Mistero

26 Febbraio 2016

Un aereo sommerso nel lago Harriet, vicino Minneapolis, ha scatenato il web. L’immagine è emersa da Google Maps aprendo una discussione sul web. Nessun incidente è mai avvenuto in quella zona e di certo non sarebbe passato inosservato

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Si tratta di un aereo di linea le cui dimensioni balzano subito agli occhi. A svelare l’arcano è stato direttamente da un portavoce di Google Maps al The Minneapolis Star-Tribune che ha dato una spiegazione allo strano fenomeno. Nessun aereo è mai caduto nel lago, si tratta solo di un frammento di immagine scattata dal satellite.
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“Ogni fotografia satellitare che vedete sulle mappe è composta da tantissime immagini.  gli oggetti che si muovono ad altissima velocità, come gli aerei, spesso compaiono in una sola delle tante immagini che utilizziamo per un’area. Quando ciò accade, è possibile vedere deboli frammenti di quell’oggetto in movimento”. Mistero svelato quindi.

 

Fonte:www.ilmessaggero.it/

 


10 Dicembre 2015

Un vero e proprio mistero quello legato al proprietario di tre Boeing 747-200F ‘parcheggiati’ all’aeroporto internazionale di Kuala Lumpur da più di un anno.

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La holding dell’aeroporto malesiano ha pubblicato un annuncio sul “Daily Star”, il quotidiano inglese più venduto, nel quale si avvisa che “se non vengono spostati gli aeromobili entro 14 giorni dalla data del presente avviso, ci riserviamo il diritto di vendere i velivoli e utilizzare il ricavato per compensare le eventuali spese, secondo quanto stabilito dai regolamenti sull’aviazione civile del 1996”

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Il direttore generale dell’aeroporto, Zainol Mohd Isa, ha affermato di aver cercato di mettersi in contatto con il proprietario, senza conseguenze.

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“E’ per questo che pensiamo di adire per vie legali. Vogliamo utilizzare quei posti dove ora sono parcheggiati i tre Boeing, è un nostro diritto”, ha detto Isa

Fonte:www.repubblica.it/


9 Ottobre 2015

Nessun aereo o elicottero caduto, ma un’esercitazione di uno o due aerei supersonici in un corridoio aereo tradizionalmente utilizzato per voli con il superamento della barriera del suono.

Questo, secondo quanto appreso da fonti delle forze dell’ordine dell’Aquila, all’origine del boato che questa mattina, intorno alle 9.45, è stato percepito tanto nel Teramano quanto nell’Aquilano, fino all’estrema zona Ovest. Conferme arriverebbero, secondo quanto precisato da queste fonti, dall’Aeroporto militare di Pratica di Mare (Roma) e dal Comando operazioni aeree (Coa) di Ferrara.

Le ricerche si erano concentrate sul versante teramano del Gran Sasso, nel territorio di Pietracamela, per capire se fosse precipitato un velivolo, come segnalato da alcuni residenti che avevano detto di aver sentito un forte boato verso le 10. A sorvolare la zona tre elicotteri, del 118, Gdf e Vigili del Fuoco. Allestiti due campi base, a Pietracamela e a Montorio al Vomano.

Fonte: news-town.it/


1 Ottobre 2015

Non ci sono più tracce né del velivolo né dei 6 uomini a bordo. Stava volando da una base in Corsica a Padova

di FIORENZO BUCCI

Isola d’Elba, 29 settembre 2015 – Un mistero che resiste da 71 anni senza una spiegazione logica: nell’autunno del 1944 un aereo americano in missione con sei militari a bordo sparito nel nulla attraversando un banco di nuvole sul mare tra le isole di Montecristo e dell’Elba. Non una notizia dagli altri velivoli impegnati nell’operazione. Niente di niente se non la speranza che, a distanza di tanti anni, continua ad animare uno dei parenti degli aviatori dispersi il quale non si rassegna e non accetta il mistero. Fino al punto di volare dagli States per cercare notizie e raccogliere testimonianze da qualche vecchio sopravvissuto.

Tutto accadde di domenica, il 5 novembre 1944, quando, dalla base del 34°  Bomb Group ad Alesani in Corsica, partì una missione che aveva per obbiettivo un ponte ferroviario a Padova. Armieri, specialisti, meccanici lavorarono sodo nella notte per preparare i B-25 Mitchell e già di prima mattina, il capo-meccanico di «Schnapps Yo-yo«, uno dei diciotto B-25J (12 appartenevano al 48° e 6 al 486° Bomb Squadron), controllò il velivolo, testò i motori, riempì i serbatoi di carburante. Nessuno ricordava perché l’aereo fosse stato ribattezzato con quel nome: «Schnapps Yo-yo», che un soldato di qualche nostro reggimento alpino potrebbe volentieri tradurre in «Grappa a go go».

Di certo, il codice ottico «6M» sulla deriva del velivolo non portava bene: altri due B-25 del 486° l’avevano ricevuto ed entrambi erano stati abbattuti. Dopo il briefing, nel corso del quale vennero illustrati obiettivo, rotta e condizioni meteorologiche, l’equipaggio di «6M» raggiunse l’aereo. Ne facevano parte il pilota, Richard H. Brandle di Philadelphia, il copilota, William C. Johnson di Doddsville nel Mississipi, il bombardiere-navigatore Milton Frankel di Chicago, l’operatore radio Robert H. Sponamoore di Springfield nell’Illinois, il motorista Andrew C. Thrash di Choctaw nell’Alabama e il mitragliere di coda Ernest B. Lay di Richmond in Virginia.

Poco dopo il decollo «6M» si posizionò nella terza formazione di 6 aerei e raggiunse insieme agli altri i 1200 metri di quota e i 272 chilometri orari di velocità. Passarono pochi minuti e improvvisamente davanti agli aerei del 486°, che volava più in basso, si parò un fronte nuvoloso che indusse i piloti ad abbandonare la posizione stretta per evitare possibili collisioni.

La formazione penetrò le nubi in pochi secondi, trascorsi i quali il «6M» sparì dalla vista degli altri velivoli. Sparito nel nulla: nessuno l’avrebbe mai più rivisto. Gli equipaggi degli altri aerei pensarono a qualche difficoltà tecnica tale da costringere il bombardiere a far ritorno alla base. Ma non fu così. Le ricerche delle ore e dei giorni successivi non ebbero esito: nessun avvistamento, né tracce d’olio, né resti dell’aereo, né salvagenti, canotti di salvataggio. Niente di niente.

Vennero formulate le ipotesi più diverse: perdita di controllo a causa di una turbolenza, formazione di ghiaccio sulle ali, ma il mistero di «Schnapps Yo-yo« non fu più svelato. Nella zona in cui gli aerei incontrarono il banco nuvoloso (coordinate 42°55N10E, più o meno a metà distanza tra Capraia e Marciana Marina all’isola d’Elba) la profondità del mare è di diverse centinaia di metri. È possibile che quegli abissi inesplorati abbiamo accolto i sei giovani militari e l’ultimo volo dal loro aereo dal nome strano. In America questa tesi è stata sposata anche da un poeta che al mistero di Schnapps Yo-yo ha dedicato alcuni versi.

Fonte: www.lanazione.it/


7 Agosto 2015

Uno squadrone della Raf partì dopo la fine della seconda guerra mondiale dal Friuli per una missione segreta…

asfdTRENTO. Il mistero degli aerei “scomparsi” partiti dalla base di Lavariano, in provincia di Udine, il 26 luglio del 1945, a guerra finita, non ha ancora trovato soluzione.

A settant’anni di distanza resta il giallo di quale fosse la missione di ben nove aerei alleati, cinque dei quali si schiantarono sul Monte Caré Alto, nei pressi dell’Adamello, in Trentino. «Il compito di quegli aerei è tutt’ora un’enigma, che ancora oggi non ha visto riscontro» ricorda Ferdinando Bernardis, già Capogruppo Ana (Associazione Nazionale Alpini) di Lavariano e custode delle memorie storiche del paese, soprattutto per quanto riguarda proprio il terreno di volo, quella pista che è stata teatro di tanti episodi della storia nel secolo scorso.

I nove caccia P51 Mustang  della Royal Air Force (Raf) – registrati come “Squadron 112” – decollarono in stormo da Lavariano esattamente settant’anni fa, con alla guida piloti inglesi – tra i quali il Luogotenente Ray Templer, sudafricani e neozelandesi, in direzione Nord-Ovest, ma sorvolando i cieli trentini cinque di loro caddero a seguito del tremendo schianto contro la montagna.

A sentire i testimoni, prosegue nel suo racconto Bernardis, che negli anni ha minuziosamente ricercato dettagli e aneddoti per ricostruire la storia dei caccia della Raf, grazie anche alla collaborazione delle penne nere trentine, quella giornata del 26 luglio del 1945 «era molto calda, con ottima visibilità e dunque senza problemi meteo per il decollo, che avvenne alle 9.55 del mattino». Secondo le dichiarazioni di alcuni valligiani, la quota di volo era molto bassa, così bassa da poter addirittura scorgere la figura dei piloti al comando degli aerei. Sulla base delle successive testimonianze dei piloti sopravvissuti, si arrivò alla conclusione che i compagni non si sarebbero accorti per tempo che la valle che stavano sorvolando era “chiusa” e delle nuvole coprivano i monti davanti a loro, per cui non fecero in tempo a modificare la rotta e rialzarsi per evitare l’impatto.

Finora non è pervenuta nessuna attestazione diretta dell’urto contro la montagna, e anche i piloti superstiti non furono in grado di fornire una testimonianza plausibile sulle cause dell’incidente. Sembra poi, ad aggiungere pepe a questa irrisolta vicenda, che due degli aerei dello stormo fecero ritorno alla base di Lavariano dopo pochi minuti di volo per noie ai motori. Nei giorni successivi la popolazione di Vigo di Rendena recuperò le salme dei cinque piloti alleati che vennero prelevate da un mezzo inglese e verosimilmente portate nel Cimitero di Trento, in cui si tenne una semplice cerimonia di ricordo prima della tumulazione nel Camposanto del Commonwealth di Padova.

Ferdinando Bernardis è ancora alla ricerca delle reali motivazioni di quella missione ancora oggi avvolta dal mistero e su un piano di volo secretato in qualche archivio militare inglese, alla pari dell’interrogatorio dei superstiti avvenuto all’aeroporto di Lavariano. Sempre secondo le dichiarazioni di alcuni testimoni, pastori e malgari, sul posto dell’incidente vennero ritrovate, stranamente, delle carte topografiche proprio di quella zona: «stavano cercando qualcosa o qualcuno, tanto da volare così bassi?», si chiede Ferdinando Bernardis, anche perché «i piloti erano dei veterani e gli aerei di costruzione recente, dunque nulla poteva far prevedere il disastro». «Nonostante la guerra fosse terminata in Europa – prosegue – questi piloti hanno combattuto per la libertà, svolgendo sino all’ultimo il mandato che i comandi alleati avevano loro affidato, per questo motivo è giusto che vengano ricordati».

Forse, ipotizza Bernardis, un recupero attento e un’analisi

approfondita dei rottami avrebbe potuto fornire qualche indizio in più, ma solo pochi resti del relitto aereo sono stati reperiti e oggi sono esposti al Museo storico di Spiazzo Rendena, mentre i documenti riportano che i piloti sono morti durante una perlustrazione

Fonte: http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/


23 Marzo 2014

L’Aviation Safety Network ha censito gli aeroplani scomparsi nel nulla dal 1948 ad oggi. Sono decine. Il volo 370 della Malaysia Airlines è il più grande. Aereo Malesia: ultime notizie

Credits: La cartina dell’Aviation Safety Network

di Michele Zurleni

Nella storia dell’aviazione moderna ci sono 88 misteri. Ottantotto aerei passeggeri, cargo o biplani scomparsi letteralmente nel nulla. Nessuna loro traccia è stata più trovata, nonostante le ricerche durate giorni, mesi e in alcuni casi addirittura anni. Per lo più sono caduti in un punto impreciso del mare. Alcuni sulla terra. L’Aviation Safety Network ha disegnato questa cartina per mostrare in quale zona sono scomparsi questi aerei 88 fantasma.

Il loro numero può essere destinato a diminuire con il tempo. Qualche rottame prima o poi potrebbe essere trovato. E’già accaduto in passato. Per esempio, nel 2000, sono stati localizzati i resti dell’aereo scomparso nel 1947 che da Montevideo trasportava cinque membri dell’equipaggio e sei passeggeri verso Santiago del Cile. Era rimasto sepolto dalla neve di una valanga che l’impatto contro il Monte Tupangato aveva provocato. Ci sono voluti 53 anni, ma alla fine il mistero è stato risolto.

Il volo con il numero maggiore di passeggeri a bordo scomparso nel nulla è stato quello della Flying Tiger Line. Si trovava sull’Oceano Indiano ed era il 16 marzo del 1962. A bordo c’erano 107 passeggeri e l’equipaggio. Era partito dalla base militare americana di Guam. Nonostante le ricerche, non si è mai trovato nulla. Un testimone ha affermato di aver visto una luce improvvisa nel cielo.

Il primo aereo a sparire è stato un volo della British South American Airways, scomparso con i suoi 31 passeggeri mentre volava sull’Oceano Atlantico nel gennaio del 1948. Quell’anno è stato uno dei peggiori per gli aerei fantasma. L’altro è stato il 1966. I decenni più neri sono stati gli anni’60 e gli anni’70 con 19 aerei scomparsi nel nulla.

Una storia collegata a un aereo scomparso è quella di Amelia Earhart, leggendaria figura femminile dell’aviazione civile. Fu dichiarata ufficilmente morta nel 1939, dua anni dopo che si era persa ogni traccia dell’aereo su cui stava tentando il giro del mondo. Il suo monoplano Electra scomparve mentre sorvolava l’Oceano Pacifico e nonostante le ricerche effettuate, non venne mai trovata alcuna traccia.

Aerei sono scomparsi anche nel Triangolo delle Bermuda, dando così origine alle leggende rispetto a quell’area. Nella casistica dell’Aviation Safety Network sono indicati due casi. Il primo, come abbiamo detto, era l’aereo svanito nel 1948. Il secondo scomparve un anno dopo. In tutto, 51 persone disperse e mai più ritrovate. In quella zona, qualche anno prima, nel 1945 erano scomparsi cinque cacciabombardieri americani che stavano facendo un volo di addestramento. Anche di loro non si è mai più trovata alcuna traccia.

Fonte:http://news.panorama.it



Stamattina, attorno alle 10 , precisamente le 09,53 è atterrato sul campo di Modena-Marzaglia un Piper PA28RT-201T Turbo Arrow IV I-EPTL  (c/n 28R-7931116) recante le insegne dell’Aero Club di Piacenza.

  GUARDA VIDEO 

http://www.youreporter.it/video_Il_pistero_del_Piper_con_doppia_immatricolazione

Osservando  il velivolo si nota una curiosa particolarità sulla fusoliera  (foto sotto) si possono leggere  sia le marche italiane che quelle americane ( N2215V ) .

Il mistero è presto risolto: indagando su internet ho scoperto che  l’immatricolazione  americana è stata cancellata il 25-02-1992 in quanto l’aereo in questione  è stato esportato.

Ai comandi del velivolo sedeva il proprietario accompagnato a destra dal nostro amico Paolo “ Indiana Jones” Castellani istruttore di volo all’Aero Club di Brescia.

Dopo i saluti  e le battute di rito tra Paolo e lo staff dell’Aeroporto di Marzaglia, il nostro istruttore Umberto Catellani, è salito a bordo insieme al pilota del Piper per il proficiency check ppl ( volo di controllo  per il Brevetto di Pilota Privato con l’istruttore) .

 

Per

 www.aeroclubmodena.it

 

Piergiorgio”pierinoinflight” Goldoni 



Nel 1962 un mercantile battente bandiera liberiana affonda nel Canale di Sicilia. A bordo diversi nostri connazionali. Non è mai stato trovato un corpo. Una storia dimenticata che si intreccia con la guerra Franco-Algerina, la legione straniera, silenzi e insabbiamenti. Tgcom24 ha intervistato il nipote di uno dei marinai spariti nel nulla.

Questa è una storia che, se non fosse vera, potrebbe essere un ottimo soggetto cinematografico. E’ una storia che parte da lontano, che attraversa oltre mezzo secolo e nasconde ancora tanti segreti. E’ la storia dell’Hedia, una nave sparita nel marzo del 1962 nel Canale di Sicilia con 19 marinai italiani a bordo dei quali non si è saputo più niente. L’imbarcazione sembra essere scomparsa nel nulla, come i marinai. Nello sfondo la guerra franco algerina e un carico misterioso a bordo. Le domande senza risposta sono ancora tante. Cosa trasportava l’Hedia? C’è stato un naufragio o la nave stata silurata? E soprattutto che significato ha la frase pronunciata dall’allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani “Per venti persone non si può fare una guerra“?
Accursio Graffeo è nipote di Filippo, uno dei 19 italiani dei quali non si hanno più notizie da quel marzo 1962. Con lui abbiamo cercato di ricostruire questa storia fatta di silenzi, depistaggi, speranze e ancora poche certezze

Chi era suo zio, Filippo Graffeo?

Era un ragazzo che nel 1962 aveva appena vent’anni. Nell’agosto del 1961 aveva lasciato la prima volta la sua famiglia e la sua città, Sciacca, nell’Agrigentino, per andare a cercare lavoro nel Nord Italia, come tanti suoi coetanei.
 
Com’era arrivato dalla Sicilia a Venezia?
A differenza di molti, mio zio Filippo non si orientò verso fabbriche del triangolo industriale ma cercò di continuare ciò che già da giovanissimo aveva provato, la vita in mare iniziata come pescatore, quello era il suo mondo. 
Decise si andare nella città lagunare per cercare un imbarco su una nave mercantile, per migliorare le condizioni economiche. Una scelta che era già stata fatta dal fratello maggiore Luigi, mio padre, che a quell’epoca aveva alle spalle diversi anni di navigazione a bordo di grandi navi mercantili e petroliere battenti bandiera inglese.
 
Come mai si trovava su quella nave?
Per caso direi. Sia lui che mio padre Luigi nel mese di ottobre 1961 si trovavano a Venezia, alla prima occasione mio zio Filippo si è imbarcato senza guardare chi fosse l’armatore, la bandiera e il tipo di nave. Venne assunto sulla nave Generous, nome che poi fu cambiato in Hedia, come marinaio di coperta cinque mesi prima che la stessa nave scomparisse nel nulla. 
 
Aveva raccontato a qualcuno di quel viaggio prima di partire?
A ogni porto in cui attraccava la sua nave spediva sempre una lettera a casa nella quale comunicava la destinazione del viaggio successivo. Ma non era spaventato per quella sua nuova vita, anzi si dimostrava tranquillo e maturo nonostante quella fosse la sua prima esperienza fuori casa. Come tutti i ragazzi di vent’anni aveva tanti sogni e certo non si sarebbe immaginato ciò che sarebbe successo.
 
Cosa successe dopo il presunto naufragio della nave?
Per prima cosa bisogna sottolineare che le ricerche della nave furono oltremodo tardive. Accadde una cosa molto strana, a mio avviso un vero e proprio depistaggio. Sette giorni dopo la scomparsa della nave, avvenuta il 14 marzo 1962 nei pressi dell’arcipelago tunisino di La Galite, radio Malta fece sapere di avere intercettato da radio Tunisi un messaggio proveniente dalla Hedia. Una comunicazione in cui l’imbarcazione su cui viaggiavano i marinai italiani faceva sapere di trovarsi in difficoltà per via di una violenta burrasca che proprio in quelle ore imperversava nel Canale di Sicilia. Questo dispaccio venne accolto con speranza dalle famiglie dei membri dell’equipaggio, ma dopo poco si rivelò incredibilmente falso. Infatti radio Tunisi, interpellata dal nostro consolato, rispose prima confermando a parole il suo dispaccio e successivamente smentendo ufficialmente di averlo mai diramato.
 
Chi si mosse a cercare i marinai “spariti”?

Tutte le famiglie dei marinai fecero la loro parte, chi più chi meno. Ma tra tutti chi si distinse nelle ricerche fu Romeo Cesca, padre del marconista della Hedia Claudio Cesca. Quest’uomo, purtroppo scomparso ormai da tempo, fece tutto il possibile per ritrovare suo figlio e gli altri marinai. Contattò l’allora presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, il ministro della Marina Mercantile e la Rai, ma non riuscì ad ottenere nulla se non delle blande rassicurazioni. E così si arrivò al 27 marzo 1962 quando successe un’altra cosa incredibile. Il ministero della Marina Mercantile telefonò al signor Cesca dando notizia che la Hedia stava lentamente risalendo l’Adriatico. La gioia di tutti i familiari fu grande. Alcuni parenti passati due giorni su un molo di Venezia in trepidante attesa ma la nave non arrivò. Una volta ricontattato, il ministero disse che si erano sbagliati e che in realtà della Hedia non c’erano altre notizie. Fu un colpo durissimo, ma i familiari non si arresero. Anzi, proprio il signor Cesca inviò un suo parente in Tunisia con il compito di battere palmo a palmo l’arcipelago in cerca di informazioni. Purtroppo anche in questo caso non si riuscì ad arrivare a nulla. Solo il comandante francese della base di Biserta, interpellato in merito, consigliò di inviare una relazione sulla scomparsa a Parigi. La cosa stupì tutti perché fino ad allora la Francia non aveva avuto nessun ruolo nella vicenda. Ma evidentemente proprio a Parigi dovevano essere a conoscenza di qualcosa dal momento che bastò un semplice articolo sulla Hedia, pubblicato dal giornale tunisino La Presse, per provocare le proteste del ministero della Guerra francese. 
Proprio a seguito di ciò, in Italia cominciarono ad uscire degli articoli in cui veniva ipotizzato il siluramento della nave da parte della Marina Militare francese che a quei tempi pattugliava le coste al confine tra Algeria e Tunisia. Forse si trattò di un errore.
Non posso sapere con certezza se questa sia la verità, ma di sicuro ancora oggi in famiglia ci chiediamo perché le autorità tunisine e francesi si dimostrarono infastidite dalle semplici richieste di chiarimenti sul destino toccato ad una nave da carico civile.
 
Cosa le hanno raccontato di quando fu pubblicata la foto circa sei mesi dopo la sparizione della nave in cui la sua famiglia pensò di riconoscere Filippo?
Fu l’ennesimo colpo di scena di questa storia, sicuramente il più clamoroso. Era il 2 settembre del 1962. La guerra franco-algerina era terminata da pochissimo e c’erano ancora diversi prigionieri europei nelle mani degli indipendentisti. E proprio informando sugli sviluppi della situazione in Algeria un giornale italiano pubblicò una telefoto (quella a sinistra, ndr) che ritraeva alcuni prigionieri in procinto di essere liberati nel Consolato francese di Algeri. A questo punto un amico di mio zio che abitava a Chioggia, uno che lo conosceva bene, lo riconobbe in mezzo a quei prigionieri e subito dopo altre cinque famiglie dissero di riconoscere nella stessa immagine i loro cari imbarcati sulla Hedia. All’inizio la gioia fu incontenibile anche perché mio zio Filippo era stato ritratto proprio in primo piano, quindi era impossibile sbagliarsi. Ci fu l’illusione che tutto potesse risolversi per il meglio. 
 
Dopo quella pubblicazione cosa successe?
La foto venne pubblicata in Italia il giorno 14 settembre e su richiesta dei parenti si riuscì a risalire al nome del fotografo e alla data dello scatto. Si scoprì quindi che la foto risaliva al 2 settembre, cioè dodici giorni prima della sua pubblicazione sul giornale. Ciò smorzò un po’ gli entusiasmi. Ci si cominciò a chiedere come mai dopo tutto quel tempo nessuno dei marinai fosse riuscito a mettersi in contatto con l’Italia per dire che era vivo. Un’inchiesta giornalistica provò a risolvere l’enigma tentando di capire che fine avevano fatto quegli uomini, ma i risultati furono sconfortanti. Secondo la stampa infatti nessuno dei prigionieri ritratti nella telefoto era italiano, ma si trattava di pied-noir in procinto di essere rimpatriati in Francia. In particolare l’uomo che secondo mia nonna era suo figlio Filippo, venne identificato come tale Pierre Cocco, barista di Algeri riparato a Marsiglia. Ovviamente alcuni non si rassegnarono a questa versione dei fatti alquanto discutibile e vennero accusati di essere in preda a psicosi collettiva. Ma è possibile che una madre non riconosca più suo figlio dopo solo sei mesi? 
 
Che tipo di motivazione ufficiale ha dato lo stato italiano per la sparizione dell’Hedia?
Per lo stato italiano la Hedia è affondata quel 14 marzo 1962, nonostante dalle poche interrogazioni parlamentari presentate sul caso si evinca chiaramente che le ricerche furono lacunose per non dire inesistenti. La giustificazione che si diede fu che la Hedia non era un’unità navale italiana e battendo bandiera liberiana il nostro paese non aveva possibilità di svolgere indagini approfondite. Un paradosso perché ben 19 membri dell’equipaggio su 20 erano nostri connazionali. 
 
Sua nonna continua a sperare e a cercare la verità. In questi 50 anni che idea pensa si sia fatta?
La speranza è l’ultima a morire, tutto è possibile. A 97 anni cosa vuole che le dica, lei ricorda le parole dell’allora Presidente del Consiglio Amintore Fanfani “per venti persone non si può fare una guerra”. 
 
E voi familiari, come pensate siano andate veramente le cose?
La Hedia aveva sempre attraversato il Mediterraneo e l’arcipelago della Galite è lungo 15 km, un luogo sufficiente a trovare riparo. E poi nell’ultimo cablogramma inviato dalla nave pare chiaro che la situazione non era poi cosi allarmante. Noi pensiamo che ci siano stati troppi fatti e comportamenti strani, alcuni addirittura inspiegabili.
 
C’era anche una pista che portava alla legione straniera: è stata mai battuta?
Sì, un ex legionario raccontò ad un mio familiare di aver incontrato uno dei marinai della Hedia mentre si trovava arruolato nella Legione Straniera in Nord Africa. Costui disse di essere certo di ciò perché era proprio questo marinaio diventato legionario a comandare il suo plotone. Proprio recentemente, dopo tanti anni, sono riuscito a rintracciare questo signore che vive all’estero che però purtroppo non ha voluto incontrarmi e si è rifiutato anche di smentire questa sua testimonianza.
 
Voi parenti ora cosa pensate di fare? Avete già fatto qualcosa per smuovere le acque e cercare di svelare i segreti che si nascondono dietro la sparizione dell’Hedia?
Nonostante siano passati ormai cinquant’anni, noi familiari siamo più attivi e motivati che mai nel cercare di capire cosa accadde ai nostri cari. Eppure  fino a qualche mese fa, io stesso sapevo poco o nulla sui particolari di questo mistero dimenticato. Devo quindi ringraziare chi per primo ha riscoperto il giallo della Hedia dopo decenni di silenzio, evidenziandone tutte le stranezze e riportando questa storia all’attenzione delle cronache. 
Per quanto riguarda noi parenti, attualmente stiamo cercando di ristabilire i contatti con tutte le altre famiglie degli scomparsi. Con alcuni di loro stiamo lavorando sodo per provare a riaprire il caso. L’obiettivo è quello di fondare un’associazione per far conoscere alla gente ciò che accadde a diciannove nostri connazionali, letteralmente spariti nel nulla. Inoltre stiamo anche cercando di riallacciare i rapporti con chi nel 1962 si interessò alla Hedia nella speranza di riuscire a ricavarne indicazioni utili per continuare le nostre ricerche. Siamo consapevoli delle difficoltà che ci attendono ma il desiderio di rendere giustizia ai nostri cari ci spinge comunque ad andare avanti.  
 
Nel concludere vorrei fare un appello: chiunque sia a conoscenza di qualsiasi informazione sull’ Hedia si faccia avanti. Anche dopo mezzo secolo è giusto che venga finalmente alla luce la verità. Scrivetemi all’indirizzo mail accursio.graffeo@gmail.com

 
Domenico Catagnano Twitter @Dcatagnano
 

15 Gennaio 2013

Ospite a “Mistero” in una lunga intervista con Marco Berry

Torna l’appuntamento in prima serata su Italia 1 con “Mistero”. Marco Berry intervista Cristina Parodi che nel 2008 visse un’esperienza inquietante su un piccolo velivolo a Los Roques.

 

Lucilla Agosti e Jane Alexander entreranno nell’ex manicomio di Colorno (Parma) a caccia di fantasmi. Infine Daniele Bossari sarà in Umbria sui luoghi di madre Speranza.

Nuovo volto di questa settima edizione è Lucilla Agosti che è entrata nella squadra dei “mystery-busters” formata da: Jane Alexander, Daniele Bossari, Marco Berry, Andrea Pinketts e Nicole Pelizzari.

Quest’anno i telespettatori potranno inviare i video da loro realizzati di avvistamenti alieni o presenze soprannaturali al sito Mediaset www.16mm.it. I filmati più curiosi e originali verranno mandati in onda nel corso del programma.

Una grande novità: nel 2013 Mistero raddoppia. Al programma si affiancherà una rivista ufficiale, a scadenza mensile, ricca di contenuti, rubriche e approfondimenti sul mondo dell’ignoto. Inoltre, per gli appassionati del mistero, è in previsione l’uscita di un DVD. I telespettatori potranno trovare ulteriori informazioni sul sito www.misterotv.it


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