Musica in volo


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Musicisti in volo: con “Helicopter String Quartet” di Karlheinz Stockhausen si inaugura il festival della laguna. L’insolita partitura fu scritta per l’Arditti Quartet che lo esegue oggi e ne parla in questa intervista.

Musica per elicotteri. Musica in volo. Musica che assorbe e rilancia le sonorità del cosmo. Musica che traccia cerchi aerei e disegna utopie. Karlheinz Stockhausen, il più megalomane, discusso e provocante compositore del secondo Novecento (nato nel 1928 e morto nel 2007), scrisse per gli strumentisti dell’Arditti Quartet un pezzo senza confronti né precedenti, l’Helicopter String Quartet, che debuttò all’Holland Festival nel 1995.

Partitura vertiginosa. Tanto vertiginosa quanto perversa (per difficoltà di realizzazione), l’opera isola gli intrepidi membri dell’ensemble nelle cabine di quattro elicotteri guidati nei cieli dai rispettivi piloti. E prevede che suonino, ognuno per proprio conto, a 1500 metri d’altezza. I “canti” dei due violini, della viola e del violoncello si uniscono tecnologicamente e a distanza, mischiandosi col suono dei motori, delle pale, delle nuvole e del vento. Alla riproposta di quest’impressionante composizione  –  ripresa solo tre volte, di cui una a Roma nel gennaio 2009  –  viene affidata il 4 ottobre l’apertura della 75esima Biennale Musica di Venezia, intitolata “Altro spazio, altro suono” e articolata come un intreccio, secondo innumerevoli varianti, di due elementi-cardine del pensiero musicale contemporaneo, cioè lo spazio e la voce.

Una commissione. Con la sua folle e unica capacità di “teatralizzare” la musica e di “spazializzare” il suono, Stockhausen stabilì l’avvio del concerto all’interno di una sala (nel caso di Venezia sarà la Sala Grande del Palazzo del Cinema al Lido, inizio ore 15) con la presentazione dei quattro musicisti, e ne fissò il termine col loro ritorno sulla terra, in tempo per prendere gli applausi del pubblico, che di volta in volta segue il concerto aereo su un grande schermo pronto a restituire in tempo reale le immagini e i suoni delle performance musicali dentro gli elicotteri. “Fui io a decidere di commissionare un brano a Stockhausen, pensando che avrebbe composto un normale quartetto d’archi”, racconta il violinista inglese Irvine Arditti, capofila del gruppo che porta il suo nome e dedicatario di tante opere importanti. “Fin dall’adolescenza adoravo Stockhausen: avevo quindici anni quando andai a Darmstadt per incontrarlo. La sua musica siderale e visionaria era un mito per me, che ero totalmente disinteressato al pop. Dopo la formazione del Quartetto Arditti lo contattai per chiedergli un pezzo, e quando mi mandò i dettagli del progetto pensai che fosse impazzito. C’erano istruzioni nette e rigorose. Gli dissi che nessuno avrebbe mai prodotto un tale kolossal e gli proposi di usare un nastro registrato per il rumore delle eliche che avrebbe dovuto mixarsi al suono degli archi. Replicò furente di aver ricevuto in sogno il piano dell’esecuzione. L’ebbe vinta lui, e l’Helicopter String Quartet debuttò ad Amsterdam in modo fedele alle sue indicazioni”.

Motori e suoni.Irvine Arditti, che compie sessant’anni il 16 ottobre (festeggerà con un concerto alla Wigmore Hall di Londra), è uno dei massimi campioni della musica contemporanea: “Il nostro repertorio è sterminato”, dice riferendosi al Quartetto Arditti. “Comprende centinaia o forse migliaia di pezzi fatti apposta per l’ensemble, e tra gli autori ci sono Carter, Boulez, Ligeti, Cage, Xenakis e Berio. Stimolare i compositori alla creazione ed esserne stimolato è l’interesse che occupa tutta la mia vita”. L’Helicopter String Quartet è l’unico brano da lui eseguito che non ha mai potuto ascoltare dal vivo: “Non riesco a sentirlo mentre suono nel mio elicottero perché il rumore del contesto mi sommerge”. Sostiene che “oggi la musica ha bisogno di grandi accadimenti” e che l’immenso gioco concepito da Stockhausen “è così spettacolare da destare la curiosità della gente per la sperimentazione musicale, conducendola ad aprire i suoi orizzonti”.

In cartellone anche domani. Alla Biennale di Venezia, col suo gruppo, sarà protagonista di un secondo appuntamento, il 5 ottobre, “nella relativa sicurezza di uno spazio normale, a Cà Giustinian”. Accanto a brani di Rebecca Saunders, Evis Sammutis e Andrea Portera, vi figura il Quartetto n. 5 di Elliott Carter, di cui gli Arditti hanno registrato l’intera produzione quartettistica. “Scritto per noi, questo brano mette in scena lo stesso processo della sua esecuzione, fino alla discussione dei musicisti su ogni movimento interpretato”.
Se gli si domanda quanto e come sia cambiata la nuova musica rispetto alle “scandalose” e arrabbiate opere dell’ultima fetta di Novecento, risponde “che oggi l’avanguardia non deve più scioccare, come un tempo. Prima spezzare i ponti col passato era una necessità per i compositori; ora invece non si è più ossessionati dalla voglia di uccidere i maestri. Ogni musica è interessante oppure non lo è, a prescindere da intenti dimostrativi”.   

Fonte:www.repubblica.it


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