufficienza la sua immagine.

Trump ha trionfato nelle aree del Paese a forte presenza di elettori bianchi, mentre Clinton non è riuscita ad attirare i voti delle minoranze che furono la chiave dei successi di Obama. Analizzando gli exit poll, il Washington Post sottolinea come Clinton abbia registrato un vantaggio di 54 punti tra gli elettori non bianchi, un vantaggio enorme ma inferiore a quello registrato da Obama, il 61%. Al contrario Trump ha ottenuto il 60% del voto degli uomini bianchi, ed ha vinto anche tra le donne bianche, ottenendo il 52%. E nonostante gli scontri intestini della campagna elettorale, il tycoon avrebbe conquistato l’88% del voto repubblicano, con il massiccio 78% degli evangelici.

Alla Casa Bianca va Donald Trump e il nuovo presidente non deve ringraziare nessuno. Con il Congresso in mano repubblicana avrà mano libera per incidere profondamente sugli Stati Uniti d’America. Avrà davanti un paese lacerato e in una profonda crisi sociale che, se non saprà ricucire, rischia di diventare dirompente. L’8 novembre 2016 è definitivamente una data che può stravolgere la storia.

Fonte: www.huffingtonpost.it/


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