missili

8 Aprile 2016

Lo ha annunciato il vice ministro della Difesa della Federazione, Yuri Borisov.

aeruss

Tutti gli aerei civili russi potrebbero essere equipaggiati con un sistema di difesa contro i missili spalleggiabili (Manpads), usati dai terroristi.

Ritengo che in futuro tutti i nostri aerei statali e possibilmente quelli dell’aviazione civile saranno equipaggiati con questo sistema, a seguito degli attacchi terroristici che stanno avvenendo a livello mondiale — ha spiegato visitando la fabbrica ottica e meccanica di Kazan. — Di conseguenza, saranno protetti contro gli attacchi Manpads”.

Fonte: it.sputniknews.com/

 



Preoccupazione degli Usa. Il segretario di Stato Kerry: «Forniture di armi al regime di Assad un pericolo per Israele»

Rimane alta la tensione sulla Siria. Dopo le polemiche per l’annuncio di Assad di aver ricevuto da Mosca i primi missili terra-aria anti-aerei a lungo raggio (gli s-300), si torna a parlare dell’accordo sugli armamenti tra Mosca e Damasco.

 

MIG 29 – In particolare Serghiei Korotkov, direttore generale della compagnia russa Mig, ha annunciato che consegnerà oltre 10 aerei da combattimento Mig-29 MM2, nel rispetto di precedenti contratti. «Attualmente c’è una delegazione siriana a Mosca che sta negoziando i dettagli dell’accordo», ha affermato.

MISSILI – Riguardo alla fornitura dei missili anti aerei, Mosca difficilmente li consegnerà  alla Siria prima dell’autunno. A dirlo è una fonte dell’industria bellica che ha parlato con l’agenzia di stampa russa Interfax, aggiungendo che la tempistica per la consegna, che allarma i governi occidentali, dipenderà  dallo sviluppo della situazione in Siria. «La decisione della Russia di fornire missili al regime siriano di Assad – ha precistao il segretario di Stato Usa John Kerry – ha un impatto profondamente negativo sulla regione e mette Israele in pericolo».

LA CONFERENZA – Intanto la strada verso la nuova conferenza di Ginevra appare sempre più irta di ostacoli. Se una fonte del ministero degli Esteri russo ha annunciato una prima riunione di rappresentanti di Mosca, degli Usa e dell’Onu il 5 giugno nella città svizzera, a Istanbul le varie anime della Coalizione delle opposizioni, dopo giorni di estenuanti discussioni, hanno trovato un primo punto di accordo ponendo due condizioni per partecipare ai negoziati che difficilmente potranno essere realizzate: che l’iniziativa di pace garantisca la partenza di Assad e, ancor prima, che le milizie di Hezbollah si ritirino dalla Siria, insieme con quelle iraniane di cui ‘opposizione denuncia la presenza. Assad ha risposto che non se ne andrà. Anzi, potrà ripresentarsi candidato anche alle presidenziali del 2014.

SCONTRI – Intanto in Siria le truppe governative avrebbero attaccato un convoglio che vicino a Qusair tentava di portare in salvo feriti, uccidendo sette persone e ferendone decine. La notizia è stata diffusa dagli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. Hadi Abdullah, attivista con base nella città vicina al confine con il Libano, ha dichiarato via Skype ad Associated Press che a Qusair almeno 800 persone sono ferite e alcune necessitano di «operazioni urgenti». Le truppe governative di Damasco, appoggiate da militanti del gruppo libanese Hezbollah, stanno tentando di prendere il controllo della città, in una offensiva iniziata circa due settimane fa. Decine di militari, combattenti di Hezbollah e ribelli sono rimasti uccisi negli scontri.

Fonte:www.corriere.it



Gli ordigni «come test» verso il mar del Giappone. Pechino preme per rimpiazzare il ministro della Difesa di Pyonyang

Era scomparso dai titoli dei giornali asiatici e occidentali da qualche settimana. Evidentemente Kim Jong-un, trentenne dittatore della Nord Corea ama la ribalta: sabato mattina ha rotto il silenzio facendo lanciare tre missili a corto raggio dalla costa orientale: l’allarme è stato dato dall’agenzia sudcoreana Yonhap, su informazioni del ministero della Difesa di Seul. Due ordigni sono stati sparati verso il mar del Giappone al mattino (quando in Europa era ancora notte) e uno nel pomeriggio ora locale.

 

ESERCITAZIONI – Le esercitazioni con Scud a corto raggio sono diventati ormai routine nella strategia della tensione instaurata da Kim Jong-un da quando ha ereditato il potere dal padre Kim Jong-il, morto nel dicembre del 2011. Ma qualcosa forse sta succedendo a Pyongyang: dopo le settimane di minacce durante le quali il regime ha stracciato la tregua con la Corea del Sud e chiuso l’area di cooperazione industriale speciale di Kaesong, il solo risultato è stato la condanna unanime da parte della comunità internazionale. Compresa la Cina, unico alleato importante del «regno eremita». Improvvisamente Kim è tornato in un cono d’ombra, abbandonando apparentemente i progetti di guerra. E qualche giorno fa la Corea del Nord ha silurato il suo ministro della Difesa, un duro che nel 2009-2010 era stato lo stratega degli attacchi contro obiettivi sudcoreani. Fonti di intelligence hanno detto alla radiotv tedesca Deutsche Welle che la Cina sta lavorando per sostituire Kim alla guida della Corea del Nord. Il rimpiazzo dovrebbe essere un altro Kim, il fratello maggiore Kim Jong-nam, 42 anni, che era l’erede designato ma nel 2001 fu bruciato quando si fece scoprire a Tokyo, con passaporto falso, nello stravagante tentativo di andare a visitare Disneyland.

LE PRESSIONI DI PECHINO – I segnali della pressione di Pechino su Kim sono diversi: dal blocco dei rapporti finanziari con la banca nordcoreana che riforniva di valuta il regime, all’improvviso siluramento del ministro della Difesa A Kim Jong-un, secondo queste fonti, verrebbe garantito esilio di lusso con la moglie in Cina. Qualcosa si sta muovendo nel Paese più difficile da interpretare del mondo: il giapponese Abe ha spedito il suo consigliere più fidato a Pyongyang (il leader nazionalista sul fronte nordcoreano è solidale con Seul e Pechino). E a Pechino è appena venuto il responsabile del Dipartimento di Stato Usa per la Nord Corea.

Fonte:www.corriere.it



Una flotta verso Tartus.
Usa e Israele preoccupati
Più difficile l’intervento
anche la Turchia ora frena.

 

di Francesca Paci

Roma

In Siria è l’ora della Russia. La recente processione di leader mondiali al Cremlino – dal premier israeliano Netanyahu al segretario di stato Usa Kerry, dal primo ministro britannico Cameron a Mr Onu Ban Ki-moon – illustra meglio di qualsiasi analisi il nuovo ruolo di Mosca che, dopo aver scongiurato il bis della marginalizzazione seguita all’intervento in Libia, si gode la rivincita dialogando da un lato e dall’altro mostrando i muscoli.  

La Casa Bianca, restia a impelagarsi in quella Siria che a detta del think tank Pew la metà degli americani non sa dove sia, ha puntato sulla Russia per il successo della conferenza di pace «Ginevra 2» nonostante i musi lunghi di Israele e dei paesi sunniti del Golfo (più interventisti). Ma Obama non deve aver gradito lo scoop del «New York Times» secondo cui uno degli ultimi carichi di armi diretti da Mosca a Damasco conteneva un’avanzatissima versione di missili Yakhnot con un sistema radar capace di neutralizzare tanto un blocco navale quanto l’ipotetica no fly zone imposta da una forza internazionale (diversamente dagli Scud usati contro i ribelli, gli Yakhnot sono mobili e molto difficili da attaccare). Solo pochi giorni fa Netanyahu aveva invano chiesto a Putin di non inviare ad Assad gli assai meno potenti missili terra-aria S-200.  

Da mesi, approfittando dello stallo di una guerra che nessuno sa vincere (nonostante i 3 miliardi di dollari versati dal Qatar all’opposizione), Mosca si rafforza nella regione. A gennaio ha effettuato una mega esercitazione nei mari Nero e Mediterraneo con due dozzine di navi militari. A febbraio ne ha dispiegate 4 al largo della costa siriana: oggi, sostiene il «Wall Street Journal», ne tiene 12 davanti alla base di Tartus. 

Sebbene il ministro degli esteri Lavrov ripeta che la Russia non farà «accordi segreti sulla Siria in cambio di concessioni occidentali», il Cremlino sembra meno rigido del passato. Sul cambio di regime, per dire, frena gli americani ma non pare più tanto affezionato ad Assad. Come «conditio sine qua non» per esserci, Mosca pone invece l’apertura di «Ginevra 2» a Riad ma soprattutto a Teheran scontrandosi su questo con la Francia (ostile a includere l’Iran). 

La Siria è diventato un buco nero che dopo aver inghiottito almeno 90 mila vittime, 1,5 milioni di profughi, danni per 80 miliardi di dollari, sta tirando dentro i paesi confinanti e oltre. La Turchia, partita alla grande a fianco dei ribelli, rallenta il passo, consapevole che senza il sostegno Usa potrebbe essere il grande perdente della crisi siriana. Così, di fronte al rischio di perdere la leggendaria stabilità che in passato le ha garantito una crescita del 7,5%, Ankara «accetta» la Russia, unica potenza regionale con un’economia e un esercito superiori (l’alternativa sarebbe una zona cuscinetto al confine turco). Inoltre, nota l’esperto Soner Cagaptay, un’escalation dissolverebbe i sogni presidenziali di Erdogan.  

Poi c’è Israele, per cui gli Yakhont sono il primo serio sforzo siriano di sfidare la propria marina dalla guerra dal 1973. La tentazione di far da sé, come con i bombardamenti di aprile per evitare il passaggio di armi a Hezbollah, c’è, lo prova il video di Fox News con il commando israeliano di ritorno nel Golan dopo una missione in Siria. Ma in un blitz a Gerusalemme il direttore della Cia Brennan ha insistito per il rispetto della linea americana.  

Il tempo di agire è ora. Perché Assad, rinvigorito dai missili russi e dalla riconquista di postazioni importanti come l’arteria di Khirbet Ghazaleh che controlla le armi inviate ai ribelli dalla Giordania, si mostra più sicuro (anche la moglie Asma è ricomparsa su Facebook). Perché l’opposizione è sempre più divisa e tra i combattenti guadagna terreno la frangia irachena di Al Qaeda, quella ancora più estremista di Al Nusra. Perché Human Rights Watch documenta la tortura sistematica del regime a Raqqa. Per i morti, i rifugiati, i dispersi. Perché la guerra siriana ormai riguarda il mondo.

Fonte:www.lastampa.it



ROMA – Attacco aereo di Israele in Siria. Lo ha riferito la Cnn citando almeno due fonti dell’amministrazione Usa e spiegando che il blitz non avrebbe avuto come obiettivo i depositi di armi chimiche ma un carico di armi. La notizia è stata smentita dall’ambasciatore siriano all’Onu, ma confermata dall’esercito israeliano.

Una fonte della sicurezza israeliana, citata da siti online locali, ha reso noto che Israele ha compiuto nella notte fra giovedì e venerdì un singolo raid aereo sulla Siria. Secondo quanto rilanciato dalla tv al-Arabiya e da altri media internazionali, sarebbe stato preso di mira un trasferimento di «missili sofisticati». La fonte, citata in forma anonima, non ha fornito ulteriori dettagli, né ha precisato dove fossero destinati i missili. È noto peraltro il timore d’Israele sul possibile passaggio di armi di alta precisione dall’arsenale delle forze di Damasco a quello delle milizie sciite libanesi di Hezbollah (alleate dell’Iran e del regime di Assad, ma nemiche giurate dello Stato ebraico), oltre che sull’eventuale rafforzamento di gruppi jihadisti filo al-Qaida nelle file degli insorti siriani.

A livello ufficiale, in ogni modo, le autorità israeliane – nel pieno del riposo del sabato – tacciono rifiutando qualunque dichiarazione. Interpellato sulle prime notizie di fonte americana a proposito del raid, un portavoce dell’ambasciata d’Israele a Washington si è da parte sua limitato a dire: «Noi non possiamo commentare queste informazioni, ma possiamo dire che Israele è determinato a prevenire il trasferimento di armi chimiche o di altro armamento che possa cambiare le carte in tavola (nei rapporti di forza regionali) dal regime siriano verso gruppi terroristici, e in particolare verso Hezbollah».

Un’incursione analoga d’Israele sulla Siria era già stata rivelata nelle settimane scorse. Giovedì, inoltre, giusto poche ore prima del presunto ultimo raid, il premier israeliano Benyamin Netanyahu -a quanto riferisce l’agenzia Reuters citando fonti proprie- aveva presieduto a Gerusalemme una riunione riservata del gabinetto della sicurezza nazionale.

«Gli Stati Uniti – riporta la Cnn – ritengono che Israele abbia condotto un’incursione aerea in Siria. L’intelligence americana e quella dei paesi occidentali sta rivedendo le informazioni, che sembrano indicare che l’attacco sarebbe avvenuto fra giovedì e venerdì». La notizia – spiega la tv Usa – arriva direttamente da due fonti dell’amministrazione americana. Si tratta dello stesso arco temporale in cui ci sarebbero indicazioni di sorvolo del Libano da parte di numerosi aerei da guerra israeliani. Una delle due fonti citate dalla Cnn afferma che al momento gli Stati Uniti hanno limitate informazioni al riguardo e che Washington non ritiene che l’obiettivo dell’incursione aerea israeliana in Siria
avesse come fine un attacco.

Il sito dell’esercito libanese indica intanto che 16 voli di aerei da guerra israeliani hanno penetrato lo spazio aereo del Libano fra giovedì e venerdì sera. L’esercito israeliano – aggiunge la Cnn – non commenta. Ma il commento arriva poco dopo da Bashar Jaafari, ambasciatore siriano all’Onu: «Non sono a conoscenza di alcun attacco in questo momento», taglia corto.

La situazione in Siria si fa sempre più complessa anche se al momento non appare probabile un intervento degli Usa: il presidente degli States, Barack Obama, ha infatti detto di recente di non prevedere a priori di inviare truppe statunitensi in territorio siriano. Anche se fosse provato che il regime di Bashar al-Assad ha usato le sue riserve di armi chimiche.

Fonte:www.ilmessaggero.it



La Corea del Nord sta per effettuare un altro test missilistico, denuncia il direttore della sicurezza nazionale sudcoreana, Kim Jang-soo. ”Le provocazioni di Pyongyang sembrano coincidere con un lancio missilistico che potrebbe accadere con grande probabilità mercoled씑, ha dichiarato. L’escalation di minacce verbali sembra essere ”uno schema ben calcolato per catturare le prime pagine dei giornali”.

Gli Stati Uniti hanno intanto deciso di rimandare un test missilistico in programma da tempo martedi’ in California per evitare i provocare la Corea del Nord in questo momento di tensione nella Penisola Coreana. Una fonte del Pentagono ha spiegato che l’Amministrazione ha preso una decisione ”saggia e prudente” per evitare ”incomprensioni e valutazioni sbagliate”.

”Nessun paese ha il diritto di far precipitare una regione e a maggior ragione il mondo intero nel caos”, ha dichiarato intanto il presidente cinese Xi Jinping senza citare esplicitamente alcuna nazione. ”E’ necessario agire in modo concertato per risolvere le grandi difficoltà al fine di assicurare la stabilita’ in Asia minacciata da nuove sfide”, ha aggiunto Xi nel suo intervento al forum economico Boao.

Fonte:www.lindipendenza.com


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