sfida

10 Ottobre 2016

La lunga saga che vedrà l’umanità approdare su nuovi mondi si è appena arricchita di un nuovo protagonista.

 

Sembra che Elon Musk non sia il solo a voler concretamente portare l’umanità sul pianeta rosso.

mars1

Dennis Muilenburg, CEO di #Boeing, ha infatti accettato di buon grado l’invito, formulato dal patron di SpaceX in occasione del meeting di Guadalajara, a compiere questo grande passo verso l’esplorazione e l’occupazione in pianta stabile del sistema solare. Secondo quanto riportato da Bloomberg, nel corso di una conferenza tenutasi a Chicago Muilenburg è addirittura arrivato asfidare apertamente Elon Musk, sostenendo che il primo uomo che metterà piede su #Marte arriverà a bordo di un razzo “marchiato” Boeing.

Boeing e lo spazio, una storia che dura da 50 anni
Come è facile intuire, il colosso americano famoso per aver dato i natali ad aerei di linea e da trasporto come il 737 e il 747 non è nuovo del settore. I potenti razzi Saturn V, quelli che per intenderci hanno permesso agli Stati Uniti di vincere la competizione “simbolica” con l’URSS grazie al successo della missione Apollo 10 sulla Luna, sono infatti stati progettati in collaborazione con la compagnia di aviazione americana.

Due facce della stessa medaglia?
Le due aziende in questione sono in realtà simili sotto diversi aspetti fondamentali per il futuro dell’esplorazione spaziale. Tanto per cominciare Boeing e SpaceX sono le prime due compagnie private che la NASA ha scelto per trasportare gli astronauti da e verso la Stazione Spaziale Internazionale. Inoltre entrambe hanno in cantiere progetti specificatamente mirati alla creazione di sistemi innovativi per i lanci e per i viaggi marziani e interplanetari in generale.

Da un lato c’è il progetto denominato SLS (Space Launch System) della Boeing (ma sostenuto anche dalla NASA), che condurrà alla realizzazione di un vettore in grado di trasportare carichi pesanti (fino a un massimo di circa 20 tonnellate cubiche) lungo il tragitto Terra-Marte.

Dall’altro la SpaceX sta mettendo a punto il razzo noto come Falcon Heavyche, inserito nel più ampio piano progettuale per la costruzione del cosiddetto Interplanetary Transport System, dovrebbe essere in grado di traghettare alla volta di Marte fino a 13 tonnellate cubiche. Le prove ufficiali del grande evento, che consisteranno di missioni prive di equipaggio, dovrebbero avvenire nel biennio2017-2018 (prima Boeing poi spaceX).

Marte, ma non solo
Ricalcando lo stile visionario del creatore di PayPal e Tesla Motors, Muilenburg ha prefigurato l’evoluzione dei viaggi spaziali commerciali, immaginando la nascita, nel corso dei prossimi decenni, di diverse rotte e destinazioni all’interno della fascia orbitale terrestre (dove al momento l’unica presenza umana costante è rappresentata dalla Stazione Spaziale Internazionale).

Laboratori per la ricerca e la produzione in condizioni di microgravità, ma anche strutture più prettamente turistiche comealberghi e “resort” spaziali potrebbero, un domani non troppo lontano, punteggiare la volta celeste. I prossimi passi saranno determinanti per comprendere chi si aggiudicherà l’ambito primato, ma nel frattempo non è da escludere che altri competitors abbiano intenzione di ricoprire un ruolo di primo piano in questo lungimirante progetto che, parafrasando le parole di Elon Musk, potrebbe rendere l’umanità una specie multi-planetaria a tutti gli effetti.

Fonte: it.blastingnews.com/


24 Settembre 2016

I software in vendita via web per pochi euro riescono a elaborare 300 milioni di password. Le contromosse di compagnie aeree e delle agenzie di sicurezza.

Cinque minuti per accedere al sistema di comunicazione tra aereo e torre di controllo.

aereo

Due giorni per modificare — dalla terraferma — i parametri del «Flight Management System», l’interfaccia di gestione di un volo. Quando Patrick Ky, direttore dell’Agenzia europea della sicurezza aerea (Easa), ha visto i risultati del pilota-hacker che aveva ingaggiato per testare le vulnerabilità, non ha avuto dubbi: bisogna attivare il prima possibile una squadra di pronto intervento, 50-60 poliziotti digitali, che in ogni momento possano fermare un attacco informatico ai velivoli e agli aeroporti. «Perché l’unica certezza è che comunque qualcuno ti aggredirà», ragiona Kurt Pipal, agente dell’Fbi ed esperto informatico.

Attacchi in aumento
Negli ultimi due anni sono in netto aumento gli attacchi cibernetici nel settore dell’aviazione. I jet sono sempre più connessi. Almeno 52 compagnie nell’intero pianeta — calcola la società Routehappy — offrono il wi-fi a bordo in quasi tutti i loro voli. Un numero maggiore fornisce agli assistenti di bordo i tablet per gestire ogni fase del collegamento. Soltanto British Airways, per esempio, ha sviluppato una quarantina di applicazioni e consegnato a comandanti, hostess e steward 17 mila iPad.

Il tutto mentre su eBay è possibile acquistare per una manciata di euro software in grado di elaborare 300 milioni di diverse chiavi di accesso in pochi minuti fino a trovare la password effettiva. Poco più di un anno fa l’esperto di cybersicurezza Chris Roberts è stato fermato e interrogato dall’Fbi dopo aver scritto su Twitter che era in grado di accedere ai comandi di un aeromobile. Ai federali Roberts ha raccontato di essere riuscito a dare persino potenza ai motori di un jet.

La configurazione dei velivoli
Gli aerei sono diventati facili prede degli hacker? «La maggior parte dei velivoli che vola oggi e che offre servizio wi-fi non è stato costruito all’inizio per supportare, nella massima sicurezza possibile, la connettività», sostiene il maggior generale Linda R. Urrutia-Varhall, da poco direttore delle operazioni al National Geospatial-Intelligence Agency, l’ente che ha pedinato via satellite il nascondiglio pakistano di Osama bin Laden.

«Il settore è al centro degli interessi dei terroristi e dei criminali, bisogna condividere di più le informazioni». «Però nessun velivolo, ad oggi, è stato davvero hackerato nelle sue parti essenziali», dice al Corriere della Sera Pascal Andrei, vicepresidente di Airbus Group, da quindici anni il responsabile della sicurezza dei velivoli A380 e A350.

Andrei è a capo di tutto quello che si muove dentro il colosso europeo in materia di protezione dagli attacchi informatici dei velivoli (civili e militari) e dei satelliti. «I nuovi aerei sono sempre più informatizzati e sempre più connessi, ma sono stati anche progettati di conseguenza — aggiunge —. Nell’A380 ci siamo basati sulla partizione: ogni blocco è separato dall’altro, a partire da quello dell’avionica (il vero computer di bordo, ndr)». E se i malintenzionati colpiscono i satelliti mandando in tilt il Gps? «L’aereo è dotato di un suo sistema di geoposizionamento».

I «piani di emergenza»
Insomma, i sistemi «critici» per Andrei non sono attaccabili grazie anche alle leggi internazionali. «Quello che non è regolato è l’intrattenimento di bordo (chiamato Ife, ndr): qui la sicurezza è a carico del singolo vettore». «Gli hacker sono davvero entrati nell’Ife», conferma Alan Pellegrini, amministratore delegato di Thales Usa, azienda che produce strumenti aerospaziali.

Una volta dentro, i malintenzionati possono rubare i dati delle carte di credito, intrufolarsi nelle caselle email, mandare virus per bloccare la visione dei film o rubarli». «Finora abbiamo stabilito 29 scenari di rischio informatico», rivela Calin Rovinescu, ad di Air Canada. Scenari condivisi con le compagnie appartenenti a Star Alliance (la più grande alleanza del mondo) «che ha 18 gruppi che si occupano di cybersicurezza». «Bisogna usare di più gli hacker “buoni” per colmare le lacune informatiche», suggerisce Anja Kaspersen, capo dell’International Security del World Economic Forum.

Cosa che in Airbus, chiarisce Pascal Andrei, fanno già: «Dal 2004 ne abbiamo 14 e si muovono sotto la nostra supervisione oppure si tengono aggiornati». Non saranno gli unici. «Molti altri, quando mi incrociano, chiedono di venire a lavorare in Airbus. E noi i migliori li prendiamo».

Fonte: www.corriere.it/

 

 


17 Settembre 2016

Ryanair è pronta a sbarcare inCampania e ad offrire nuove rotte low cost.

 

Ad annunciarlo è John Alborante, marketing manager Italia della compagnia irlandese, che ha anche lanciato la sfida tra lo scalo di Napoli e quello di Salerno.

rayyyyy

Capodichino o Costa d’Amalfi? “Stiamo lavorando alla programmazione per l’anno prossimo – spiega Alborante intervistato da webitmag a Bergamo – nel nostro portafoglio manca qualche aeroporto, e il nostro interesse specifico è rivolto a Napoli e a Salerno. Con Napoli ci sono già delle discussioni in corso, ma siamo interessati anche ad altri aeroporti, come, appunto, quello di Salerno”.

 

Al momento sembra avere qualche piccola chance in più Capodichino. Per lo scalo di Salerno bisogna superare due ostacoli non insormontabili. Il primo, di natura politico-commerciale, riguarda proprio la possibilità per il Costa d’Amalfi di “sottrarre” Ryanair allo scalo napoletano, dove al momento c’è l’altra compagnia low cost (Easy Jet). Il secondo ostacolo riguarda la pista che non risponde ai requisiti richiesti. Due ostacoli di non poco conto ma che possono essere risolti in tempi congrui.

 

“Stiamo lavorando alacremente per far in modo che le compagnie low cost, come Ryanair, possano scegliere Salerno – dice a Il MattinoAntonio Ilardi, presidente della società di gestione dello scalo – ma, ovviamente, c’è bisogno di una pista idonea anche da un punto di vista strumentale. Ci sarà una partita tra Capodichino e il Costa d’Amalfi, soprattutto di natura commerciale, che, chi verrà dopo di me nell’imminente cambio alla presidenza della società, dovrà essere bravo a portare a termine.

 

Perché, ovviamente, da Napoli ci sarà tutto l’interesse a tenere fuori Salerno da questa fetta di mercato”.

Fonte: www.vocedinapoli.it


7 Aprile 2016

Tesla Model 3 potrebbe però rappresentare quello spartiacque di cui parlavamo poc’anzi, quel punto di svolta, quel prodotto zero che farà da apripista a tutti gli altri, rivoluzionando per sempre il settore dell’auto e rappresentando forse quello che l’iPhone è stato per il settore dei telefoni cellulari.
tes

L’auto elettrica ad alte prestazioni Tesla Model 3 ha registrato un enorme numero di prenotazioni, nonostante ancora non siano completamente definite le caratteristiche.

Alle porte di Melbourne, in Australia, si è tenuta una drag race che ha visto protagonista una Tesla Model S P90D e un Boeing 737-800 in fase di decollo, che hanno lottato per decretare il mezzo con la migliore accelerazione.

La risposta è sì, perché il fondatore Elon Musk ha puntato come al solito sul web per i pre ordini online, aggiungendo una cifra quasi simbolica di 1.000 dollari o 1.000 euro di anticipo che non spaventa i futuri acquirenti e i nativi digitali abituati a comprare in rete qualsiasi cosa. Lo stesso Musk, guardando alle dinamiche dei primi ordini, aveva previsto in un tweet che “ci sarà bisogno di ripensare i piani di produzione…”.

Sono piovute le richieste, via Twitter sui tempi di consegna e Musk ha spiegato che non inizieranno prima della fine del 2017e partiranno dalla West Coast degli Stati Uniti per poi procedere per aree geografiche: “Non possiamo consegnare in tutte le regioni simultaneamente, troppo complesso”.

Scopriamo inoltre che “la due ruote motrici avrà un’ottima trazione sul ghiaccio grazie alla risposta rapida della distribuzione della coppia Tesladrivetrain”.

Proposta ad un prezzo di partenza pari a 35.000 dollari, la Model 3 vanta batterie a litio in grado di offrire – secondo i dati dichiarato dal Costruttore – un’autonomia di ben 345 km, più che sufficienti ad affrontare un viaggio di medio raggio senza effettuare soste.

Fonte:yellowmotori.com/


5 Ottobre 2015

La sfida tra i grandi costruttori, la crisi nera dell’Offshore, l’arrivo di Lockheed Martin, le gare più importanti e i mercati emergenti: ecco come sta cambiando il volto del mercato dell’ala rotante.

Diciamo la verità: alzi la mano chi non è rimasto spiazzato dopo l’affare dell’anno, anzi del decennio, dell’industria degli elicotteri. Per chi ne fosse all’oscuro, stiamo parlando dell’acquisto di Sikorsky da parte di Lockheed Martin, un affare da 9 miliardi di dollari che ha proiettato sul mercato un nuovo gigante da 80 miliardi di fatturato annuo e mandato letteralmente in tilt le previsioni degli analisti.

Tra le mire espansioniste del colosso di Bethesda, sovraesposizione di programmi civili e militari, tagli alla Difesa e la crisi nera dell’Offshore, il grande domino dell’industria degli elicotteri sta cambiando faccia.

Ma non nella misura che ci si aspettava.

GUERRE DI MERCATO, GUERRE POLITICHE E GUERRE VERE

Il grande gioco dell’industria elicotteristica mondiale è un domino in cui lerelazioni internazionali hanno un elevato peso specifico. E soprattutto generano ricadute importanti su un’industria che conta su un’importante componente militare. Basti pensare alla guerra di posizione tra Stati Uniti eGermania. Una guerra di posizione sullo scacchiere globale per la leadership dell’Occidente e dell’Europa.

Per gli Usa una partita che era chiusa fin dai tempi della Seconda guerra mondiale e che si è, incredibilmente, riaperta con un l’unificazione tedesca prima e la guida indiscussa dell’Unione europea poi, da parte della Germania.

Oggi si assiste a un conflitto a bassa intensità diplomatica, ma di conflitto si tratta. Un corpo a corpo in cui l’ultimo episodio è lo scandalo che ha colpito laVolkswagen e che chiude un periodo di tensioni crescenti. Dalla crisi Ucraina, ai rapporti con la Russia, dallo spionaggio dell’NSA ai danni della cancellieraMerkel al modo di risolvere la crisi finanziaria Greca ed europea.

Che c’entra tutto questo con l’industria elicotteristica?

Semplice: il mercato dell’ala rotante è oggi dominato da cinque costruttori internazionali, un franco-tedesco Airbus Helicopters, due basati negli Stati Uniti, Bell Helicopter Textron e Sikorsky, un anglo italiano, AgustaWestland, eRussian Helicopters.

E le case diventano sei con la necessaria aggiunta, sul piano del settore Difesa, della statunitense Boeing (che produce l’AH-64 Apache).

Insomma il conflitto diplomatico tra USA e Germania è una guerra di mercato tra Airbus da una parte e Bell-Lockheed Martin-Boeing dall’altra. Una guerra senza esclusione di colpi. E con AgustaWestland che fa il “vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro”, per dirla con Manzoni. Cioè il ruolo del terzo incomodo molto fragile.

Un’azienda a guida italiana che, non potendo scegliere tra due alleati imprescindibili come Stati Uniti e Germania, prova a far da sola. Non è un caso che proprio pochi giorni fa Mauro Moretti, numero uno di Finmeccanica che controlla AgustaWestland, abbia detto al Corriere della Sera che “bisogna muoversi all’interno del rapporto tra gli Stati e sostenere – oltre alle Pmi e agli investimenti stranieri – anche le grandi imprese nazionali”. Tradotto: senza l’aiuto del governo rischiamo di trovarci in mezzo, di essere più deboli dei nostri concorrenti. Ecco spiegati gli esiti delle gare in Polonia, della presenza in Turchia, e via così.

Oltre alle guerre di mercato ci sono anche quelle vere (ISIS, Siria, Ucraina) e le emergenze umanitarie, come l’immigrazione. Su questo piano le aziende che hanno puntato su elicotteri duali, aeromobili progettati sia per l’impiego militare che per quello civile, hanno visto lungo. Oppure le aziende che hanno linee produttive simili che sfornano mezzi civili e militari molto simili, al netto dell’armamento.

LO SPETTRO DEL BRENT A 45 DOLLARI AL BARILE

Ma se la geopolitica è un ingrediente essenziale dell’industria degli elicotteri, ne esiste uno altrettanto importante e imprevedibile. Un elemento che condiziona le scelte dei costruttori e che grava pesantemente sui conti delle aziende: il prezzo del petrolio.

Gli analisti che Helipress ha interpellato, tra Germania e Stati Uniti, prevedono che il clima attuale di incertezza duri ancora a lungo. Nessuno immagina davvero uno shock sui prezzi – si parla di 20 dollari al barile – come, provocatoriamente, ha ipotizzato Goldman Sachs.

Piuttosto si ragiona su un barile di Brent che sicuramente al di sotto dei 60 dollari, così almeno la vede il Wall Street Journal in un’analisi di pochi giorni fa. E addirittura alcune fonti hanno confermato a Helipress che non è irragionevole immaginare il barile a quota 45 dollari, come suggerisceGoldman Sachs. È chiaro che in ballo ci sono molti fattori, come l’ingresso di futuri nuovi produttori nel mercato globale del petrolio come l’Iran, la decisione dell’Arabia Saudita di lasciare invariata la produzione, il rallentamento dell’economia globale e l´indebolimento di quella cinese, le scorte immense di Stati Uniti e Cina, la speculazione sulle materie prime e sul petrolio che è in ribasso.

Una cosa è certa: se si tiene conto del crescente ruolo del gas e delle energie rinnovabili, il petrolio, la cui importanza rimarrà sul medio periodo ancora cruciale, potrebbe non essere la materia prima del futuro.

Con un “breakeven price” per la profittabilità dell’estrazione dello shale oil (il petrolio ricavato dai pori delle rocce impermeabili) fissato a minimo 60 dollari le compagnie petrolifere, hanno chiarito gli analisti interpellati da Helipress, “hanno bisogno di un prezzo che sia quanto meno decisamente sopra i 70 dollari al barile per continuare a lavorare con prospettive di profitto sul petrolio difficile da estrarre (lo shale oil, appunto) o per far fronte al naturale declino di giacimenti tradizionali con sempre nuove trivellazioni”.

L’estrazione dello shale oil soffre più direttamente del basso prezzo del petrolio, ma i produttori possono reagire in maniera più flessibile alla riduzione del prezzo. È una caratteristica che non si riscontra nel settore dell’estrazione Offshore, nel Mare del Nord e soprattutto nelle acque profonde (deep water oil), che soffre per la rigidità dei contratti, per l’infrastruttura e per gli effetti di un prezzo al barile stabilmente al di sotto del “breakeven price”.

Tutti fattori che possono essere difficilmente compensabili con una immediata riduzione della produzione e che si accompagnano ad una decisa perdita di profitto sul medio periodo.

Cosa vuol dire tutto questo per l’industria?

Significa che l’Oil and gas, come segmento, va probabilmente ripensato nel suo complesso. I grandi margini di profitto che si ottengono dalla vendita (ai lessor) di macchine grandi e costose come i Super Puma, gli S-92, l’H175 o l’AW189, dai grandi flussi di cassa generati dai più che remunerativi contratti di manutenzione “Power by the hour”, potrebbero avere i giorni contati.

AIRBUS HELICOPTERS: POLONIA, INDIA E STATI UNITI

Airbus Helicopters non ha certamente esultato per l’affare Sikorsky-Lockheed. Il costruttore franco tedesco, sempre più dominatore in America Latina (dove più di un elicottero su tre è marchiato Airbus, anzi Helibras) e protagonista in Cina, aveva grandi piani per il mercato statunitense: da domani si troverà a dover affrontare in casa sua un colosso consolidato, forte dell’acquisizione di un contractor governativo affermato (Sikorsky detiene il 65 per cento della spesa programmata dal Pentagono per gli elicotteri) e un competitor dall’indole notoriamente aggressiva anche sui mercati internazionali.

Lo scettro del segmento civile resterà tuttavia saldamente nelle mani della casa franco tedesca anche per i prossimi anni. Airbus copre oggi il 44 per cento delle quote globali, più del doppio rispetto a quelle di Bell (la seconda potenza del mercato degli elicotteri civili) e l’affare Lockheed-Sikorsky non produrrà effetti significativi per il mercato civile globale per molti anni.

A uscire ridimensionate dalla calda estate americana, casomai, saranno le mire di Airbus sul segmento Difesa.

Dopo la complessa e ancora travagliata operazione in Polonia, dove l’H225Mè stato selezionato – non senza un lungo strascico di polemiche – come futuro elicottero utility delle forze armate di Varsavia, Airbus guarda infatti con interesse all’India, altro mercato dal potenziale “brasiliano”.

Ma si tratta di progetti a lungo termine, non dell’Eldorado americano e del suo imminente rinnovo dello sterminato parco macchine militare.

Dalle tasche della Difesa americana, infatti, appena un dollaro su 100 sarà dedicato ai progetti di Airbus.

FINMECCANICA-AGUSTAWESTLAND E GLI ALTRI: QUALE FUTURO

Diverso il discorso AgustaWestland. La casa anglo italiana, oggi al terzo posto delle quote del mercato civile (16 per cento), è attualmente impegnata in una fase di transizione che ha visto, proprio nelle ultime ore (con il sì del cda di Finmeccanica alla riforma Moretti) la nascita di una maxi conglomerata formata da più divisioni caratterizzate da un’autonomia inferiore rispetto al passato.

L’ascesa di Lockheed nel comparto civile non preoccupa, vista anche la mole di ordini accumulati da AgustaWestland. Il backlog attuale della casa di Samarate ammonta a oltre 12 miliardi di euro: in altre parole, si tratta di altri tre anni di produzione garantiti, una cifra che comprende i nuovi ordini che nel 2014 hanno superato quota 4 miliardi di euro.

Anche in questo caso è il segmento degli elicotteri militari a stentare. Archiviato il mercato statunitense, ormai una chimera per la casa anglo italiana, restava aperta la porta fondamentale del bando da 3 miliardi in Polonia: le carte in regola c’erano, l’elicottero pure (l’AW149), ma la gara è andata comunque al rivale Airbus.

Leggi anche: perché l’AW149 non ha vinto in Polonia

Il rischio, per AgustaWestland, è di restare schiacciata sull’asse Italia-Regno Unito, mercati che non possono garantire da soli una crescita del comparto Difesa del costruttore.

La verità è che se l’acquisizione di Sikorsky darà una spinta importante al futuro del costruttore americano, l’affare con Lockheed non servirà a risolvere il problema principale dell’industria degli elicotteri: ci sono troppi costruttori e tre di loro sono basati negli States, il tutto in piena epoca di tagli alle spese militari.

Sikorsky si è messa al riparo sulle spalle del gigante, ora non resta che vedere cosa succederà a chi non l’ha ancora fatto.

Fonte:hwww.helipress.it/



Milano-Roma con nuovo volo low cost EasyJet: le offerte

EasyJet sfida Alitalia: è decollato questa mattina, lunedì 25 marzo, alle 6:55 il primo volo Easyjet per Roma partito da Linate. La compagnia low cost effetuerà cinque voli al giorno sulla tratta Milano-Roma e offrirà collegamenti concentrati nelle fasce di mattina e sera, cioè negli orari di punta del pendolarismo tra Milano e Fiumicino.

Nel week end le offerte saranno invece ridotte. Easyjet debutta con tariffe a 29 euro a tratta (59 euro per l’andata e ritorno). A regime, i prezzi di EasyJet partono da 59,42 euro per l’andata e ritorno, e fino a un massimo di 190,98.

Non a caso l’ex compagnia di bandiera ha tentato in ogni modo di opporsi alla decisione dell’Antitrust che già dal 2009, in seguito alla fusione Alitalia-Airone, aveva sollevato il problema dell’esclusiva sulla tratta, arrivando poi nell’aprile 2012 a dare alla Cai un vero e proprio ultimatum di 90 giorni per trovare una soluzione.  

Nonostante il debutto di Easyjet, Alitalia mantiene comunque ancora gran parte dei collegamenti, 30 andata e ritorno, e ha già saputo tener testa alla concorrenza dei treni. Da quando il Frecciarossa ha ridotto sotto le tre ore il viaggio tra le due città, i margini di profitto di Alitalia sono stati limati.  

Oggi ben più del 50% dei passeggeri viaggia tra le due città su rotaia. Per quanto riguarda la frequenza dei voli, invece, al momento non c’è storia: a fronte dei cinque voli proposti da EasyJet, Alitalia risponde con 14 voli da Milano Linate verso Roma Fiumicino (di cui 7 la mattina) e oltre 20 da Roma (di cui 11 la mattina) in direzione Milano.

Per entrambi i vettori, il tempo di percorrenza è lo stesso, un’ora e dieci minuti. L’obiettivo di EasyJet è di trasportare sulla tratta Milano-Roma tra i 350 e i 400mila passeggeri nel solo 2013

Fonte:www.businessonline.it



L’ è il caccia di punta delle forze aeree statunitensi, pensato e costruito per superare in qualsiasi condizione aerei avversari nei cieli di tutto il mondo. Il Raptor non ha ancora avuto la possibilità di dimostrare il suo potenziale in eventi reali, ma durante le varie esercitazioni che ogni anno si tengono negli Stati Uniti non ha mai avuto rivali alla sua altezza. Almeno fino allo scorso giugno.

Nella settimana tra il 7 ed il 14 giugno scorso si è tenuta presso la Eielson Air Force Base e la Elmendorf-Richard Air Force Base l’annuale esercitazione chiamata Red Flag Alaska. Organizzata dall’USAF, la ‘competizione’ prevede la partecipazione di numerosi squadroni provenienti dagli Stati Uniti e occasionalmente ospita gruppi di volo di paesi alleati. Durante l’edizione del 2012 sono giunti come ospiti nei cieli dell’Alaska gli F-16 Block 52 polacchi, alcuni F-15J giapponesi e otto Typhoon tedeschi appartenenti Jagdgeschwader 74 – basati a Neubirg in Baviera. Oltre, ovviamente, ai già citati Raptor statunitensi.

Nei 7 giorni di esercitazione, tra i 70 ed i 100 velivoli si sono confrontati nei cieli di Alaska e Canada occidentale. A fare gli onori di casa l’18th Aggressor Squadron, basato a Eielson, che vola con i Viper dalla livrea a tre colori – azzurro, blu e grigio – similare a quella utilizzata su alcuni aerei russi e cinesi. Gli Aggressor, che durante l’anno si addestrano a volare con le tattiche dei caccia di Pechino e Mosca, durante Red Flag ‘impersonano’ il nemico e in particolare replicano le manovre dei Sukhoi Su-27 e Su-30 e dei cinesi J-10.

Gli Aggressor fungono quindi da counterforce per gli squadroni invitati a Red Flag, che hanno così l’opportunità di sperimentare tattiche di combattimento contro un nemico che si avvicina il più possibile alla realtà.

L’addestramento prevede operazioni di combattimento congiunto, in cui i vari ospiti devono necessariamente interagire tra loro per sconfiggere gli Aggressor. I piloti devono imparare dall’esercitazione a sfruttare le potenzialità dei propri aerei e a sopperire alle carenze affidandosi agli alleati. In  sostanza, Red Flag – nell’ottica americana – consente ai piloti dei paesi alleati di esercitarsi ad utilizzare i caccia statunitensi per sopperire alle proprie debolezze e viceversa.

Con l’introduzione del Raptor, macchina letale e senza difetti, sembrerebbe che la complementarità abbia lasciato spazio alla superiorità indiscussa degli americani su tutti gli altri. Sentimento condiviso anche dal Colonnello Andreas Pfeiffer, comandante del Jagdgeschwader 74, che dichiara che volare insieme ai Raptor sia un’esperienza interessante per merito delle loro “capacità schiaccianti e incolmabili”.

Questa, tuttavia, è solo una parte della verità. Pare che seppure il Raptor sia superiore all’Eurofighter, durante Red Flag l’aereo americano non abbia surclassato quello europeo. I piloti tedeschi avrebbero confermato durante l’air show di Farnborough, che l’Eurofighter in alcune particolari situazioni si è comportato meglio del caccia statunitense.

Secondo i piloti tedeschi, gli Eurofighter in configurazione pulita – senza i serbatoi ausiliari esterni – ed in situazioni WVR (Within Visual Range) avrebbero tenuto la pressione del Raptor. Avrebbero dimostrato addirittura, in alcune occasioni, performance migliori. Pare che il deficit maggiore dell’F-22 sia l’eccessiva perdita di energia quando utilizza la spinta vettoriale – quando cioè indirizza la spinta dei motori su una direzione differente rispetto il proprio asse longitudinale.

In queste occasioni se l’F-22 non è in grado di ottenere una posizione idonea a colpire l’avversario perde troppa potenza e rallenta eccessivamente, perdendo di vista l’aereo nemico. Deficit, questo, che potrebbe essere coperto dall’utilizzo di un HMD – Helmet Mounted Display – attraverso il quale il pilota può seguire il nemico con lo sguardo. L’F-22 monta invece un semplice HUD fisso, da qui la necessità di ‘portare’ il nemico in un cono di 30° parallelo all’asse longitudinale dell’aereo. L’Eurofighter, che non può utilizzare la spinta vettoriale, ha però l’HMD integrato, strumento che facilita non poco la vita del pilota in situazioni di combattimento.

I piloti statunitensi potrebbero replicare che nella realtà, con un aereo come l’F-22, difficilmente si arriverebbe ad un combattimento ravvicinato. Il Raptor sfrutterebbe la sua invisibilità per colpire il nemico sulla lunga distanza, lasciando situazioni come quella descritta sopra ad occasioni residuali. Nella migliore delle ipotesi, un F-22 armato con sei missili AIM-120 potrebbe colpire sei aerei nemici prima ancora di essere visto o identificato.

Non tutti sono d’accordo su questa visione ottimistica degli eventi. Due analisti della RAND, John Stillion e Scott Perdue, hanno un parere diverso riguardo ad un potenziale confronto dell’F-22 con i Sukhoi cinesi. Secondo i due analisti, tenendo conto del rateo di successo dell’AIM-120-65% e del numero di aerei cinesi che gli F-22 si troverebbero contro sui cieli di un ipotetico conflitto – con un rapporto a sfavore degli americani di 24:7 – il Raptor si troverebbe comunque in una situazione sfavorevole. Come dire che la quantità, in questo caso, potrebbe avere la meglio sulla qualità: ottimisticamente parlando, gli F-22 si troverebbero comunque coinvolti in combattimenti ravvicinati con rapporti 1:1 o 1:2 e dunque in posizione di svantaggio. Ai piloti statunitensi non resterebbe che sperare che un pugno di Eurofighter giunga in soccorso.

Il resoconto completo dell’incontro Eurofighter/Raptor in Alaska sottolinea non tanto i problemi dell’F-22, già largamente conosciuti dagli analisti, ma riporta in auge le capacità dell’aereo europeo.

Un buon consiglio per : approfondire la vicenda ed eventualmente usare i piloti tedeschi come testimonial dell’Eurofighter per cercare di recuperare il terreno perduto sul mercato internazionale dei caccia. Perché fino ad oggi dell’Eurofighter si è spesso parlato male, considerando più le note negative che quelle positive. Le prestazioni durante Red Flag possono invece riportare un po’ di luce su un aereo che ha molte più potenzialità di quante gliene vengano riconosciute.
23 luglio 2012

Fonte:www.meridianionline.org


SOCIAL NETWORKS

Seguici sui Social

Aeroclub Modena è presente sui maggiori canali Social. Per qualsiasi informazione non esitate a contattarci. Sapremo rispondere puntualmente ad ogni vostra necessità.