pilota

3 Ottobre 2015

Prima di essere un pescatore sono senza dubbio un Pilota di aerei e, anche se tra inevitabili alti e bassi di
motivazione,questo è l’unico lavoro che so fare veramente e per il quale ho rischiato la pelle più volte.

Ho iniziato nel 1977 volando con gli alianti a Rieti e da allora, non ho mai smesso. Erano i tempi del mitico
aliante Canguro (in legno e tela) e il mio istruttore dapprima fu il Col. Antonio Fincato e quindi Valerio
Poceck.
Trascorsi due mesi fantastici e decisi che quello era il mio tipo di vita anche se onestamente, mi sentivo
abbastanza scarso forse perché nel primo atterraggio da solista posai il Canguro tra la pista atterraggio alianti
e quella riservata ai motori. Un esordio  da virtuoso…. se si pensa che rientrai nella pista giusta senza abbattere
nemmeno un cinesino!!!!. Per fare il Pilota, nel 1980 abbandonai tutto, pesca e volley compreso, e mi rinchiusi in

quella sorta di prigione dorata che è l’Accademia Aeronautica.
In quel di Pozzuoli,  che è una Università in cui si studia sul serio, si impara a crescere e prendere decisioni.
Sono stati 4 anni difficili che mi hanno spalancato le porte al lavoro più bello del mondo, almeno fino a quando

“volare” non è diventato solo un lavoro
Sono anche stati 4 anni terribili sotto il profilo umano perché è una lotta quotidiana contro cose che ti sembrano
siano impossibili e che invece, a Pozzuoli sono la norma. In quegli anni ho conosciuto quelli che poi sono gli
amici di una vita, i compagni di Corso dello Zodiaco 3°, quelli che rivedi dopo trenta e passa  anni e ti accorgi che non
è passato il tempo perché, magari con i capelli (o senza) siamo sempre il solito gruppo di ragazzini.
L’Accademia non è un bel posto dove trascorrere gli anni compresi tra i 19 e i 23 perché le privazioni sono
tantissime soprattutto per chi, come me, era abituato a fare tante cose belle; giocare a pallavolo, fare il DJ per
le radio private, scrivere recensioni di musica ed ovviamente, andare a pesca.
Non avevo avuto molto tempo di studiare nell’ ITISS Fermi di Roma e la mia maturità era scaturita solo dal saper scrivere in italiano molto meglio degli altri compagni di classe, non certamente per la mia cultura in elettronica o tecnologia.

Su certe materie, elettronica in primis, non credo di aver mai aperto un libro.
Ovvio che in Accademia abbia dovuto recuperare un gap tremendo ma alla fine, c’è l’ho fatta pur senza essere mai un “primo della classe”.
E’ poi finalmente, è arrivato il momento delle scuole di volo passando per Latina dove feci la mia prima esperienza con Cristiano Rett che fu un grande Istruttore e mi mise l’aquila di Pilota d’aeroplano sulla divisa.
Gli anni seguenti non furono così felici per  l’aver incrociato un paio di istruttori demotivati, ha rischiato di distruggere un sogno. In realtà a giudicare dal fatto che sono 33 anni che vado in aereo , credo stesse prendendo una cantonata non male quel tale Enrico  P. che poi ha fatto Comandante in Alitalia e che sul SIAI 260 mi fece veramente passare un brutto periodo. Un Istruttore demotivato che non avrebbe mai dovuto fare quel mestiere, perché un Istruttore demotivato può distruggere un sogno!Troppi ne ho visti, di sogni andare in pezzi a causa di qualche mediocre Istruttore che non ne aveva voglia.  Tutto differente fu l’approccio con la Scuola di Lecce;dove ebbi un grande Maestro del volo, Sandro Deiana detto “Pennello” per le straordinarie ed armoniose geometrie che disegnava con l’aereo. Con lui volai  il 60 % delle missioni ed imparai tantissimo al grido  “a Ripamò…non hai capito un c…zo, rifai la manovra!!”. Lo ricordo con grande affetto quel grande Istruttore che mi ha dato tantissimo e mi ha fatto diventare Pilota perché alla fine. imparai, direi,… bene.
Il 1 Dicembre del 1983 andai  ad Amendola (FG) a volare sul G91T, un aereo difficile dalla fama di “ammazza allievi” per via degli strumenti davvero ridotti e del volo, veramente impegnativo al massimo. Volai dapprima con Giulio Francillotti, quindi con personaggi straordinari come Renzullo, Micale, Pistorello, Patrese, Samorè, Gazzola, Anselmi, tutti professionisti di alto lignaggio che poi sono diventati Comandanti di aerei di linea per Alitalia.
Eh si perché passa il tempo tanto velocemente che quasi non ci si accorge di essere nei pressi della fine di una lunga carriera a bordo degli aerei e coloro che ti hanno insegnato, inevitabiolmente, hanno passato il testimone a colleghi più giovani.
Il 1° Aprile del 1984 divenni, primo per il mio corso d’Accademia, Pilota Militare dopo un bellissimo esame strumentale che feci sotto la supervisione del TCol. Di Giovine, autentico spauracchio per tanti.
In realtà “Gigino” era buono come il pane e solo se combinavi qualche cosa di tremendo riuscivi a fargli perdere l’aplomb.

Io feci un bel volo, sbagliai veramente il minimo e dopo meno di un ora ebbi la chiara sensazione che il risultato sarebbe stato ottimo. Nel debriefing, il mio esaminatore mi fece i complimenti e mi resi conto che sulla mia giacca sarebbe stata appuntata una Aquila con Corona; il sogno di molti, il traguardo per pochi.
Finalmente mettevo l’aquila con corona al posto su quel piccione spelacchiato… Nel corso di una bella cerimonia fu mio padre ad appuntarmi direttamente l’aquila che ancora oggi indosso sulla divisa dell’ìAlitalia. Un simbolo che vale una vita per ciò che rappresenta; un segno che ci distingue su tutti gli altri colleghi piloti e che ci unisce a prescindere dalle strisce di stoffa che si portano sulla divisa.
Ma il brevetto di Pilota Militare fu solo un passaggio obbligato perché qualche giorno dopo mi comunicarono che avrei continuato l’addestramento per l’iter “pre operativo” ovvero quello destinato ai piloti per le linee “caccia”. Un traguardo da raggiungere senza errori perché il sogno di volare su un 104 si sarebbe veramente potuto avverare.

Basse quote, intercettazioni, aria /aria, poligoni di tiro, missioni operative furono il coronamento di una periodo entusiasmante in cui vedevamo il reparto caccia avvicinarsi sempre di più! Ma per me c’era una sorpresa in serbo, e la cosa mi fece felice.
Poiché in questa nuova fase addestrativa ottenni buoni risultati,  insieme ai miei amici Arturo Argenzio, Vittorio Sassani e Claudio Gabellini fui scelti per diventare Istruttore “a giro chiuso”.
Un raro privilegio dal mio punto di vista, un onore per come la vissi io stesso ma, non tutti furono successivamente della stessa idea. Ad esempio, non fu della stessa idea il Comandante delle  Frecce Tricolori di allora che all’ultimo istante (veramente all’ultimo) mi fece sorpassare da un collega con la scusa che “veniva dal 104”.  Non divenni un pilota della Pattuglia acrobatica nazionale per un soffio e quella cosa non mi andò giù per un bel po di tempo.Ancora oggi mi domando se quella “sliding door” avrebbe comportato un cambio radicale del mio atteggiamento verso l’Aeronautica. Beh, la mia vita srebbe cambiata in meglio o in peggio, non lo potrò mai sapere.
Tornando al “Giro chiuso” , era evidente che per molti, eravamo troppo giovani per essere istruttori, troppo inesperti, ….troppo di tutto. Certamente gran parte era assolutamente fondato ma quella del “Giro Chiuso” era una esperienza lungamente condotta anche negli States (FAIP) per cui c’era solo da superare una barriera psicologica con i colleghi.

Subivo il fascino dei badge che questi collghi mostravano sulla tuta da volo, segno inequivocabile che avevano fatto un percorso più completo del mio e vi era sempre una forma di soggezione verso coloro che avevano  quello del 104 e mi domandavo se ero veramente all’altezza di simili colleghi blasonati.

Non fu facile completare l’addestramento ma grazie a Donadel, Gardini, Battistini, Parovel, Mugnai ed altri ancora, alla fine completammo il nostro iter diventando entusiasti istruttori di aerei da caccia (G91T e MB339).
Trascorremmo un periodo straordinario volando sul G91T, quindi tornammo sul 339 per essere qualificati Istruttori di Volo (Corso CIV) e venimmo quindi rassegnati alle due scuole di volo a jet. Arturo ed io ad Amendola, Sax e Claudio a Lecce.

Un ciclo addestrativo e di vita semplicemente superbo che finiva con un grande successo; potevo mettere il badge con la Fenice e la “I” di Istruttore sulla mia tuta da volo.

Per me, il massimo.

Ad Amendola , trascorsi anni eccezionali e ripresi la pesca a tempo pieno anche perché non c’era molto altro da fare. Si viveva bene, l’ambiente era molto piacevole e mi trovai benisismo al punto che ricordo quell’esperienza come meravigliosa anche perché fu determiante per la mia carriera di angler assai più che quella di Pilota.
L’ambiente di lavoro era eccezionale, giovane e motivato anche se eravamo costretti a stare così lontani da casa e dagli affetti. I miei amici dell’epoca (lo sono ancora oggi) rispondevano al nome diMax Boccardo, Vincenzo Varriale, Andrea Gazzola, Fabrizio Micheli, Umberto Aguggiaro, Giangi Savoldelli, Bobe Sardo, il compianto Sergio Scalmana per citarne alcuni dimenticandomene molti.
La “fatica” di vivere così lontano da casa e dalla mia fidanzata Lucilla (ora mia moglie) si poteva sopportare benissimo considerando che il mare era a 10 km e l’estate durava praticamente 8 mesi.
In quegli anni ho avuto modo di addestrare e contribuire a formare tantissimi piloti che oggi ritrovo in Alitalia vome Comandanti. Vinsi anche un Premio Speciale come MIglior Istruttore…beh, mi piaceva davvero fare quel mestiere e con molta titubanza accettai la proposta di trasferirmi sul 104  perché ad Amendola ero stato benissimo. L’idea di ricominciare da zero non mi pareva totalmente entusiasmante….e non mi sbagliavo.
Sta di fatto che venni assegnato al IX Gruppo CIO di Grosseto e mio ritrovai a frequentare la transizione  con gli stessi allievi piloti che avevo addestrato fino a qualche giorno prima. Ragazzi in gamba che mi accolsero benissimo e di cui ho ottimi ricordi come Fabio Manganelli, Ambres Sintoni,Andrea Marasca e tanti alti veramente tosti.
Il TF 104 era un bell’aereo, veloce e difficile del quale presi le misure non senza difficoltà fondamentalmente perché dopo 4 anni passati a fare l’istruttore, non era facile ricalarsi nei panni dell’allievo. Gli Istruttori del XX me lo ricordarono con le buone e le meno buone anche se Mario Vitali, Tony Fogliani, Fabio Landi erano amici e piloti straordinari che mi resero la vita assai più facile. Altri, in particolare il Comandante di Gruppo, non fece altrettanto e l’unica “Min.Suff.” di tutta una carriera mi arrivò proprio da lui dopo un volo in coppia…Pessimo ricordo davvero e una caduta di stile completamente ingiustificata a mio parere da parte di quel signore….

Feci il mio primo volo solista, proseguii nell’addestramento e quindi venni assegnato al Reparto posto dall’altra parte della pista; il leggendario IX Gruppo di cui tanto avevo sentito parlare tante volte e con timore.

Il IX Gruppo del 4° Stormo.
Iniziarono anni difficili per l’ambientamento perché un Reparto Operativo non è un Gruppo di una Scuola ed ammetto che faticai moltissimo a ritrovare una mia dimensione e le giuste motivazioni. L’aereo era bello, il volo spesso era eccitante e le turnazioni d’allarme accettabili soprattutto quando avevo la possibilità di rischierarmi a Sigonella (CT) dove mi facevo delle pescate memorabili con il caro Lorenzo D’Amico.
Non volai molto al’inizio anzi; per il fatto che ero prossimo all’invio presso la Scuola di Guerra Aerea si limitarono a farmi fare qualche ora e perdetti tempo preziosor per arrivare a quella Combat Readiness che mi serviva e che volevo. Era l’epoca in cui si decollava su “scarmble” piuttosto spesso e l’adrenalina era spesso al massimo livello considerando che si decollava in 5 minuti e si andava ad intercettare. Grande mestiere, grande esperienza ma una aereo non più all’altezza dell’epoca in cui tutto si svolgeva. Questo è il grande rammarico che ho sempre avuto nella mia carriera di pilota militare, tranne il 339 ho sempre volato su aerei vecchi e non in grado di essere all’altezza dei tempi.
Il Gruppo era legato a tradizioni importanti ma a volte, difficilmente comprensibili per chi non fosse nato in quel reparto. All’inizio, non mi trovai benissimo lo ammetto senza problemi perché faticavo a comprendere il differente trattamento riservato a Istrana (XXII Gruppo) al mio amico Arturo Argenzio, trattato da subito  per quello che effettivamente era; un pilota esperto, un istruttore di volo, un Capitano e quindi, una risorsa da sfruttare subito.
A me invece fu applicato un tirocinio differente a partire da un addestramento assai più lungo (e totalmente immotivato) e il miraggio di riprendermi le qualifiche di Capo Coppia e Capo Formazione chissà quando.
Questione di scelte ma pensare che fossero scelte eccessivamente conservative e troppo legate alla tradizione non è certamente reato di lesa maestà.Superati questi momenti, diventato Combat Ready sotto il Comando di Fabio Molteni e quindi, Capo Coppia sotto il periodo di Comando di Enzo Vecciarelli cominciai a riprendere una dimensione adatta all’età anagrafica ed al gradi che vestivo…direi…., finalmente.
A Grosseto ho vissuto gran parte della mia vita aeronautica passando momenti bellissimi ed altri veramente tragici come la perdita di compagni di volo a causa degli incidenti.
Sono impressi nella mia mente  Sergio Scalmana, Ettore Di Blasio, Alessandro Brondi tutti caduti in quegli anni.
Tutte vittime di un aereo che non serviva a nulla, diciamolo chiaramente al di la della leggenda del 104, della sua magnifica storia che è un pezzo determinante della storia dell’Aeronautica Militare Italiana.
Ma eravamo alle soglie del 2000 e volavamo un aereo  vecchio di 50 anni per colpa della gravissima connivenza tra politica e industria.
Quel terribile intreccio di interessi è storia comune in Italia e anche l’Aeronautica non ne era immune anzi, era un bersaglio preferenziale visto i costi dei sistemi d’arma.

Martin Baker Club
Quando fai il Pilota da caccia metti in conto la possibilità di avere un incidente perché nel corso dell’anno , purtroppo, la tragedia era sempre dietro l’angolo. Ci ero andato vicino due volte ad Amendola e ne ero uscito per il rotto della cuffia. La prima volta ebbi uno stallo aerodinamico in virata base con forte vento al traverso e il G91T mi partì in un inizio di auto-rotazione a 800 piedi di quota.
La seconda volta accadde facendo il chase ad un allievo che non riusciva a tenersi sotto le nuvole durante una bassa quota. Vedendolo entrare per l’ennesima volta nelle nuvole, gli ordinai di effettuare una salita verso la quota minima di sicurezza. Lo seguii andando praticamente in assetto inusuale a 1500 piedi sulle montagne vicino a Campobasso.
Ne  uscii con un tonneau e con un mezzo arresto cardiaco!!!
Poi, ebbi il mio incidente vero e proprio; era il 23 aprile 1991 quando il mio F104ASA nel bel mezzo di un temporale, decise di spegnersi costringendomi al lancio. La foto la potrete vedere qui sopra; io ricordo perfettamente ogni singolo istante del lancio, il dilatarsi dei tempi, l’accelerazione eccezionale e la botta dell’apertura del paracadute. Poi il silenzio, il rumore del vento e della pioggia tutt’intorno e la paura di cadere chissà dove. Intanto, il mio Starfighter era caduto in un bosco e non appena fuori dalla nuvole vidi il fumo salire da lontano.
Poi, la discesa nel bosco, la ricerca della salvezza, l’arrivo dei soccorsi ed il rientro in base con l’elicottero. Non mi ero fatto nulla e non avevo distrutto nulla, fatta eccezione per quel 104 che mi aveva tradito.
Fatta l’eccezione per Pietro Venanzi, Loz Costa e Daniele Giorgetti (che non appena seppe dell’incidente prese un 104 e mi raggiunse a Grosseto da Decimomannu dove era rischiarato )  fui lasciato da solo con i miei incubi.
Pochi minuti dopo essere stato riportato in base, fui incredibilmente mandato a casa (da solo in macchina) a cambiarmi per mettermi in divisa (??!!) ed aspettare nella sala d’attesa del Comando di Stormo dove un mediocre personaggio pareva assai più preoccupato dei risvolti (inutili) per la sua carriera piuttosto che felice del fatto che un “suo” pilota si fosse salvato.
Fatto sta che quella prima notte dopo l’incidente, la passai da solo con il solo conforto del mio amicoAlessandro Baldassarri che a Grosseto, faceva il barbiere.
Non feci nemmeno una visita medica e dovetti aspettare il giorno dopo per essere accompagnato in ospedale. Per la cronaca, nessuno si accorse che avevo subito un leggero schiacciamento della colonna e l’espulsione di alcune ernie e dopo 24 anni ancora ne pago le conseguenze.

Pochi minuti dopo l’incidente mi mandarono a casa per mettermi in divisa..mi fecero guidare la macchina sebbene 2 ore prima mi fossi lanciato da un F104 in un CB….Solo quello varrebbe una causa di servizio e l’abbuono di 5 anni previdenziali ma, povero illuso di vivere in un posto normale, non apriì nemmeno la “causa di servizio” ….errore grossolano. L’Italia non merita queste cose.
Nel frattempo, del mitico IX Gruppo quella sera….; un silenzio assordante…tutti a farsi i casi propri…..(tranne Daniele Giorgietti) e nessuno che avesse proposto di bere un bicchiere al Circolo Ufficiali.
La cosa non mi piacque affatto, lo ammetto.
Il peggio doveva ancora avvenire perché il vero nemico dopo un lancio in IMC è dentro di te e non te ne accorgi fino a quando non ti ritrovi a 1000 piedi nel bel mezzo del Tirreno a 450 nodi ed in piena notte.
Allora il mostro esce fuori e con esso quella terribile sensazione che l’aereo non fa più quello che vuoi tu. Ogni secondo che passa, senti andare via le tue certezze e cresce la paura di non essere più in grado di fare quello che hai sempre fatto. Anche il volo livellato, diventa difficile figuriamoci una virata “hard” a 4 g .
Ti passa per la testa che quello sarà l’ultimo volo sul 104 perché dopo l’atterraggio, devi smettere per non rivivere quei momenti di terrore.

Poi atterri e rimandi la decisione per provare a vincere la sfida con il mostro.

E’ rischioso e qualcuno alla fine si è fatto molto male ma, nessuno può dirti cosa devi fare di te stesso.
D’altra parte, queste sensazioni, se non le hai mai provate direttamente, non le puoi nemmeno immaginare.
Chi ne parla, sa cosa significa per averlo vissuto oppure è un ciarlatano.
Non esiste nulla più devastante, emozionante e che lascia adrenalina in circolo per molte settimane!

Forse per anni.

Io combattei questa guerra segreta per quasi due anni nei quali, forzavo me stesso ma, a bordo, ero veramente in difficoltà non appena si ricreavano le condizioni simili a quelle dell’incidente (IMC, temporali e bassa visibilità).

Molti degli uomini attorno a me, questo nemmeno lo immaginavano.
Il mio lancio, avvenne dentro una cellula temporalesca e tutta la sequenza compresa parte della discesa fu dentro un temporale. Non fui io a “mettermi nei guai” ma  certamente senza volerlo, il Radar che guidava il mio leader (Paolo Mugnai). Io mi limitavo a seguire in “trail” a 20 secondi con il radar in “lock on”  seguendo una prassi tipica degli intercettori per una delle tante missioni di ripresa al rientro dalla Scuola di Guerra Aerea.
Paolo mi disse di essere dentro un “CB” ed un istante dopo sentii chiaramente la perdita di spinta del mio motore, preceduta da un colpo secco ed una vampata di luce.
Provai a rimettere in moto il J79; quella  sequenza è ancora stampata nella mia testa “Throttle su stop, Relight On , Throttle Idle”. Provai due volte e forse la seconda ebbe l’effetto voluto ma oramai, stavoentrando nella minima altitudine di sicurezza per cui non era più possibile rimanere dentro senza rischiare di diventare tutt’uno con il mio 104.
Il lancio è una esperienza tremenda ed inspiegabile nel senso che nulla può rendere l’idea di ciò che si prova. Certamente lo spazio si dilata; il singolo seocndo diventa minuto e ogni singola frazione di quel secondo, diventa un video clip che ti si stampa in testa e non va più via. Mi andà bene, tanti altri sono morti o si sono fatti molto male. A me andò bene e basta, senza merito alcuno. Atterrai in un prato dopo essere stato in IMC dentro piovaschi e sentendo i tuoni sotto di me….mancai i cavi della’lta tensione, mancai gli alberi che mi avrebbero bucato come un foglio di carta ed atterrai involontariamente in un prato bagnato. Trovai conforto in una piccola casa e riuscii anche a telefonare al Gruppo che mi dava per disperso..Tutto bene dire ma era solo l’inizio. Successivamente, la commissione appurò che se anche avessi avuto tutta la spinta del motore , nel momento in cui mi  lanciai ero così vicino a terra che non avrei potuto evitare l’impatto.

Insomma, mi andò molto bene.
Iniziava però la vera guerra, quella che combattei dopo, in piena solitudine cercando di non trasmettere nessuna emozione ai colleghi che avevo attorno.
La vinsi la guerra e questa, fino ad oggi è stata la prova più difficile che io abbia mai dovuto fronteggiare.
Tutto il resto sono sciocchezze, credetemi.

Nella mia carriera in AM, ho visto ottimi comandanti mentre altri,  si sono rivelati modesti come piloti e purtroppo, anche come uomini.

Certamente quello che ha lasciato il segno più importante è stato Carlo Serafinelli che nel giro di un anno riuscii a rimettere il gruppo a posto, a metterci a disposizione tantissime ore di volo e farci vivere in un ambiente finalmente
sereno, pieno di attività,  motivante e senza quell’impressione che qualunque cosa tu faccessi ti si sarebbe potuta ritorcere contro.
Carlo è stato l’esempio di comando che ho cercato di seguire; nessun fanatismo, chiarezza nella comunicazione e consapevolezza che non si aveva a che fare con burattini ma con persone.
Ma non è sempre stato così forse perché talune volte mi sentivo lontano da certe attitudini e certi comportamenti che volevano mantenere un Reparto operativo alle soglie del 2000, esattamente come bloccato negli anni ’70.
Ricordo che andavamo in giro con un gps attaccato con un nastro adesivo per cercare di provare a non perderci nelle missioni con F16F18 e F3 . Era una cosa ridicola che feci solo un paio di volte rischiando la pelle e…perdendomi come un pollo in mezzo alla Spagna. Umiliante e illuminante; ma cosa ci faceva un F104 in mezzo a aerei ultra moderni e tecnologici?

Ricordo  una esperienza teoricamente belliissima a Moron (SP) in cui ci rischierammo per 10 giorni per partecipare ad una mega esercitazione. SMA ci disse che dovvamo andare “Tip e Pylon” e noi così facemmo. Feci la prima missione raggiungendo una “CAP” (Combat Air Patrol) a 24 mila piedi. Galleggiavamo a malapena con i bidoni sotto le ali….e, dopo circa 70 minuti di orbite, eravamo ancora li in attesa cxhe qualcuno ci desse un target….nulla di nulla. Al Jocker fuel girammo la “capa al ciuccio” e tornammo a casa …quindi andai a chiedere perché ci avevamo scramblato per stare in aria 95 minuti per nulla a bruciare ore e benzina. Mi dissero che non potevamo essere inseriti negli scenari perché ci mancava il trasponder, che il nostro radar non vedeva nulla e che l’esercitazione si stava svolgendo a bassa quota per cui dovevamo accontentarci di fare CAP ma che, forse, ci avrebbero assegnato target nelle successive missioni.

Questo avvenno dopo altre ore bruciate…ma, fu una questione di pochi istanti.

Target for you, bearing 060° 35 miles….070°, 25 miles ..Conferm lock on? Negative (mai fatto un lock on a 25 miles….NdA), Bearing 090°/ 20 miles, please conferm you are lock on!!  Negative Sir.

OK Knock It Off.

In sintesi, “….non vedete,…. non ci fidiamo, a 20 miglia vi hanno già stra- abbattuti. tornate a casa…..!

E tornammo a casa non prima di aver fatto un supersonico a 200 piedi attraverso lo Stretto di Gibilterra…’unica cosa che lo Starfighter poteva fare meglio di altri.

Una vergogna..altro che eroi…

La vergogna di essere un pilota da caccia di un’altra epoca.
Furono queste ed altre  esperienze negative maturate a livello personale a farmi arrivare  alla decisione di lasciare l’AMI anche se non prima di aver vissuto l’esperienza del Comando di Gruppo; l’unica,  professionalmente, che mi mancava.
Così feci….nonostante alcuni miei…. ahahahaha…superiori… avessero provato, con l’inganno, a offrirmi (trasferirmi) ad un Comando su base aerea diversa da Grosseto dopo avermi mandato, con promesse mirabolanti, alla Scuola di Guerra Aerea di Firenze. La promessa era  che avrei Comandato il IX Gruppo per due anni per colmare un gap che si era creato dall’andata in AirOne di Renato Mericio.

Era una pietosa bugia di cui due persone sono totalmente responsabili. In un caso, il mio giudizio era sempre stato modesto perché si trattava di un personaggio bizzarro, mentre nell’altro rimasi veramente sorpreso nello scoprire la bassezza che aveva raggiunto. Mai me lo sarei aspettato da un uomo celebrato per la serietà, correttezza e etica che professava in ogni occasione. Una persona di cui ho stima anche oggi, nonostante tutto e che agì per stress e non dopo un ragionamento razionale.Altrimenti sarebbe un guaio visto che lo vedo prossimo CSM…
Fu in quei terribili giorni passati alla SGA di Firenze in cui “io” sapevo tutto ma i miei capi ,”ignoravano che io lo sapessi” nei dettagli e stessi preparando le contromisure, che scoprii una enorme solidarietà da parte di tanti colleghi  a cui confidai quel segreto.
Segreto  che avevo scoperto per caso, grazie ad una soffiata di chi aveva visto una relazione inspiegabilmente negativa contro il sottoscritto.

Talmente inspiegabile da sembrare più uno scherzo che non una cosa seria anche se le firme non lasciavano adito a dubbi. Era tutto vero.
Un gesto meschino che non perdonerò mai.

Era talmente evidente che l’autore stava prendendo un abbaglio monumentale che dovetti difendermi in modo altrettanto  “segreto”, producendo una lunga relazione che finì direttamente nella mani del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica.

L’ho sempre detto chiaramente; arrivai al Grande Capo perché sono figlio di un grande uomo dell’Aeronautica. Se così non fosse stato non avrei avuto difese contro questa schifezza..

Era un rischio enorme poiché avevo saltato di pari passo, tutta la catena gerarchica ma, a mali estremi ed alla ingiustizia estrema….

Ne scaturì una indagine durata circa 10 giorni. In quel frangente ero con la SGA all’estero dopo aver subito un esame molto duro, inspiegabilmente duro…che superai…come avevo sempre fatto.

Mi fu chiaramente detto che se una sola parola di quanto scrivevo fosse risultata anche solo parzialmente vera, avrei passato dei guai enormi.

La Commissione appurò che TUTTO ciò che avevo scritto, era assolutamente ed inconfutabilmente VERO:

Scrissi forte del mio passato impeccabile, privo della minima macchia ed in compenso, ricco di riconoscimenti e premi che si scontrava contro una malcelata antipatia per la semplice ragione di non accettare regole antiquate e comportamenti inadatti ai tempi.

Pagai l’aver cercato di tenere il gruppo unito e non diviso in parrocchiette fatte di figli e figliastri.
Fu incredibilmente accusato di aver agito in modo esattamente inverso.

Quello, fu un avvenimento che mi fece capire che in quel tipo di AM, il mio spazio si stava restringendo.

Invidie di bassa….finto fanatismo….se ancora oggi, dopo 20 anni , mi indigno significa che erano le persone  con cui non volevo più condividere nulla.
La vita non è la solo “cloche e manetta”. Molti non l’hanno capito, io forse ho avuto il privilegio di sentirmi un uomo libero da stereotipi. Questa è la differenza. Pilotare un caccia è straordinario ma, non bisogna coprirsi di ridicolo nel momento in cui vai in giro con una aereo 40 anni più vecchio di tutti gli altri schierati dai Gruppi della NATO.
C’era l’orgoglio di essere parte di una casta di privilegiati che volavano su un pezzo di storia e che poteva schiacciarti al minimo errore ma, eravamo in Aeronautica per fare i Piloti da Caccia non portare in volo un pezzo da mausoleo. E il 104 era solo un pezzo da museo che stava provocando gravissimi danni alla nostra crescita professionale poiché il resto del mondo volava con strumentazioni ultra avanzate; mentre noi…. bussola ed orologio.

Si pensi che un attuale Gen. SA sosteneva l’inutilità assoluta di avere il radio altimetro su un F104..io che volavo le missioni operative a 1000 piedi sul mare di notte ne avrei invece voluti 2…questa era la distanza che esisteva ta finzione e realtà. Tra l’essere piloti da holding per fare ore e mettersi una pecetta da 2-3000 ore di spillone…e chi provava ad essere operativo…
Anche questo contribuì a farmi capire che mi ero stancato di operare in una Forza Armata che esisteva solo per firma perché tanto, con il 104 non ci avrebbero mai mandato da nessuna parte nè. nessuno nella NATO, ci avrebbe voluto mai prendere sul serio o averci tra i piedi in caso di “cose serie”.
Lavoro fantastico, uomini eccezionali ed esperienza unica ma, c’è anche molto altro da provare nella vita.
Ed io ho fame di provare  mille cose

Il Comando di Gruppo.
Ho avuto piloti eccezionali sotto il profilo professionale ed umano.
Altri, non erano con me nel mio periodo di comando ma, li avrei voluti (Loz Costa, Vic Coletta).Tra i piloti che maggiormente ricordo con affetto ve ne sono alcuni come Claudio Berto che veniva da una esperienza professionale simile alla mia (giro chiuso a Lecce) e che era stato bistrattato al suo arrivo quasi fosse un pilotino.
Era un uomo di esperienza e non sopportavo l’idea che un collega di tale valore non venisse considerato un grande valore aggiunto per un gruppo che ne aveva un bisogno disperato. Ma era la storia che avevo vissuto io che si ripeteva ed io non lo volevo affatto!
Chi lo trattava malissimo era , tra l’altro, un amico di cui non stimavo la preparazione professionale per cui..
Tra i grandi ricordi, Giorgio Antonio, un pilota eccezionale e un gran bravo ragazzo così come, Bruno Guazzeroni.
Ma ricordo anche la scommessa vinta con Lele Zanchetta che era arrivato preceduto da giudizi duri e che in realtà si era dimostrato un pilota superbo. Come Ivan Laudizi assolutamente un “manico” di prima categoria che faceva le cose difficili con una tale semplicità da lasciarmi sempre sorpreso. Voglio anche ricordare un altro grande Pilota; Mario Abeille che ho visto da S.Ten appena arrivato al Gruppo e dopo quasi 18 anni è una delle colonne portanti del XX Gruppo con esperienza straordinaria su 104, EFA e Mirage.
I miei sottufficiali, furono strepitosi (non li cito perché l’elenco sarebbe lunghissimo) e mi permisero di trascorrere un periodo di comando fin troppo comodo e facilitato. Alla fine il Gruppo, passò un anno positivo, almeno a giudicare dalla  “Ballata dei Comandanti dei IX” che poi mi dedicarono e che si svolse in una atmosfera strana, quasi rarefatta e per me, assai tesa. Ero teso perché tra gli ospiti c’erano persone che conoscevano la vigliaccata che mi era stata fatta e dalla quale ne ero uscito  bene ma ferito dentro.

Io cercai di essere semplicemente me stesso, non il superuomo con i gradi che pontificava. Non il Pilota illuminato che non commette errori anche perché, di fesserie ne è piena la vita di un Pilota.
Un Pilota è quello che sa che l’aereo non si prende in giro e lo si rispetta; i finti top gun pieni di stemmi e badges che poi si nascondevano se c’era da fare la “Low Ceiling route” per portare le formazioni a sparare  Capo Frasca mi hanno sempre fatto una grandissima pena. Anche perché ne ho “sgamati” diversi. Io invece, a fare la “low ceiling route” da Tenente e con gli allievi in ala, ci andavo sempre e comunque…

Colmo dell’ipocrisia, sia alla cerimonia di presa del Comando che nel  giorno dell’addio, presenziarono anche alcuni dei personaggi che mai avrebbero voluto vedermi comandare “quel” Gruppo.
Ma tanta acqua era passata sotto i ponti e taluni giudizi nei miei confronti erano stati cambiati di 180°..Cosa volete che sia…basta cambiare idea…Nonostante questo,  la cosa fu apprezzabile sebbene lo sgarbo patito sia ancora ben evidente nella mia testa.
“Essere presenti” è un dogma per fare strada ed è esattamente quello che a me ha sempre dato fastidio eppure….. faccio televisione, video, conferenze da oltre 20 anni. Ma lo  faccio perché mi piace, non per ottenere una promozione o mettermi in vista.
La “Ballata dei Comandanti del IX Gruppo” è stato il mio ultimo atto in Aeronautica Militare.
Feci il mio ultimo discorso emozionandomi non poco sebbene io mi consideri da sempre un buon oratore….. ma oramai tutto era alle spalle, anche gli ipocriti. La decisione di lasciare l’AM era presa sebbene con non poche perplessità. A me fare il Pilota di linea interessava assai poco ma l’essere stato assegnato all’Ufficio Politica Militare di SMD, interessava (a torto ora direi senza esitare), assai meno.
Ero passato in Alitalia senza troppi rimorsi e solo l’enorme affetto tributatomi dagli uomini del IX mi fece capire che si era chiuso un periodo della mia vita, assolutamente fantastico.
Non sono però più tornato al Gruppo perché ho voluto chiudere per sempre quel capitolo. Troppi ricordi, troppa nostalgia di quando tutto quello che avevo studiato e fatto, serviva a qualche cosa. Ora mi rendo conto che anni di studi sono stati uno spreco enorme per tutti perché, dove opero oggi, non sanno cosa significa essere stato un Pilota e un Comandante dell’A.M.
Uno degli ultimi atti del mio Comando di Gruppo  fu la manifestazione di Pratica di Mare e in quel momento, l’idea di lasciare divenne certezza….

Pratica di Mare, 23 Maggio 1998.
Per circa 4 mesi ero stato scelto ed addestrato dal Gen.Miniscalco (ex PAN) per portare , dopo circa 10 anni, una formazione di 9 F104 sul cielo di una manifestazione aerea. Fino a quel momento lo spillone era quasi bandito e ci si era limitati a qualche sorvolo striminzito.
Con il “Mini” preparammo la manifestazione nei minimi dettagli anche se sin dal primo giorno, capii che la partita in gioco era alta perché altri reparti dell’AM su F104 chiedevano perché io fossi stato scelto come Capo Formazione.
Sin dal primo giorno sentii di essere molto, sotto esame. Non dal buon Miniscalco che non mi sembrava avesse dubbi e questo mi faceva molto piacerema, da chi voleva prendere il mio posto accampando una presunta maggiore esperienza di volo sul 104 (ma dimenticandosi delle altre 1500 ore che avevo sul libretto…). Arrivammo, al giorno delle prove generali alla vigilia della manifestazione e la giornata era di quelle con tanta foschia e bassa visibilità.
Eravamo addestrati anche a questa evenienza e avrei dovuto limitare solo, la salita in Full A/B (post bruciatore) in linea di fronte in 9 (!!!!) e magari toglierla dal programma che, per la cronaca, non si limitava ad un semplice passaggio ma, di una serie di manovre entusiasmanti e spettacolari che avrebbero onorato lo “Spillone”.
Tutto ciò evidentemente, facevano “rosicare” coloro che non facevano parte di quel magnifico momento. Dopo il primo passaggio sul cielo campo, chiamai l’apertura della formazione e la scissione in 3 gruppi da tre F104 per poter ripresentarci in ala destra e accelerare per fare la salita in A/B.

La visibilità era molto scarsa e per questo chiesi di stare “in campana”  e impostai la manovra in modo molto delicato. Mentre i mie due gregari mi stavano in ala, sentimmo il gregario della seconda formazione di tre, chiamare il proprio leader urlandogli di non scendere (eravamo a 500 piedi..).

Ci fu un silenzio purtroppo fragoroso, soprattutto per coloro che erano in ascolto e che non vedevano l’ora di

bloccarci e criticare le scelte fatte. Per fortuna, il leader della seconda sezione, rimise le cose a posto e ci preparammo per il passaggio che avvenne in modo esemplare. Ricongiungemmo e ci presentammo nuovamente in ala per l’apertura e l’atterraggio su Pratica di Mare.
In quanto leader, aprii e cercai una short base molto decisa sebbene non mi piacesse nemmeno un pò il fatto che la Torre ci stesse autorizzando ad atterrare con 12-13 nodi di vento in coda soprattutto nell’ottica di 9 aerei che toccano a 3 secondi di distanza l’uno dall’altro arrivando a 180 nodi. Ma dall’altra parte Fiumicino era attivo e non potevano interessare la sua area.
Arrivai in finale esattamente come avevo sempre fatto nelle mie precedenti 1900 ore di F104 quando portavo una formazione; molto piatto per tenere la mia scia bassa e leggermente lungo per lasciare più pista possibile a chi mi seguiva. Toccai, estrassi il para e il bastardo……, non usci! Cominciai a frenare e, i freni non c’erano! Io commisi uno stupido errore perché non mi venne in mente di staccare l’anti skid e tornare a frenare per cui, vedendo che la pista stava finendo, dovetti abbassare il gancio per ingaggiare barriera.
Entrai mestamente nella Bliss Bak a 30 nodi mentre sopra la mia testa, 4 F104 riattaccavano per andare all’alternato (Grosseto). Tutto nella norma, tutto in piena sicurezza ma il pretesto per romperci le scatole era stato servito su un piatto d’oro.
Era colpa mia, inutile negarlo.
Non feci tempo ad arrivare al parcheggio che l’ottimo Col. Germano Quattociocchi, Comandante del 4° Stormo era sotto l’aereo a farmi capire che c’era chi doveva parlarmi. Stava arrivando un oscuro Comandante di Regione che non aveva forse mai visto un 104 da vicino, per comunicarmi che il giorno dopo, la formazione di F104 si sarebbe limitata ad un passaggio senza atterraggio su Pratica di mare ma, con rientro su Grosseto. Tutto quello per cui ci eravamo preparati per 6 mesi, tutto il Gruppo rischierato, tutto quell’entusiasmo distrutto in un secondo.
Il Generale (..) disse poi una delle cose più penose che avessi mai potuto ascoltare come pilota di F104….”... sa Comandante (io) …ogni volta che un F104 è in volo abbiamo paura, …sono aerei vecchi….,non vorremmo che domani possa accadere qualche cosa per rovinare la manifestazione…..non possiamo permetterci riattaccate…..”.
Pensai di sognare, la mia formazione era composta da 6 piloti Capi Formazione/ Chase e 3 Capo Coppia… ovvero il massimo dell’esperienza dei Reparti 104 di quegli anni e molto più di qualsiasi PAN, Patrouille o Red Arrows!
Ero senza parole; il Comandante della 2^ Regione Aerea mi stava dicendo che “loro” avevano paura del 104, proprio mentre in quel preciso istante e come quasi tutti i giorni, avevo 2 piloti pronti in 5’ d’allarme con tanto di Aspide e AIM9L sotto le ali.Loro avevano paura.
Li vicino, un ex Comandante del 4° Stormo, pilota dello spazio” (il suo soprannome)  divenuto Generale di Brigata a parlare con i miei specialisti dicendo che il loro comandante (io) aveva sbagliato ed era giusto penalizzarci perché non “…esiste entrare in barriera…..” (o qualche cosa del genere).  Tralasciando che si trattava di un comportamento chiaramente lesivo del regolamento di Disciplina Militare era chiaro che quel signore rappresentava un pessimo esempio di pilota e di uomo.
Esattamente quel tipo di uomini  di cui non ho mai avuto un minimo di stima (credo peraltro ricambiato…ma francamente chissenefrega….).
Mi venne la nausea e sfogai il mio stato d’animo con l’unico, insieme a Germano Quattrociocchi che potesse minimamente comprendere le sciocchezze che erano state dette: il Gen. Mario Arpino, Capo di Stato Maggiore dell’AM.
A Lui, comunicai che quella sarebbe stata la mia ultima esperienza in AM e che avrei accettato la chiamata, peraltro più volte avvenuta, da parte di Alitalia.
A completare la giornata nera ci si mise anche un nuovo momento che mi fece capire che dovevo uscire da quel posto.
Dopo la manifestazione giunse infatti un Capitano che ci chiese di rimanere in attesa in un piccolo recinto riservato perché saremmo saliti su un pulmino per schierarci davanti al Presidente della Repubblica. Ci ritrovammo pertanto a chiacchierare tra piloti di vari Reparti di elicotteri, trasporti, scuole di volo oltre a Pattuglie acrobatiche e collaudatori.
Cominciarono ad arrivare i pulmini e salirono ovviamente i colleghi delle Pattuglie acrobatiche seguite dai collaudatori.Questo in barba alla gerarchia dei reparti ovviamente perché a rigor di logica c’eravamo prima noi….ma in Italia ci piacciono i vasetti.
Noi aspettammo fiduciosi il nostro turno …invano…
Alla mia domanda,  in quanto Comandante di maggiore anzianità tra i presenti, un anonimo ufficiale ci svelò che stavamo aspettando senza motivo perché l’incontro del Presidente era riservato solo ai lustrini e le scie colorate ma non per noi, che del’AM eravamo la spina dorsale.
Quindi non eravamo alla festa dell’Aeronautica Militare…quella era la solita festa a cui noi non eravamo stati invitati perché le nostre tute non erano stirate perfettamente anzi….erano sgualcite e logore come quelle di chi opera tutti i giorni. Insomma la solita storiella in cui si premia la forma ma non il contenuto…offendendo decine e centinaia di piloti che non erano nè collaudatori nè freccetricolori
Tre mesi dopo, salutai bandiera e uomini del IX per andare via.
Un  dolore grandissimo e tanti anni buttati via ma, l’idea di incontrare e dovermi ancora confrontare con piloti dello spazio, baroni rossi, fanatici  o uomini che mascheravano il loro essere scarsi limitando gli altri, mi spaventava molto.
Sono un uomo di sport e di sfide ma, ad armi pari e non mediante bassezze mascherate da senso del dovere. Sono nato in AM e la mia vita è stata sempre dentro un aeroporto ma, mi sentivo un estraneo a quel mondo fatto di persone troppo lontane da me. Peccato, ma è stata comunque una esperienza totalmente esaltante che mai rimpiangerò di aver vissuto!


Alitalia Atto 1.
Per uno che esce dall’AM come Comandante di un Gruppo Caccia leggendario come il IX,  sentirsidare dell’allievo da un oscuro ometto dell’addestramento Alitalia,  non è piacevole. Ma era un segnale che dovevo capire subito; dalle stelle (non a caso Starfighter) ad essere un numero in un mondo variopinto e variegato.
Ma questo, era solo l’inizio a dispetto delle mille parole dette durante le selezioni in cui la nostra professionalità ed esperienza era lodata in modo totale. Diventammo numeri e mai cosa fu più negativa.
Alcuni Comandanti erano venuti direttamente a trovarmi in ufficio a Grosseto (il compianto Tiezzi, Zanchetta) chiedendomi  di passare in Alitalia perché la Compagnia aerea aveva bisogno di piloti di provata esperienza. Su di noi, Alitalia aveva fatto bene i conti perché prendendo Piloti militari poteva mettere in piedi corsi teorici di una settimana (anziché 4 mesi come minimo) e spedirci in linea in 2 mesi, anziché in 16.
Nessuno ricorda questi fatti nè, ha capito che razza di regalo abbiamo fatto ad Alitalia. Tutto dimenticato nel nome di una graduatoria spesso definita da accordi…sindacali. Il male della nostra società perché raramente a fare sindacato (certo sindacato all’epoca in auge in Alitalia…) ci vanno quelli in gamba, troppo spesso ci vanno oscuri omuncoli che non hanno molta voglia di lavorare oppure , cercano carriere parallele. Ma sto generalizzando sia chiaro.
Io, come tanti altri “ex militari”  non riuscii nemmeno a fare le 70 tratte previste per l’addestramento in linea, trovandomi idoneo dopo meno di 40. Un risparmio monumentale per la compagnia ma, un merito di cui nessuno di noi “ex”,  ha avuto alcun tipo di riscontro. Ultimi eravamo ed ultimi siamo rimasti al punto che, incredibilmente, per ben 5 anni fummo sottoposti al famigerato “salario d’ingresso” ovvero un salario di formazione frutto della vendita dei colleghi in entrata a favore di chi era già dentro. Anche di questo, non vi è quasi memoria. Sta di fatto che sulla mia giacca, che in quel preciso momento avrebbe dovuto vestire i gradi da Colonnello, erano sparite diverse strisce e ne era rimasta una sola…per poi diventare due per altri 4 anni. Tutto da capo, tutto da rifare. E con la busta paga di un “apprendista pilota”…sentendomi dare del “pilotino” da qualche assistente di volo…
Sin da quel preciso momento ebbi la chiara impressione che avrei vissuto un ambito lavorativo totalmente differente rispetto a chi era entrato solo un paio di anni prima. C’eravamo noi “ex”, con esperienze di volo e comando ma entrati in Alitalia molto avanti negli anni e quindi in fondo alle ridicole liste di anzianità (un primario che cambia ospedale e ricomincia da assistente…) e totalmente esclusi da ogni dinamica aziendale in quanto “non comandanti” . Eppure c’è qualche cosa di profondamente ingiusto anche in questo perché io feci domanda per Alitalia nel 1993 e solo 5 anni dopo venni chiamato. Mi dissero (ma come dimostrarlo?) che esistevano accordi tra Alitalia e AMI di “non belligerenza” nei casi di Piloti destinati al Comando di Gruppo ma, questo valeva per tutti o solo per alcuni??  Scrissi nei forum che la famiglia dei piloti, grazie alle differenziazioni create dai sindacati, era divisa in categorie totalmente ermetiche e non travasabili. Noi eravamo i dipendenti di serie “C” ovvero i pilotini con salario d’ingresso, destinati a rimanere sul medio raggio per moltissimi anni e senza possibilità di diventare comandanti.
Uno di quelli “di serie A” mi scrisse che non dovevo lamentarmi perché “…..mentre … ….tu ne stavi a scazzafottere sul tuo spillone…noi facevamo 50 ore di volo al mese…..”
Non gli dissi che le sue 50 ore di volo al mese in autopilota, non potevano essere confrontate con le 15 mensili che facevamo sul 104 a mano e a 500 nodi perché tanto, non avrebbe mai potuto capire di cosa stavamo parlando.
Non gli dissi che non andavo in ferie da qualche anno e che rimanevamo al gruppo volo 16 ore al giorno e che come Comandante del IX Gruppo guadagnavo meno di una hostess, molto, molto, meno.
Non gli dissi ad esempio che i miei 3.8 milioni di lire al mese significavano quello che lui guadagnava in una settimana di alberghi di lusso e di autopilota sin da dopo il decollo….
Non gli dissi che io, come tanti altri, ero stato selezionato su migliaia ed avevo passato 3 scuole di volo e decine di esami….ed avevo seppellito altri colleghi fraterni…
Non gli dissi che a volare sul 104 eravamo pochissimi per ogni corso d’Accademia……
Non gli disse che mentre lui si riposava allo Sheraton di Catania noi montavamo d’allarme in una struttura rovente d’estate e ghiacciata d’inverno a Sigonella.
Feci finta di nulla tanto, chi non ha vissuto un reparto dell’AM non ha la minima idea di cosa vogliano dire certe cose.
Non lo possono nemmeno immaginare.
Per la cronaca siamo anche diventati amici ma in quell’attimo, lo avrei passato nel tritacarne per la stupidaggine che aveva scritto. Ora ci ridiamo sopra.
Al di là di queste “beghe di bottega”, la mia vita era radicalmente cambiata; pochissimo stress, uno stipendio finalmente decoroso, molto tempo libero e la possibilità di pianificare la vita in modo mai visto prima.
L’ambiente di lavoro, passata la prima fase di studio, non era affatto male ed anzi, spesso era molto piacevole conoscere nuovi colleghi così come volare su quel pezzo di ferro con le ali che è un MD80 un aereo vero, generoso e totalmente affidabile..
Tutto sommato, quella Alitalia era una cosa piacevole anche se la frustrazione professionale rimaneva altissima.  Volare da Copilota quando hai studiato tutta la vita per fare il comandante (e lo hai fatto) ed aver vissuto questa esperienza in modo integrale è davvero spiacevole e serve una bella forza di volontà per non mandare tutti a …correre.
In Alitalia il Primo Ufficiale è un fantasma che non esiste professionalmente  se non per occupare un posto previsto dalla normativa ma, per l’azienda è semplicemente un seggiolino occupato; un costo che deve sopportare.
A nessuno interessa se abbia 12 mila ore di volo e sia molto più esperto della maggioranza dei piloti in linea al punto che spesso, la gente entra nel cockpit e manco ti saluta.

Dopo 8 anni di MD 80 e circa 5000 ore, su quella macchina, decisi di passare sul tamagoki ovvero l’Airbus. Questo cambio lo devo al mio amico Riccardo Privitera, un Comandante che svolgeva le funzioni di Direttore Operazioni Volo del Medio raggio Alitalia e, soprattutto, un pilota che stacca tanti di una bella spanna.
Raramente mi sono trovato così a mio agio con una aereo anche se nei primi simulatori, faticavo a centrare la pista!
Ma si trattava solo di capire alcuni meccanismi per un aereo che è fantastico volato in un ambiente professionale di altissimo livello. Una bellissima esperienza almeno fino a quando non hanno fatto…….. fallire…… quell’Alitalia.

Allora la storia ha preso una nuova direzione e tutto è cambiato.

Oggi mi sento nel cimitero degli elefanti (in senso ironico ed altamente positivo) ma almeno la qualità della vita è migliorata potentemente; volo sul magnifico A330 e mi sposto tra Miami, NY, Pechino, Osaka, Caracas. Vedo posti belli, altri meno, volo con colleghi molto in gamba e penso che questa sarà la macchina dove finirò la mia carriera aeronautica.

Mi mancherà un piccolo salto di qualità ma non dipende da me. Non me ne faccio una colpa ma, ne faccio una colpa a chi ci ha preso in giro e chi, ha permesso che si verificasse un simile obbrobrio che ha distrutto la carriera di centinaia di piloti e disintegrato la credibilità di una professione difficile e forse unica.

Non ho colpe, quelle le faccio ricadere su chi gestisce forte di un un mandato esclusivamente politico che ha ridotto un Paese e non solo una Compagnia Aerea, sul lastrico.

Incompetenza al massimo livello, la verifichiamo tutti i giorni proprio noi che invece, rispondiamo tante volte direttamente di ogni più piccolo errore ed atto…incluso quello di scrivere su un blog ciò che si pensa…

Ma, di questo aspetto terribile ne parlerò tra qualche tempo.

Io professionalmente ed umanamente, le carte le ho tutte, lo dice la mia storia aeronautica priva di macchia e ricca di vittorie…..ma,  evidentemente non serve.

Perché in Italia tutto va alla rovescia e si va avanti a colpi di fortuna.

O meglio, si va avanti per caso….. ma il “caso” o il “fato” non dovrebbero far parte della vita di un pilota di aerei….mai.

 

Fonte: www.robertoripamonti.it/


15 Settembre 2015

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Il Drifting, che letteralmente significa andare alla deriva, è una prova di abilità nella quale non è determinante il tempo impiegato dal pilota per percorrere il tracciato di gara, bensì la qualità con la quale viene condotta la vettura.

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Consiste nel percorrere una o più curve poste in successione nella loro ideale traiettoria con la vettura di traverso nel massimo angolo di sbandata possibile.

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La qualità della prestazione viene valutata dai Giudici di gara, tenendo conto della fluidità dell’esecuzione, delle capacità di controllo del veicolo, del raggiungimento del massimo angolo possibile di imbardata, dell’eleganza della prestazione del pilota.

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GUARDA VIDEO

www.youreporter.it/video_13_SETTEMBRE_COPPA_ITALIA_DRIFTING_ALL_AUTODROMO_DI_MODENA

 

P.G.


22 Agosto 2015

Un elicottero del servizio regionale antincendio della Sardegna e’ caduto in Ogliastra durante le operazioni di spegnimento di un incendio.

Solo ferite lievi per il pilota e il motorista. L’AS 350 B3 Ecureuil I-GVBD (c/n 3689) del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale era partito attorno alle 11.45 dalla base di San Cosimo, tra Lanusei e Arzana, e poco dopo si e’ schiantato al suolo per fortuna quando era ancora a bassa quota. Immediatamente e’ scattato l’allarme da parte delle squadre dei forestali a terra che hanno chiamato il 118. Il pilota, che pare abbia subito le ferite peggiori, anche se non gravi, e’ stato trasportato in ospedale con un elicottero dei vigili del fuoco partito da Alghero.

 

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Praticamente illeso invece, l’altro membro dell’equipaggio. “Non faccio ipotesi sulle cause dell’incidente perche’ e’ ancora troppo presto”, ha detto il Comandante del Corpo Forestale Gavino Diana raggiunto al telefono dall’Agi. E’ possibile che qualcosa non abbia funzionato subito dopo le operazioni di aggancio del cestello che serve per caricare l’acqua utilizzata per domare le fiamme.

L’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo Ansv ha aperto l’inchiesta di sicurezza di competenza sull’incidente (vedi art.  www.ansv.it/It/Detail_relazioni.asp?ID=1955 ) e ha disposto l’invio di un team di investigatori sul luogo dell’incidente per svolgere un sopralluogo per raccogliere elementi utili alla ricostruzione della dinamica e delle cause dell’incidente. Pigliaru, auguri pronta guarigione ai 2 feriti Il presidente della Regione Francesco Pigliaru, l’assessore Donatella Spano e l’intera Giunta regionale esprimono solidarieta’ e augurano pronta guarigione al pilota e allo specialista feriti. “Esprimo la mia vicinanza al pilota e allo specialista dell’elicottero antincendio del Corpo Forestale che sono rimasti feriti questa mattina a Ogliastra, durante le operazioni di spegnimento di un incendio.

 

Auguro una pronta guarigione e ringrazio loro e quanti, tra operatori e volontari, ogni giorno sono impegnati a garantire la tutela e la sicurezza del nostro territorio” ha aggiunto il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina.

 

Fonte: www.agi.it


10 Luglio 2015

 Su un volo Houston-Monaco di Baviera: l’uomo aveva dei proiettili nel bagaglio, li ha prima gettati in un cestino, poi ha usato lo scarico. Non rischia condanne penali

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 Il pilota di un volo United Airlines (volo UAa104) da Houston, Texas, a Monaco di Baviera si era dimenticato di avere con sé delle munizioni. Quando se n’è accorto, ha cercato di sbarazzarsene non avendo il porto d’armi: ha gettato i suoi 10 proiettili prima in un cestino, poi nella toilette.

 

La denuncia ritardata

L’episodio si è verificato lo scorso 23 giugno, ma solo venerdì ne ha dato notizia l’Aviation Herald senza rendere noti i nomi dei protagonisti della vicenda. L’aereo, un Boeing 767-424-ER (cioè a lungo raggio) che può portare fino a 245 passeggeri, non ha subito ritardi durante il volo d’andata ma, poiché il pilota è stato costretto da una hostess a denunciare l’accaduto, ha accumulato oltre 4 ore di ritardo sul volo di ritorno.

 

. Il cestino, l’anello perduto e lo scarico del bagno

Secondo la testata specializzata in incidenti aerei l’uomo si era accorto solo in quota di avere nel suo bagaglio dieci pallottole – non è specificato il calibro – e aveva deciso di risolvere il problema gettandole nel cestino della cabina principale. Sfortunatamente una passeggera durante il volo ha perso il suo anello e gli assistenti di volo hanno iniziato a cercarlo, guardando anche nei cestini. Una hostess ha quindi trovato le pallottole e informato il capitano. Questi ha allora deciso di eliminarle in via definitiva gettandole nella toilette, salvo poi rendersi conto che la hostess avrebbe steso un rapporto e quindi scegliere di avvisare le autorità di terra.

 

Due perquisizioni nei serbatoi dei bagni

Dopo l’atterraggio e lo sbarco degli innocenti passeggeri il velivolo è stato portato in un’area isolata e i pompieri dell’aeroporto hanno iniziato a svuotare i serbatoi dei gabinetti in cerca dei proiettili: dopo una prima ispezione ne sono stati trovati solo sei, quindi la Luftfahrtbundesamt (Autorità per l’aviazione civile) ha disposto che l’aereo rimanesse a terra fino al ritrovamento degli altri quattro.

Il pilota non rischia un processo penale

L’aereo, quindi, non è stato disponibile per il volo Monaco-Houston per oltre quattro ore. Sia le autorità tedesche sia lo United hanno confermato la storia all’Aviation Herald, con l’eccezione del particolare dell’anello. Secondo la compagnia aerea i piloti sono autorizzati a portare una pistola durante i voli domestici, ma il capitano del volo non aveva con sé la sua arma e si era dimenticato di lasciare le munizioni a terra. L’uomo non rischia il processo penale.

 

 

Fonte:www.corriere.it/

 


20 Giugno 2015

“Rand Robinson” KR-2  I-KRFN

Ore 10.10, un piccolo velivolo sorvola ad altissima velocità il sottovento della pista 29 dell’Aeroporto di Marzaglia, per poi atterrare sullo scalo modenese.

Si tratta del formidabile “Rand Robinson” KR-2 I-KRFN (c/n 9478), un vero e proprio velivolo tascabile.

Guarda Video

Il pilota dopo aver atteso l’arrivo delle personecon le quali avrva appuntamento è ridecollato vesro la sua base in Toscana

P.G.


1 Settembre 2014

Sabato, attorno all’ora di pranzo, sono atterrati all’Aeroporto di Marzaglia alcuni ultraleggeri i cui piloti hanno pranzato al ristorante Ostaria Gente dell’Aria.

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Tra i velivoli uno, in Partenavia P-92 ECHO metallizzato con una fascia rossa lungo la fiancata della fusoliera, spiccava per due particolari, le dimensioni delle marche I-3832, ed un simpatico distintivo alato il quale riportava un nome, Simone appunto.

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La domanda sorge spontanea diceva “Antonio Lubrano“, è il nome dell’aereo o il nome del pilota…?

 

Copyright Pierinoinflight


23 Agosto 2014

Le spoglie erano state avvistate già ieri notte a Poggio Anzù, sotto la cabina di pilotaggio distrutta del suo aereo: nella località marchigiana erano stati ritrovati il casco della donna e i resti del terzo pilota, il capitano navigatore Paolo Piero Franzese.

Scontro Tornado, ritrovato il quarto corpo: è quello di Mariangela Valentini

L’Aeronautica militare ha confermato il ritrovamento dei resti del quarto pilota disperso dopo lo scontro di due Tornado nei cieli di Ascoli Piceno.

Una foto fornita dall'areonautica militare il 21 agosto 2014 mostra Mariangela Valentini.  ANSA/AREONAUTICA MILITARE (foto: ANSA)Si tratta delle spoglie del Capitano Pilota Mariangela Valentini, avvistate già ieri notte a Poggio Anzù, sotto la cabina di pilotaggio distrutta del suo aereo. Ieri nella località marchigiana erano stati ritrovati il casco di Mariangela Valentini e i resti del terzo pilota, il capitano navigatore Paolo Piero Franzese. , che è stato riconosciuto dagli effetti personali. (foto: ANSA)

                                                     GUARDA VIDEO

          http://bcove.me/kom8g21c

Nei boschi dell’Ascolano lavorano da giorni 70 tecnici del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico chiamati a intervenire sul luogo dell’incidente che martedì ha coinvolto due Tornado dell’Aeronautica Militare, con due piloti e due navigatori a bordo. I tecnici fanno parte dei servizi regionali di Marche, Lazio, Abruzzo, Molise e Umbria. Il perimetro delle operazioni si estende per circa dieci chilometri quadrati, ed è stato identificato come area primaria di ricerca dall’Aeronautica. Giovedì era stato il Soccorso Alpino a rinvenire la scatola nera di uno dei due Tornado, la cui integrità tuttavia sembra essere stata compromessa dall’ esplosione.

Intanto l’Aeronautica Militare ha lanciato un appello a tutti i possibili testimoni dell’incidente per ricostruirne la dinamica.

 

Fonte:http://www.ilfattoquotidiano.it/


17 Agosto 2014

Il velivolo presenta una rottura nella parte anteriore

di Pierluigi Palladini

AVEZZANO  Un guasto improvviso in fase di atterraggio, e l’aereo ultraleggero è precipitato a terra.

Il pilota, un uomo di 57 anni della provincia di Roma, è rimasto gravemente ferito. L’incidente è avvenuto ieri mattina, poco dopo le 11, nella zona boschiva fra Carsoli e Poggio Cinolfo. Il pilota era giunto nel campo di volo dove aveva affittato un velivolo per un’uscita sugli incantevoli boschi della Piana del Cavaliere, a cavallo fra le province di L’Aquila, Rieti, Roma e Frosinone. Improvvisamente, durante la fase di rientro e atterraggio, l’imprevisto.

Forse un guasto, forse una manovra brusca dovuta alle turbolenze causate dal forte vento che per tutta la giornata ha agitato i cieli della Marsica, sta di fatto che il velivolo ha impennato verso il basso e, muso all’ingiù, ha impattato violentemente contro il terreno sottostante.

Fortunatamente l’altezza non era eccessiva e questo ha aiutato il pilota a controllare l’urto.

Sul posto si sono subito portati altri appassionati e il personale del centro volo che hanno fatto intervenire i Vigili del fuoco di Avezzano, i Carabinieri di Tagliacozzo e l’eliambulanza del 118 di Roma. Il pilota del velivolo è stato quindi estratto dall’aereo e caricato sull’elicottero che l’ha poi trasportato fino all’Ospedale «Gemelli» della Capitale.

Le condizioni sono state definite gravi, ma comunque tali da non far temere per la vita dell’uomo. Il velivolo, quindi, è stato rimosso dai Vigili del fuoco di Avezzano che, a un primo esame, hanno potuto constatare una rottura nella parte anteriore del mezzo.

I militari guidati dal Capitano Lorenzo Pecorella, conclusa l’emergenza, hanno condotto i rilievi nella zona dell’incidente e ascoltato le testimonianze delle persone che si trovavano nelle vicinanze per tentare una prima ricostruzione dell’incidente e avviare le indagini preliminari. Le risultanze saranno poi riferite alla Procura della Repubblica di Avezzano per le eventuali valutazioni del caso. Una vicenda che, comuqnue, riporta a galla il problema della sicurezza, in quel fazzoletto di terra, per quanto riguarda gli appassionati del volo a tutti i livelli.

Dalla zona di Carsoli fino a Tagliacozzo, Magliano e Scurcola, in passato sono stati molti gli incidenti, purtroppo anche molto gravi, che si sono verificati ed hanno visto protagonisti parapendisti, paracadutisti, piloti di alianti ed ultraleggeri e quant’altro.

Molti anche i campi volo tutto intorno, anche nelle vicine province di Rieti e Roma. Un’area incantevole e naturalmente favorevole per questo tipo di attività, ma anche soggetta a cambi di correnti e di condizioni meteorologiche repentine che si trasformano in un vero pericolo per chi viene sorpeso in volo.

Fontehttp://www.iltempo.it/


3 Aprile 2014

Dal pilota che fece guidare il figlio, all’aereo che perse un pezzo di fusoliera: episodi della storia dell’aviazione rimasti inspiegati, tragici o eroici.

  La scomparsa del volo MH370, avvenuta l’8 marzo scorso mentre l’aereo stava volando – con 239 persone a bordo – da Kuala Lumpur (Malesia) a Pechino (Cina), è uno degli episodi recenti più drammatici e letterari che abbiano riguardato l’aviazione civile. Ma nei poco più di cento anni in cui sono esistiti gli aeroplani ci sono state molte altre storie straordinarie che hanno suscitato dubbi, sorprese o misteri – a partire dal famoso “volo 19″ alla base della leggenda del cosiddetto triangolo delle Bermude – mentre in altri casi è stato l’eroismo del pilota a rendere celebre una vicenda, come quando un Airbus A320 riuscì a compiere un incredibile ammaraggio sul fiume Hudson, nel centro di New York. Nonostante molte di queste storie possano far nascere qualche preoccupazione, volare rimane comunque il modo più sicuro per spostarsi – e con il tempo lo diventa sempre di più.

Tutti svenuti a bordo: il volo Helios Airways 522
Il volo Helios Airways 522 partì da Cipro alle nove di mattina del 14 agosto 2005, diretto a Praga e con uno scalo previsto ad Atene. Subito dopo il decollo in cabina suonò un segnale di allarme: il pilota tedesco e il copilota cipriota non riuscirono a individuare la causa e continuarono l’ascesa sopra il Mediterraneo. Superata l’altitudine di ottomila metri, venne perso il contatto radio con l’equipaggio. Il pilota automatico continuò l’ascesa e si stabilizzò poi sulla rotta per Atene una ventina di minuti dopo il decollo. La causa dell’allarme era la mancanza di pressurizzazione della cabina: la scarsità di ossigeno causò rapidamente lo svenimento dell’equipaggio. Dopo due ore di tentativi inutili di comunicazione con l’aereo – durante gran parte dei quali l’aereo volò probabilmente senza nessuno al comando – i piloti dei caccia militari dell’aeronautica greca che lo avevano raggiunto per controllare la situazione videro un uomo senza maschera di ossigeno entrare in cabina e sedersi ai comandi, ma non riuscirono a mettersi in contatto con lui. Pochi istanti dopo il motore sinistro prese fuoco per mancanza di carburante – l’aereo aveva ormai superato Atene di diversi chilometri – seguito dopo dieci minuti da quello destro. Il Boeing perse quota rapidamente e si schiantò in un territorio collinare a due chilometri da Grammatiko, un paese a 30 chilometri dal centro di Atene. Morirono tutti i 115 passeggeri e i sei membri dell’equipaggio.

Secondo quanto ricostruirono le indagini successive, la prima causa dell’incidente fu la manutenzione effettuata la sera prima del volo: il sistema di controllo della pressurizzazione in cabina venne lasciato su “manuale” invece che su “automatico”. L’equipaggio non se ne accorse e, quando suonò il primo allarme, pensò che si trattasse di un altro problema segnalato da un suono identico.

Un indicatore per un altro: il volo Tuninter 1153
Il 6 agosto 2005 il volo charter Tuninter 1153, un ATR-72 con 39 persone a bordo, era partito da Bari ed era diretto a Djerba, in Tunisia. Alle 15.24 l’equipaggio chiamò l’aeroporto di Palermo-Punta Raisi facendo richiesta di un atterraggio di emergenza: avevano inspiegabilmente terminato il carburante ed entrambi i motori si erano spenti, nonostante gli strumenti di bordo indicassero 1.800 chili di carburante nei serbatoi. Ma l’aereo non riuscì ad arrivare a Palermo e un quarto d’ora dopo la richiesta di atterraggio effettuò un ammaraggio circa 30 chilometri a nordest della Sicilia: nella manovra morirono quattordici passeggeri e due membri dell’equipaggio. Le inchieste successive mostrarono che, durante la manutenzione della sera prima a Tunisi, era stato installato l’indicatore del carburante di un aereo molto più piccolo, l’ATR-42, e di conseguenza i livelli di combustibile registrati a bordo furono molto più alti di quelli reali in tutti i controlli successivi.
Nell’aprile 2013 la Cassazione ha confermato la condanna di sette cittadini tunisini, tra piloti e tecnici: la pena più pesante è stata quella del pilota del volo Tuninter 1153, condannato a sei anni e 8 mesi. Durante il processo emerse che il pilota avrebbe avuto la possibilità di atterrare a Palermo.

Un sedicenne al comando: il volo Aeroflot 593
Il volo Aeroflot 593, un Airbus A310, stava sorvolando la Siberia nella notte tra il 22 e il 23 marzo 1994, proveniente da Mosca e diretto a Hong Kong. Il capitano Yaroslav Kudrinsky, poco dopo la mezzanotte, fece sedere al suo posto sua figlia di 12 anni Yana e suo figlio 16enne Eldar. Mostrò loro alcune manovre mantenendo inserito il pilota automatico, ma poi acconsentì alla richiesta del figlio di provare a far virare leggermente l’aereo. Lo fece e riportò i comandi in posizione normale, ma il pilota automatico entrò in conflitto con i comandi manuali: entrarono in azione una serie di dispositivi di controllo, ma nonostante il capitano avesse riguadagnato rapidamente i comandi l’aereo andò in stallo e cominciò a precipitare.

Il dialogo in cabina tra Eldar e il padre – registrato dalla scatola nera – fu il seguente:

– «Giralo! Guarda verso terra mentre giri. Andiamo a sinistra. Gira a sinistra! (pausa) L’aereo sta girando?»
– «Grande!» rispose Eldar. Quattro minuti più tardi chiese al padre: «Perché sta girando?»
– «Si sta girando da solo?», rispose il capitano.

A quel punto il copilota lanciò un urlo e l’aereo cominciò a perdere quota. Per i due minuti e mezzo successivi, le registrazioni di bordo documentano i drammatici tentativi dell’equipaggio di riprendere il controllo dell’aereo, che si schiantò al suolo poco prima dell’una di notte del 23 marzo 1994. Morirono tutti i 63 passeggeri e i dodici membri dell’equipaggio.

L’aereo scoperchiato: il volo Aloha Airlines 243
Alle 13.25 del 28 aprile 1988, un Boeing 737 della Aloha Airlines partì dall’aeroporto di Hilo, nelle Hawaii, diretto alla capitale dell’arcipelago, Honolulu. Era il quarto viaggio tra le isole hawaiane che effettuava nello stesso giorno il vecchio aereo, che avevo quasi vent’anni di servizio e oltre 89 mila voli. Mentre l’aereo volava a quota 7300 metri, i piloti sentirono uno colpo molto forte e un rumore di vento alle proprie spalle. Il capitano vide che la porta della cabina di comando era saltata via e che «c’era il cielo azzurro al posto del soffitto della prima classe». I novanta passeggeri e quattro membri dell’equipaggio stavano volando all’aria aperta, trattenuti solo dalle cinture di sicurezza, a più di seicento chilometri orari; un’assistente di volo venne risucchiata all’esterno e morì subito. Il rumore era così forte che i piloti comunicarono inizialmente a gesti, mentre riducevano la velocità e cominciavano le procedure per un atterraggio di emergenza a Maui. Dopo una ventina di minuti di volo in quelle condizioni, in cui la restante struttura dell’aereo resse al cedimento della fusoliera, il Boeing riuscì ad atterrare e venne subito soccorso dai mezzi di emergenza. Le inchieste successive dimostrarono che le continue decompressioni, la corrosione dei materiali e in generale la vecchiaia dell’aereo furono la causa dell’incidente.

Il volo FAU 571
Il 13 ottobre 1972 il volo 571 dell’Aeronautica Militare Uruguaiana stava trasportando la squadra di rugby degli Old Christians – che esiste tuttora ed è una delle più forti dell’Uruguay – da Montevideo a Santiago del Cile, dove erano attesi per una partita. I giocatori erano accompagnati da amici e familiari: in totale, il volo aveva 45 persone a bordo. A causa del cattivo tempo sulle Ande, il volo iniziato il giorno prima aveva dovuto fermarsi per la notte nella città di Mendoza, in Argentina, al di qua della catena montuosa.

Il pomeriggio del 13 ottobre il volo riprese e l’aereo si diresse a un passo montuoso per valicare le Ande. Il passo era coperto dalle nuvole: per sapere quando iniziare la discesa oltre la catena montuosa, i piloti si affidarono al tempo di percorrenza usuale per quel tratto di cielo, una procedura nota come navigazione stimata o dead reckoning (oggi molto poco utilizzata grazie ai miglioramenti dei sistemi di posizionamento satellitare come il GPS). Ma i forti venti falsarono il calcolo e l’aereo iniziò a scendere in mezzo alle spesse nuvole quando si trovava ancora in mezzo alle montagne, dirigendosi involontariamente verso un picco montuoso contro cui si schiantò a circa 4.200 metri di altitudine.

Lo schianto uccise circa un quarto dei passeggeri sul colpo, mentre le temperature gelide dell’alta montagna e le ferite nell’incidente causarono la morte di altre persone nell’arco dei primi giorni successivi. La trentina di persone rimasta, bloccata a migliaia di metri di altitudine senza nessun equipaggiamento specifico per resistere al freddo e quasi senza cibo, venne lentamente decimata. Dopo alcuni giorni, il gruppo decise di nutrirsi con i cadaveri delle persone morte nello schianto e nei giorni successivi, mentre alla fine di ottobre sentirono da una radio che le ricerche erano state sospese. Gli ultimi sedici sopravvissuti vennero ritrovati il 23 dicembre del 1972, oltre due mesi dopo l’incidente: riuscirono ad essere salvati grazie alla marcia di dieci giorni in mezzo alle montagne di due di loro, Nando Parrado e Roberto Canessa, che si imbatterono in una piccola carovana di mulattieri cileni. La storia del volo 571 è stata raccontata in innumerevoli trasmissioni televisive, documentari, libri e in almeno un film di discreto successo, Alive del 1993.

La “pattuglia perduta”: i TBM Avengers
Alle 14.10 del 5 dicembre 1945, cinque TBM Avengers – chiamati in codice volo numero 19 – decollarono dalla base di Fort Lauderdale, in Florida, per un volo di addestramento. Gli aerei, con diciannove persone a bordo, scomparsero senza lasciare traccia, e lo stesso accadde ai tredici uomini di un aereo di esplorazione che venne mandato alla ricerca della “pattuglia scomparsa” (che in realtà non era una pattuglia).

L’episodio lanciò una delle più grandi campagne di ricerca della storia, con centinaia di navi e aeroplani in centinaia di migliaia di chilometri quadrati. Diversi particolari aiutarono a nutrire la leggenda del volo 19: a quanto risultò dalle conversazioni radio con la base di Fort Lauderdale, circa novanta minuti dopo il decollo, i piloti sembrarono a non riconoscere più i punti di riferimento a terra. La bussola del leader della spedizione Charles Taylor, l’unico veramente esperto del gruppo, non funzionava bene e la pattuglia si diresse verso il mare aperto, nonostante i tentativi di aiuto della torre di controllo. Dopo diverse comunicazioni radio in cui i membri della pattuglia apparivano confusi e disorientati, i contatti con la base vennero persi. Un aereo di ricognizione si alzò in volo per andarli a cercare, ma dopo un messaggio radio a dieci minuti dal decollo anche di lui non si seppe più nulla. A grandi linee, i motivi della scomparsa del volo 19 sono stati ricostruiti – il dissenso tra Taylor e gli studenti sulla loro posizione, il malfunzionamento degli strumenti di bordo, l’inesperienza del gruppo e un peggioramento delle condizioni meteo – ma l’episodio fu all’origine della popolare leggenda del “triangolo delle Bermude”.

L’incredibile ammaraggio sull’Hudsonil volo US Airways 1549
Nel primo pomeriggio del 15 gennaio del 2009 un Airbus A320 della US Airways decollò dall’aeroporto LaGuardia di New York, diretto a Charlotte, in North Carolina. Pochi minuti dopo alcuni uccelli di uno stormo di oche del Canada, che aveva incrociato l’aereo a poco più di 800 metri di altitudine, vennero risucchiati nei due motori dell’Airbus, causando il loro arresto dopo una serie di esplosioni. L’aereo perse quota e si stabilizzò su una altitudine di circa cinquecento metri, lentamente e inesorabilmente discendente. Il pilota Chesley Sullenberger e il suo primo ufficiale, Jeffrey B. Skiles, si resero presto conto che non sarebbero riusciti a tornare al LaGuardia né a raggiungere altri aeroporti vicini. Sullenberger disse allora al primo ufficiale, mentre l’aereo continuava a planare: «Andiamo nell’Hudson», il fiume che attraversa New York.

Alle 3.31 del pomeriggio, a circa sei minuti dal decollo, l’Airbus terminò il proprio volo a motori spenti nel fiume Hudson, mentre era diretto verso sud a una velocità di circa 240 chilometri orari. Il pilota riuscì a eseguire un perfetto ammaraggio facendo planare lentamente l’aereo con un grado di inclinazione tale da evitare un forte impatto, che avrebbe potuto spezzare in più parti la cabina. Dopo avere toccato l’acqua, l’aereo proseguì per diversi metri prima di fermarsi. Poi iniziò a imbarcare l’acqua gelida del fiume. Tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio furono recuperati e portati sulla terra ferma: Sullenberger diventò un eroe e lavorò ancora un anno come pilota alla US Airways.

Fonte:http://www.ilpost.it


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