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12 Ottobre 2016

Ma gli scienziati avvertono: “Ancora non sappiamo garantire l’incolumità degli astronauti”

di MATTEO MARINI

Somiglia molto all’annuncio che John F. Kennedy fece nel 1962: portare l’uomo sulla Luna entro la fine del decennio. Lui ci riuscì.

Ora tocca al presidente Barack Obama spostare la “nuova frontiera” dell’esplorazione umana e, anche lui, indica una data: “Gli Stati Uniti invieranno uomini su Marte entro il decennio che inizia nel 2030”.
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La Nasa questa volta lavorerà però assieme alle compagnie private, le uniche in grado, in questi ultimi anni, di fornire tecnologia e servizi a prezzi vantaggiosi.

Un annuncio altisonante, che chiude un doppio mandato da presidente durante il quale molti sono stati gli obiettivi raggiunti dall’agenzia spaziale americana.

E questo, a dirla tutta, è di gran lunga il più ambizioso: “Abbiamo fissato con chiarezza – afferma Obama in un articolo scritto per il sito della Cnn – un obiettivo vitale per la storia dell’America nello spazio: inviare esseri umani a partire dal 2030 e farli ritornare sani e salvi, con l’ambizione definitiva di fare in modo, un giorno, che possano restare lì per un tempo prolungato”.

Obama, nella sua riflessione, ha passato in rassegna alcune delle più importanti scoperte degli ultimi anni:

“Abbiamo riportato la scienza in primo piano riuscendo ad abbassare i costi per i cittadini. Solo lo scorso anno, la Nasa ha scoperto l’acqua che scorrerebbe su Marte e le prove della presenza di ghiaccio su una delle lune di Giove.

Abbiamo mappato Plutone, che si trova a più di tre miliardi di miglia di distanza e i nostri telescopi spaziali hanno rivelato ulteriori pianeti simili alla Terra. Inoltre i nostri scienziati hanno approfondito la conoscenza degli asteroidi, contribuendo a prevenire in anticipo la collisione con il nostro pianeta.

Le nostre navicelle hanno studiato da vicino ogni pianeta del sistema solare, cosa che nessuna altra nazione è riuscita a fare”.

Ora è la volta del “salto gigante”: “Il prossimo passo è superare i confini dell’orbita della Terra – scrive ancora Obama -. Sono emozionato nell’annunciare che stiamo lavorando con i nostri partner commerciali per costruire nuovi sistemi che permettono il trasporto e la sopravvivenza degli astronauti in missioni di lunga durata nello spazio profondo. Queste missioni ci insegneranno come gli umani possono vivere lontani dalla Terra. Ne avremo bisogno per il lungo viaggio verso Marte”.
È un pezzo di “sogno americano” che si rinnova. In questo disegno non possono mancare magia e ambizioni. “Ero seduto sulle spalle di mio nonno, sventolando una bandiera come i nostri astronauti tornati alle Hawaii. E’ uno dei primi ricordi che ho”, scrive Obama. “Quando parlo del nostro programma spaziale provo ancora lo stesso senso di meraviglia. La curiosità, la voglia di esplorare, l’innovazione. l’ingegno, spingersi oltre i confini e farlo prima di chiunque altro: è questo lo spirito che muove gli Stati Uniti”.

In realtà, già nel 2010, dal Kennedy Space Center Obama, oltre ad annunciare nuovi finanziamenti per la Nasa, aveva lanciato la sfida di raggiungere Marte entro trent’anni, quindi attorno al 2040.

Con l’articolo scritto oggi, il primo presidente afroamericano della storia degli States chiude la propria avventura alla Casa Bianca dichiarando di spostare l’asticella indietro di dieci anni. Ma soprattutto ammette l’importanza della neonata industria spaziale privata che sarà coinvolta nell’impresa.

Non è passato molto tempo dall’annuncio da parte del magnate Elon Musk del suo piano per arrivare su Marte grazie alla sua SpaceX. E di sicuro non è una coincidenza.

Una missione che, nelle intenzioni, dovrebbe dare il via a una colonizzazione di massa, per portare, nel giro di un secolo, almeno un milione di individui a popolarlo. Oltre alla SpaceX lavorano, per esempio, con la Nasa anche la Blue Origin di Jeff Bezos, e la Boeing.

Ma, nonostante gli annunci che fanno sognare, ci sono ancora diversi ostacoli in questa sfida.

Esiste una minaccia invisibile per gli astronauti che un giorno si avventureranno nella lunga traversata verso il pianeta rosso: i raggi cosmici, particelle cariche ad alta energia che hanno origine dal Sole e dalle altre stelle e vagano liberi nello spazio.

Secondo uno studio appena pubblicato su Scientific reports di Nature, l’esposizione a questo tipo di radiazioni provocherebbe, sul cervello umano, sintomi quali disturbi cognitivi e di memoria, ansia e depressione fino a 24 settimane. Un deterioramento delle facoltà, in una parola, “demenza”, che potrebbe compromettere le missioni e mettere a repentaglio la vita degli equipaggi.

Gli scienziati della della University of California, Irvine, hanno esposto roditori (ratti e topi transgenici) a radiazioni in modo tale da simulare le condizioni che troverebbero gli astronauti una volta usciti dalla protezione del campo magnetico terrestre.

ll cervello delle cavie ha mostrato conseguenze allarmanti. Infiammazione, innanzi tutto, ma anche l’indebolimento delle capacità cognitive e decisionali, per esempio nel risolvere i problemi e affrontare situazioni di emergenza.
Il ‘bombardamento’ di particelle indurrebbe inoltre il cervello a non far uso di un meccanismo psicologico essenziale, quello dell’estinzione della paura.

Il processo che ci permette di superare un evento traumatico ‘nascondendo’ in parte le sensazioni spiacevoli a cui è associato e che ci permette di affrontare gli stessi rischi senza andare ‘in tilt’.

Impossibile immaginare un viaggio ad alto rischio e una missione di almeno due anni su un pianeta alieno (servono sei mesi solamente per fare andata e ritorno) guidata da astronauti in preda alla demenza.

E una soluzione praticabile, a questo ‘inconveniente’, ancora non è stata trovata: “Purtroppo non esiste ancora uno scudo in grado di schermare adeguatamente i raggi cosmici – spiega Vittorio Cotronei, dell’Asi – perché i materiali attualmente disponibili sarebbero troppo pesanti per un veicolo spaziale.

Esiste inoltre un’altra incognita che riguarda la lunga permanenza nello spazio: gli effetti sul fisico degli astronauti.

Finora abbiamo sperimentato tempi di un anno al massimo, continuativi, con l’astronauta Scott Kelly.
Non sappiamo quali conseguenze potrebbero avere permanenze di tre anni e oltre, necessarie per una missione su Marte”.

Negli anni in cui la tecnologia necessaria per l’esplorazione planetaria sembra davvero a portata delle capacità umane ci sono tanti aspetti ancora da risolvere se si vuole, veramente, riuscire in questo altro “salto gigante” in così pochi anni.
D’altronde fu proprio Kennedy a dire: “Abbiamo scelto di andare sulla Luna e fare tutte queste altre cose non perché siano facili, ma perché sono difficili”.

Fonte: www.repubblica.it/


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