sicurezza

11 Agosto 2016

Sono atterrati senza problemi – uno all’aeroporto di Zaventem e l’altro in quello di Tolosa – i due aerei per cui erano stati diramati altrettanti allarmi bomba.

 

Tutti i passeggeri sono stati messi in sicurezza e le forze dell’ordine stanno verificando cosa realmente abbia provocato l’allerta. La notizia della minaccia era stata diffusa dall’emittente fiamminga Vrt, spiegando che allo scalo di Bruxelles (teatro lo scorso 22 marzo dell’attentato costato la vita a 35 persone) erano già arrivate squadre di emergenza.

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Secondo la procura generale, la minaccia è seria da indurre ad agire le forze speciali: “E’ una minaccia sufficientemente grave” ha detto il procuratore.

Dopo l’atterraggio, tuttavia, dall’ufficio del ministro dell’Interno belga, Jan Jambon, hanno fatto sapere che “non vi è alcun motivo specifico di panico”.

E’ atterrato a Tolosa e non a Bruxelles uno dei due aerei, secondo quanto riporta Rtbf, aggiungendo che si tratta di un volo della Air Arabia Maroc. All’aeroporto di Zaventem è invece atterrato l’altro volo della compagnia scandinava Sas. Uno proveniva da Oslo, l’altro daStoccolma.

L’allarme è arrivato nello stesso giorno delle nuove minacce di attentati da parte dello Stato Islamico. Un canale telematico dell’Isis sulla piattaforma Telegram fa appello ai “lupi solitari” perché lancino “attacchi in Europa”, e in “particolare in Belgio, bollato come target per l’Islam”. Lo riferisce il Site, il sito di monitoraggio dell’estremismo islamico sul web.

Fonte:www.ilfattoquotidiano.it/


5 Agosto 2016

Frecce Tricolori a Lignano, un evento sotto stretto controllo

Show delle Frecce Tricolori a Lignano, vertice sicurezza in Questura a Udine

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“Rafforzate le misure di sicurezza in vista dello show della Pattuglia acrobatica: il Lungomare Trieste sarà chiuso al traffico“

Sarà uno show sotto stretto controllo da parte delle Forze dell’Ordine quello che si terrà a Lignano il prossimo 14 agosto e vedrà protagonista la pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori.

Il pericolo di terrorismo ha portato a un rafforzamento delle misure di sicurezza: Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia Locale controlleranno la zona coadiuvati anche da Vigili del Fuoco, Guardia Costiera, 118 e all’Aeronautica militare.

Proprio ieri in Questura, a Udine, si è tenuto un incontro tra i vari operatori di sicurezza e il Comune di Lignano per un evento che richiamerà almeno 300 mila persone.

Blocco del traffico veicolare, per tutto il pomeriggio, al Lungomare Trieste.

Divieto di sosta in vigore dalla mattina di domenica 14. Massima sorveglianza anche per gli uffici della spiaggia più affollati che saranno controllati ai punti di ingresso.

FONTE;www.udinetoday.it


10 Aprile 2015

Smith: “Ma ora basta psicosi non siamo assassini gli aerei sono sicuri”

  

Il pilota best seller: “Nella mia vita ho incontrato sempre colleghi professionali. Gli incidenti sono diminuiti. Negli Usa già da tempo non si può rimanere soli in cabina. Ma uno steward può fare ben poco”

 

pilotSONO triste e indignato per come i media mondiali e l’opinione pubblica stanno trattando l’intera categoria dei piloti dopo il gravissimo disastro aereo in Francia. Ora tutti i passeggeri ci guarderanno come dei potenziali assassini, e penseranno al peggio appena l’aereo si abbasserà di qualche centinaio di metri. Quello di Andreas Lubitz è un episodio drammatico, ma rarissimo. E assolutamente imprevedibile”.

Patrick Smith è più che amareggiato. Pilota americano di Boston, 49 anni e una smisurata passione per il volo, tempo fa ha scritto il bestseller “Chiedilo al pilota” (ed. Fusi Orari), acuto e brioso Bignami della vita da Icaro che ha appassionato, anche grazie all’ironia, centinaia di migliaia di lettori e passeggeri nel mondo. Adesso, però, Smith, anche sul suo seguitissimo blog ” askthepilot. com”, ha smarrito tutta la sua leggerezza. Non è la prima volta di un pilota suicida in volo. Ma il caso Lubitz, per Smith, è qualcosa di unico.
Perché?
“Perché semplicemente non lo si può prevedere. Non sappiamo ancora con certezza cosa sia successo su quel volo maledetto, ma sembra davvero un evento estremamente inusuale. E la fobia generale che ha innescato è irragionevole”.
 

In che senso?
“Nella mia vita ho incontrato colleghi sempre professionali. E la sicurezza sugli aerei è aumentata moltissimo negli ultimi decenni, basta vedere i dati sugli incidenti. Il paradosso è che oramai gli aeroplani sono diventati macchine così vicine alla perfezione che è l’essere umano a far più paura”.

Quindi, secondo lei, gli annunciati nuovi controlli sui piloti, dai test più frequenti alla doppia presenza obbligatoria in cabina, sono inutili?
“Fanno semplicemente parte della psicosi collettiva in atto in questo momento. Noi piloti, almeno qui in America, siamo già subissati di test, anche psichici, fino a due volte l’anno. Aumentarli, secondo me, non avrebbe conseguenze positive. Anche se, lo ammetto, sono rimasto sconvolto quando ho saputo che in Europa un pilota può rimanere da solo nel cockpit: questo negli Stati Uniti è inconcepibile. Ma, certo, se un ufficiale vuole far schiantare un aereo, un assistente di volo in cabina può far ben poco per evitarlo”.
A questo proposito, come giudica le misure post 11/9 che hanno blindato irrimediabilmente la cabina di pilotaggio, per i terroristi ma paradossalmente anche per un pilota?
“Non lo so, sono molto confuso su questo. Nonostante tutta la mia esperienza, non so quale sia la soluzione migliore. Isolare la cabina di pilotaggio è sicuramente importante. Ma ogni ulteriore misura di sicurezza ha il suo lato oscuro. Credo che bisognerà cambiare queste norme”.

Ha mai avuto temuto, nel corso della sua carriera, il suo compagno di cabina?
“Mai. Quando salgo su un aereo devo pensare che i miei colleghi siano un corpo estremamente professionale e non posso fare altrimenti. Poi certo, a volte la gente dimentica che siamo esseri umani. Che il nostro è un lavoro stressante, ma come e non più di moltissimi altri. E che, come in qualunque altro impiego, nel lavoro trasferiamo inevitabilmente un pezzetto della nostra vita privata, positivo o negativo. Ma ripeto, il caso Lubitz è qualcosa di rarissimo. E la sua stessa compagnia secondo me, per quello che sappiamo, poteva fare ben poco per fermarlo”.

 

Nell’era dei droni, c’è chi dice che in casi d’emergenza potrebbe essere utile un controllo dall’esterno dell’aereo, in modo da dirottarlo da terra e metterlo in salvo. Lei che ne pensa?
“Queste sono le cose che mi fanno più arrabbiare come pilota. Sono solo assurdità di persone pensano di essere in un romanzo di fantascienza. Ma che non hanno nulla a che fare con la realtà”.

 

Fonte: www.repubblica.it

P.G.


13 Aprile 2014

Le indagini sugli incidenti aerei sono strettamente legate al recupero fisico, talvolta molto difficile, delle scatole nere. Ma ci sarebbero altri modi per conservare i dati cruciali.

È passato ormai oltre un mese da quando il Boeing 777 di Malaysia Airlines, che stava operando il volo 730 tra Kuala Lumpur e Pechino, si è tragicamente inabissato in qualche punto dell’Oceano Indiano meridionale, “una delle zone più remote e pericolose del pianeta”. Non solo non si sa ancora nulla delle cause dell’incidente, ma bisogna ancora localizzare esattamente il pagliaio nel quale cercare l’ago che potrà aiutare a chiarirle. Parliamo, naturalmente, delle scatole nere, i dispositivi – che poi non sono affatto neri, ma arancioni brillanti – che monitorano e memorizzano tutto ciò che accade a bordo di un aeromobile. Ieri, dopo settimane di ricerche infruttose, come vi avevamo raccontato, è arrivata la prima timida buona notizia: la Ocean Shield, la nave della marina australiana che da giorni sta setacciando l’oceano, ha rilevato due segnaliping, in gergo – compatibili con quelli provenienti dalla scatola nera del Boeing. Incrociando le dita e aspettando la conferma dell’attendibilità dei dati (servirà ancora qualche giorno), comunque, una domanda sorge spontanea. Come è possibile che nel 2014, in piena epoca wireless, in un momento in cui si può ottenere in tempo reale qualsiasi tipo di informazione sul proprio smartphone, le indagini sugli incidenti aerei siano ancora legate al recupero fisico dei dati elettronici?

Non è una questione nuova. Già diverso tempo fa, all’indomani dell’incidente del volo Air France 447,  i colleghi di Wired.com avevano provato a fare chiarezza sulla situazione. In quel frangente, le scatole nere furono trovate sul fondo dell’Oceano Atlantico dopo anni di indagini, in quella che viene ricordata come una delle spedizioni di ricerca più costose della storia. Gli investigatori rimossero le memory card, le asciugarono con attenzione, collegarono i cavi e scoprirono che le scatole nere avevano preservato praticamente tutti i dati memorizzati – due ore di registrazioni audio della cabina di pilotaggio e migliaia di parametri acquisiti tra il decollo e il momento dell’impatto – nonostante la lunga permanenza in acqua. Il ritrovamento e l’analisi dei dati permisero di risalire alle cause della tragedia, uno sfortunato mix di guasti tecnici (malfunzionamento dei tubi di Pitot, i congegni che rilevano la velocità dell’aeromobile) e errori umani (i piloti interpretarono male i dati provenienti dai sensori e portarono l’aereo in stallo).

In ogni caso, viste le difficoltà del recupero delle scatole nere, già allora si iniziarono a esplorare metodi alternativi di backup e trasmissione in tempo reale dei dati di volo. I dirigenti di Bombardier, società canadese produttrice di aeromobili, annunciarono nel 2010 che i loro nuovi Cseries sarebbero stati i primi aerei commerciali costruiti con la capacità di trasmettere in remoto dati di telemetria, inviandoli a una stazione di terra o a un satellite. Gli aerei sarebbero dovuti arrivare sul mercato nel 2013, ma una serie di modifiche e perfezionamenti tecnici ne ha ritardato l’uscita, attualmente riprogrammata per la metà del 2015.

Nonostante tutto, c’è ancora chi è di parere contrario. E ritiene che “la trasmissione di dati in tempo reale sia la soluzione a un problema inesistente”. Wired.com racconta infatti che le scatole nere, finora, sono state quasi sempre ritrovate, presto o tardi: l’ultimo incidente in cui  non è stato possibile recuperarle è stato l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, in cui gli aerei finirono praticamente disintegrati. Per agevolare le ricerche, le scatole nere sono dotate di localizzatori che emettono ping ultasonici progettati per essere avvertiti anche a svariati chilometri di distanza. E, tra l’altro, “la maggior parte degli incidenti avvengono nelle fasi di atterraggio o decollo”, spiega Bill Voss, presidente della Flight Safety Foundation, “per cui la ricerca e il recupero delle scatole nere è molto semplice”.

Attualmente, i dispositivi fanno parte della dotazione standard di tutti gli aeromobili, eccezion fatta per quelli più piccoli. Le scatole nere furono introdotte negli anni cinquanta, dopo una serie di incidenti che coinvolsero il de Havilland Comet, primo jet commerciale. Fino alla metà degli anni novanta, tenevano traccia di una dozzina di parametri, tra cui altitudine, velocità, direzione, beccheggio e rollio. Gli ultimi modelli, invece, sono estremamente più sofisticati. La Federal Aviation Administration impone espressamente il monitoraggio 88 parametri di volo, generalmente un paio di volte al secondo, ma i registratori sugli aerei moderni fanno molto di più: tengono traccia di circa 3mila punti, compreso lo stato dei sistemi di bordo, la posizione dei comandi in cabina (cloche e pedaliera, per esempio), le letture di pressione e temperatura dei serbatoi di carburante. Praticamente un check-up completo e continuo.

Le scatole nere, inoltre, devono superare una serie di test durissimi prima di poter essere montate a bordo di un aereo. Vengono letteralmente sparate da un cannone ad aria compressa che le sottopone a una forza pari a quasi 4mila volte la gravità terrestre. Schiacciate in una pressa da 2 tonnellate per cinque minuti. Immerse in carburante, olio lubrificante e acqua marina per due mesi. Se le prove hanno esito positivo, sono dichiarate finalmente idonee e entrano in servizio. Visti i risultati con il volo Air France 447 – e auspicabilmente con il Malaysia Airlines – regole di sicurezza così stringenti, alla fine, danno i loro buoni frutti.

D’accordo. Le scatole nere sono sicure e fanno bene il loro dovere. Ma, nonostante le obiezioni, è innegabile che un sistema di trasmissione in tempo reale, anche se solo parziale o integrativo, sarebbe certamente d’aiuto. Perché, allora, non è stato ancora implementato? Bisogna, anzitutto, distinguere tra parametri dell’aereo e registrazioni vocali della cabina. Per quanto riguarda queste ultime, Wired.com spiega che uno dei problemi maggiori è legato alla reticenza dei piloti. “Per legge, le registrazioni vocali in cabina possono essere ascoltate solo dagli investigatori dopo un incidente. Quando un aereo arriva a destinazione, il pilota cancella tutti i dati (ma non è possibile farlo durante la fase di taxi o in volo)”. Anche nel caso di incidenti, le trascrizioni rese pubbliche sono solo una parte di tutti i dati reali. I piloti, sostanzialmente, vogliono che le registrazioni delle loro voci restino fisicamente a bordo dell’aeroplano, sotto il loro controllo, perché temono che le compagnie aeree le usino per analizzare troppo da vicino il loro operato – e in effetti il sindacato piloti americano, nel 2010, si è esplicitamente opposto a una proposta di questo tipo: “Lo streaming vocale non ci sarà”, disse esplicitamente Voss. “Non vogliamo che il pilotaggio si trasformi in un reality.

In merito ai dati di volo, la questione è ancora più delicata. “In linea di massima, l’associazione dei piloti”, racconta Wired.com, “si è opposta anche alla trasmissione dei dati di volo, anche se in un caso, quando sono serviti a scagionare un collega che era stato accusato di volare troppo basso, hanno accettato volentieri di usarli”. E poi, naturalmente, ci sono tutte le considerazioni economiche e tecnologiche. La conservazione dei dati non è un problema, ma la loro trasmissione potrebbe esserlo, dato che inviare un kilobyte via satellite costa più o meno un dollaro. E la banda richiesta, secondo Krishna M. Kavi, docente di informatica alla University of North Texas, è di circa 64 megabit per secondo. D’altro canto, c’è anche da tener conto che un sistema di trasmissione in tempo reale comporterebbe dei ritorni economici per le compagnie aeree, che potrebbero usare i dati per raccogliere più efficacemente le informazioni sulle operazioni di volo e ottimizzare la programmazione di manutenzione e il consumo di carburante.

La previsione è che si adotterà presto un sistema ibrido, in cui “la trasmissione in tempo reale viene automaticamente attivata quando alcuni parametri di sicurezza, come velocità, tasso di discesa verticale, rollio o beccheggio diventano anomali”. Nell’attesa, purtroppo, possiamo solo continuare a scandagliare il fondo dell’oceano. E incrociare le dita

Sandro Iannaccone

Fonte:www.wired.it


12 Gennaio 2014

Secondo il sito Airlinerating la migliore è la Qantas: nessun incidente mortale dagli inizi degli Anni Cinquanta.

«Qantas mai cascata». Già nel 1988, Dustin Hoffman, nel film «Rain man», non aveva dubbi sulla compagnia aerea con la quale avrebbe preferito volare. L’unica sicura. L’unica a non essersi mai schiantata. Anche se questo avrebbe voluto dire, per andare da Cincinnati a Los Angeles, fare scalo a Melbourne. Quasi 30 anni dopo, il sito «Airlinerating.com», specializzato in «dare i voti» agli aerei, è dello stesso parere. E nella sua speciale classifica delle compagnie aeree più sicure, dà proprio agli australiani la Palma d’oro. Sette stelle. Il massimo: nessun incidente mortale dagli inizi degli Anni Cinquanta. Ma nella top-ten ci sono anche altri nomi. In ordine alfabetico: Air New Zealand, All Nippon Airways, Cathay Pacific Airways, Emirates, Etihad Airways, Eva Air, Royal Jordanian, Singapore Airlines e Virgin Atlantic. Una valutazione che tiene conto di diversi parametri: i dati sugli incidenti ma anche della qualità dei voli.

ECCO LA TOP TEN IN ORDINE ALFABETICO

Air New Zeland

All Nippon Airlines
 
Cathai Pacific
 
 
Emirates
 
 
Etihad
 
 
Eva Air
 
 
Royal Jordanian
 
 
Singapore Airlines
 
 
Quantas
 
 
Virgin
 
 
IL 2013 L’ANNO PIU’ SICURO – Chi ha paura di volare di solito viene rassicurato così: è più probabile morire in un incidente stradale che in un disastro aereo. L’Aviation Safety Network dà i numeri. Il 2013 è stato l’anno più sicuro per spostarsi in aereo dal 1945: 29 incidenti, 269 morti. Ben sotto la media degli ultimi dieci anni, che conta 719 morti e 32 incidenti. Con una precisazione. Un incidente su 5 è avvenuto in Africa, che, a livello globale, comprende però solo il 3% delle partenze. In altre parole: è questo il continente meno sicuro per volare. Anche se l’anno scorso, il disastro più grave è avvenuto in Russia. Quando, il 18 novembre, un Boeing 737 della Tatarstan si è schiantato in fase di atterraggio nell’aeroporto di Kazan.

LE COMPAGNIE MENO SICURE – Sempre meglio non avventurarsi a bordo degli ultimi della lista. Sulla kazaka Scat, per esempio. Punteggio: una stella. Le fanno compagnia in fondo alla classifica l’afgana Kam Air e la surinamese Bluewing Airlines. Fanno tutte parte di una lunga lista di compagnie aeree che all’interno dell’Unione europea non possono volare.


18 Dicembre 2013

Uno studio dell’agenzia statunitense per il volo parla chiaro: la tecnologia e il ricorso ai sistemi di guida automatica stanno erodendo le competenze dei comandanti. Poco reattivi e disabituati a impugnare la cloche, non padroneggiano le ultime novità dell’elettronica di bordo.

C’E’ UN RAPPORTO che, per chi ha paura di volare, rischia di peggiorare la situazione. Altro che smartphone sempre accesi: sono ben altre le preoccupazioni. Si tratta di uno studio, predisposto dalla potentissima Federal Aviation Administration statunitense, che racconta in 277 dettagliatissime pagine come la tecnologia abbia reso i piloti degli aerei poco reattivi. Non solo: i capitani che ogni estate ci portano in viaggio per il mondo sono ormai dipendenti dagli stessi sistemi automatici di cui i loro mezzi sono zeppi e dei quali tuttavia faticano a padroneggiare i più recenti aggiornamenti. Senza contare la massiccia presenza di tecnologia che ormai ha relegato la cloche praticamente ai soli decollo e atterraggio – che sta producendo un effetto deleterio sulle abilità di guida manuale dei velivoli.

Ad anticipare l’inquietante indagine, che sarà diffusa in settimana, è stato il Wall Street Journal. A quanto pare la Faa – che ha preso in considerazione oltre 9mila voli commerciali in tutto il mondo incrociando anche altri elementi come interviste e osservazioni dirette – ha sancito che i piloti stanno pian piano dimenticando come si conduce un aereo senza l’aiuto della tecnologia. Per esempio, “spesso si affidano troppo ai sistemi automatici e possono essere riluttanti a intervenire” o a disattivarli in circostanze rischiose o eccezionali. Quando invece la situazione andrebbe letteralmente presa in mano. Lo studio sottolinea inoltre come alcuni piloti “non abbiano conoscenze sufficienti e approfondite” per tenere sotto controllo la traiettoria degli apparecchi. Sul banco degli imputati diversi fattori che contribuiscono a questa sorta di inatteso digital divide fra le nuvole. Fra i motivi principali  i metodi di addestramento e il poco tempo a essi dedicato”.

Non è quindi una coincidenza che, fra le varie categorie d’incidenti esaminate dalla commissione di 34 esperti che ha compilato lo studio, in quasi due terzi dei casi i piloti abbiano avuto problemi sia nel controllo manuale del velivolo sia nell’uso dei computer di bordo. È il caso, tanto per citare un evento tristemente noto, della tragedia dell’Airbus A330 Air France in servizio fra Rio de Janeiro e Parigi, precipitato nell’oceano Atlantico il 9 giugno 2009. Oppure, fortunatamente con conseguenze assai meno gravi, del Boeing 777 della Asiana Airlines che lo scorso luglio si è schiantato all’Aeroporto di San Francisco in fase d’atterraggio.

Un bel grattacapo, insomma, se si considera che a produrre questa pressione sono proprio quei sistemi che, in fondo, hanno contribuito a elevare ai massimi livelli la sicurezza dei cieli, in particolare negli ultimi decenni. Il fatto è che, come fa notare lo studio dell’agenzia americana, con la sempre maggiore affidabilità dei motori e dei sistemi di gestione del volo, i comandanti impiegano la maggior parte del loro tempo nel cockpit a programmare e monitorare l’andamento di quegli stessi sistemi. Relegando il volo manuale ai pochi minuti iniziali o finali. Tuttavia l’eccessivo affidamento sui computer è stato da anni individuato dalla stessa industria aeronautica come un problema potenziale di portata molto ampia. Come se, spiega il documento, “la definizione delle normali competenze dei piloti fosse cambiata nel tempo“. Oggi il capitano è un manager di sistemi sottoposto a un bombardamento informativo che può condurlo in confusione, verso scelte sbagliate, aggravate dalla scarsa esperienza diretta sui comandi.

Niente paura, però. Nella stragrande maggioranza dei casi i piloti sono in grado di individuare e correggere le eventuali anomalie riscontrate nei sistemi prima che possano produrre conseguenze più gravi. Il vero rischio rimane, come spesso accade anche in altri ambiti, il fattore umano. Per esempio la loro passività, stando almeno a quanto racconta una parte del documento che raccoglie alcune interviste con gli addestratori. Quando i piloti devono passare alla guida manuale tendono infatti “a osservare quel che capita piuttosto che a essere proattivi” e prendere una decisione. Un atteggiamento che sembra appunto un’altra conseguenza diretta dell’ecosistema hi-tech nel quale vivono immersi ormai da anni. Come se fossero diventati più pigri. Anche a causa, secondo la British Pilots Association, delle troppe ore di volo sulle loro spalle. Da parte sua, la Faa ha pubblicato 18 nuove indicazioni per cercare di tamponare questo fenomeno. Vere e proprie regole per aiutare i piloti a recuperare le loro competenze di base: si va dall’invito ad allenarsi di più, tornando a sollecitare le proprie capacità manuali, alla progettazione di pannelli di controllo, console e cabine di pilotaggio “più comprensibili dal punto di vista dell’equipaggio” fino a esercitazioni più avanzate sulla complessità dei computer di bordo. Il rapporto consiglia infine ai piloti di allenarsi a far fronte a malfunzionamenti rari ma potenzialmente catastrofici “per i quali non sono previste procedure particolari“.

Fonte:www.repubblica.it


5 Dicembre 2013

L’istituto Demoskopea sta intervistando i cittadini sui diritti degli stranieri sui problemi di criminalità nei quartieri e sui sistemi per evitare furti in casa.

Una mappa dei luoghi insicuri secondo i modenesi, il via libera al diritto di voto e l’apertura di moschee e luoghi di culto per stranieri sotto la Ghirlandina. Sono due tra i principali temi che il Comune di Modena affronta nel sondaggio telefonico, affidato all’istituto milanese Demoskopea, in corso di svolgimento in questi giorni. Obiettivo: tastare il polso dei modenesi su temi quanto mai attuali come la criminalità e l’incremento della percezione di insicurezza, ma anche il rapporto con chi proveniente dall’estero ha deciso di abitare, vivere e lavorare in città. Tante le domande che vengono sottoposte ai modenesi in un sondaggio della durata di circa 15 minuti.

LA PAGELLA. Si parte con una sorta di “pagella della città”: viene richiesto di valutare con un “molto, abbastanza o poco” i livelli di sicurezza stradale a Modena, il livello di criminalità, la sicurezza ambientale, l’assistenza e i servizi forniti sul fronte del welfare, la sicurezza economica della nostra realtà, la sicurezza sui luoghi del lavoro. Dal generale si passa poi al primo dei due principali temi di indagine al centro del sondaggio: sicurezza e criminalità.

COSA VI FA PAURA? E qui, sulla scia dell’indiscutibile escalation di reati legati soprattutto alla microcriminalità nel corso dell’ultimo anno, i modenesi sono chiamati a raccontare cosa avviene a Modena e soprattutto nella zona in cui risiedono. Viene così chiesto se si ritiene, o meno, sicuro il quartiere in cui si vive, e se lo è più o meno rispetto ad altri della città; se si conoscono persone che sono rimaste vittime di furti o violenze nel corso dell’ultimo periodo, se nel quartiere di residenza ci siano rifiuti abbandonati, siringhe, gruppi di persone che disturbano, ubriachi molesti, locali rumorosi; e ancora: se per le strade del proprio quartiere ci sono tossicodipendenti, spacciatori, prostitute, persone che si rendono protagoniste di atti vandalici.

CASE FORTINO? Poi si passa al capitolo furti e sicurezza delle abitazioni. Alla persona intervistata viene chiesto se sia a conoscenza di furti avvenuti negli ultimi tre anni nella zona in cui vive, se ha subito furti. Il Comune vuole sapere dall’istituto che conduce il sondaggio come i modenesi si difendono. Ad esempio, se si ha o si pensa di acquistare un’arma, se si è in possesso di una assicurazione contro i furti, o di una sulla vita, se si è dotata la propria casa di sistemi antifurto, porte blindate, inferriate, telecamere e se si ha intenzione di partecipare a corsi di autodifesa personale. Il sondaggio sulla criminalità prosegue con la richiesta di elencare quali sono le vie e le zone ritenute insicure del proprio quartiere e perché. Ultima annotazione riguarda uno dei progetti di riqualificazione avviato dal Comune, quello per via Attiraglio. L’intervistato è invitato a spiegare se ne è a conoscenza e se ritiene che tale progetto sia servito oppure no.

NOI E GLI STRANIERI. Dalla sicurezza si passa al tema stranieri e immigrati, con una serie di domande che vanno a toccare temi quantomai “spinosi” soprattutto sul fronte della polemica politica. Ad esempio, quello della cittadinanza: se sia giusto o meno dare il diritto di voto amministrativo (per il sindaco, ad esempio) agli stranieri, dopo alcuni anni di vita e lavoro a Modena. Si passa poi al diritto di cittadinanza ai bimbi nati in Italia da genitori stranieri (ius soli), al diritto di aprire luoghi di culto nella nostra città, alla possibilità di partecipare alle graduatorie per ottenere case popolari o altri servizi al pari degli italiani. Si chiede se sia giusto che per la concessione di questi diritti o servizi gli stranieri siano trattati allo stesso modo dei modenesi o se si ritenga che ci debba essere una sorta di diritto di prelazione per gli italiani rispetto agli stranieri. Infine viene chiesto un giudizio sul rispetto delle regole e degli usi italiani da parte degli stranieri e se secondo l’intervistato tutti questi stranieri non finiscano con il togliere lavoro agli italiani…

MODENA DEL DUEMILA. Come si può intuire un carnet di domande che potrebbe fornire una fotografia attuale su come i modenesi si pongano sul tema sicurezza, criminalità e accoglienza degli stranieri. Non resta che attendere i risultati e le percentuali. Risultati che potrebbero risultate particolarmente interessanti, soprattutto in prospettiva politica. E che potrebbero tornare utili a chi si prepara programmi elettorali per guidare la città dopo dieci anni di era Pighi.

Fonte:http://gazzettadimodena.gelocal.it



Per il capo di Stato maggiore De Nardi, i rischi maggiori potrebbero venire da un “lupo solitario”

L’invio di un aereo in Italia per prelevare due “papamobili” e quattro elicotteri delle forze armate brasiliane a disposizione per i viaggi della comitiva “pontificia”. Sono le richieste che il Vaticano ha girato a Brasilia per la visita che Francesco effettuerà nel paese amazzonico tra il 22 e il 28 luglio. Lo spiega il capo di Stato maggiore della Difesa brasiliana generale José Carlos De Nardi in una intervista pubblicata dalla pagina internet di Globo Tv. I quattro elicotteri chiesti dalla Santa Sede – del tipo Coguar, due dell’aviazione, duno dell’esercito e uno dedlle Marina militare – viaggeranno semrpre “in squadra”, spiega De Nardi, perché non si apossibile sapere con precisione in quale apparecchio vola il Papa. “Per il Papa, i maggiori rischi” potrebbero venire dall’azione di “un lupo solitario”, spiega De Nardi secondo cui, stando alle “informazioni di cui disponiamo” non vede comunque pericoli per la popolazione. Uno dei due elicotteri a disposizione del Papa – lo stesso che viene utilizzato dalla presidente Dilma Rousseff, sottolinea la testata -, può trasportare sei passeggeri e quattro membri dell’equipaggio. Gli atri due arrivano a trasportare dodici persone oltre all’equipaggio. uno degli apparecchi sarà messo a disposizione delo staff medico.

Fonte:www.ilvelino.it



Il carburante caricato è tarato per spendere meno possibile. I “may day” si susseguono. E i sindacati dei piloti protestano.

Il Faro on line – Volare in sicurezza è una priorità. Risparmiare anche. E’ su questi binari paralleli che si sviluppa tutto il sistema aeroportuale attuale, sia che si parli di low cost sia che si parli di grandi compagnie di bandiera. Ed è evidente che l’uno in qualche modo esclude l’altro. Tra le “voci” che sono ormai da un po’ di tempo sotto i riflettori delle compagnie c’è quella dei carburanti. Diamo subito la notizia: il carico viene fatto al minimo delle tabelle di sicurezza, buono per essere in regola con le norme internazionali, ma senza quella discrezionalità del comandante utile a gestire eventuali situazioni di emergenza totale. Semplificando: gli aerei – per quanto riguarda la capacità di restare in volo – sono sicuri finché non accade una vera emergenza. La notizia è confermata non solo da alcuni incidenti, per fortuna risolti senza gravi conseguenze, ma dai sindacati piloti di diverse nazioni. Il Cockpit Vereinigung, sindacato dei piloti tedesco, ha protestato dopo il triplice may-day lanciato dalla Ryanair lo scorso anno in Spagna. Compagnie come British Airways, Air France e American Aerlines hanno avuto i loro problemi. A lanciare l’allarme è anche l’associazione dei piloti inglesi (Balpa), l’Eca (sindacato europeo dei piloti) nonché, dalle parti di casa nostra, l’Anpac – Associazione nazionale piloti, la Federazione italiana lavoratori trasporti Filt Cgil, la Fit Cisl, la Uil Trasporti e l’Ugl Trasporti (che sul tema-carburanti hanno avuto un incontro appena il mese scorso). Insomma, seppur dentro i limiti imposti dalla legge, il problema esiste. E non è certo secondario, visto che in ultima analisi riguarda la sicurezza dei passeggeri.

L’organizzazione

malpensaCominciamo col dire – e perché è così importante lo vedremo in seguito – che la responsabilità di un volo, compreso il carico di carburante da fare, è esclusivamente del comandante.
Funziona così: i quantitativi minimi prevedono che un aereo per decollare abbia il trip fuel che serve ad andare dall’aeroporto di partenza a quello di arrivo, l’alternate fuel che serve a coprire l’eventuale dirottamento su un secondo aeroporto, il contingency fuel che nella maggior parte dei casi è il 3% del trip, e la final reserve che consente un’ulteriore attesa di mezz’ora in volo. Se però il volo presenta turbolenze annunciate o se il comandante prevede possano esserci problemi particolari, può decidere il cosiddetto extra fuel cioè l’imbarco di una ulteiore quantità di carburante utile per stare sicuri. Ma quel carburante in più rende l’aereo più pesante, dunque maggiori consumi. A lungo andare tutto ciò provoca un sostanzioso esborso di denaro per le compagnie, che tendono a mettere un freno.

Gli abusi
In passato, quando i vincoli di bilancio erano meno stringenti, non ci si faceva molto caso. Ma diversi comandanti utilizzavano l’extra fuel come prassi, incidendo molto sui costi aziendali nella maggior parte dei casi senza reali motivi di sicurezza. In un periodo di vacche magre come quello che dal 2011 sta passando l’economia mondiale, quel tipo di atteggiamentio non era più tollerabile. Tanto meno con l’arrivo delle compagnie low cost, che hanno messo in campo prezzi concorrenziali che hanno eroso mercato ai vettori tradizionali. Per tenere bassi i costi le nuove compagnie hanno ridotto al minimo le spese, con controlli ferrei anche sul carburante utilizzato. Le grandi compagnie, con profitti in calo, hanno fatto altrettanto. E pur se nessuno si è esposto al punto tale da mettere nero su bianco raccomandazioni a non fare carichi eccessivi, di fatto si è innescato in tutte le compagnie un modus operandi fatto di “consigli” e di “controlli” che rasenta il mobbing.

L’individual fuel report
Un esempio? Il cosiddetto “individual fuel report” che Alitalia Cai ha annunciato il 6 marzo scorso. Si tratta di una serie di telefonate “selettive” ai comandanti che risultavano aver imbarcato una quantità di carburante extra superiore a un valore prefissato dall’azienda. Una sorta di pressione psicologica fatta specificamente su chi si è reso “reo” di scelte che hanno avuto un costo aziendale evidentemente ritenuto da tenere sotto controllo. Un atteggiamneto diffuso in diverse compagnie che valutano i propri piloti anche sulla base dei rapporti di consumo carburante. Una mannaia, specialmente per coloro che hanno i contratti a tempo determinato, e ultimamente sono sempre di più.

L’intasamento
Il problema dell’extra fuel è che ti accorgi di quanto sia importante solo quando serve. Ma se la politica è di non calcare la mano su questo tasto, può accadere – e ci siamo andati vicini più di una volta – di rimanerne sprovvisti in caso di emergenza. Con conseguenze facilmente immaginabili. Se infatti tutte le compagnie scelgono di ridurre al minimo il carico di kerosene, automaticamente significa che tutti i piani di volo per una determinata tratta prevedono lo stesso scalo alternato; e in caso di maltempo dunque saranno diversi aerei a effettuare quella scelta. Con il risultato di un intasamento in alta quota che però dovrà fare i conti con la scarsità di carburante, per tutti.

L’allarme
Va ricordato che un atterraggio “in riserva”, anche se non provoca tragedie, è a tutti gli effetti un “incidente”. Dunque la politica delle compagnie deve cambiare strategia, a difesa dei passeggeri in primis, e anche a difesa della sicurezza aerea nazionale. A maggior ragione in un momento in cui Adr pensa al raddoppio di Fiumicino e Milano al rilancio.

Angelo Perfetti
(lanotiziagiornale.it)

Fonte:www.ilfaroonline.it



La sicurezza degli aerei militari di stanza presso il centro di transito dell’aeroporto di Bishkek “Manas” è garantita da parte degli Stati Uniti, ha fatto sapere una fonte delle autorita’ del Kirghizistan. Il Kirghizistan ha il compito di proteggere l’aeroporto stesso e la pista, ha aggiunto.
La fonte ha anche ricordato che, in conformità con l’accordo tra il Kirghizistan e gli Stati Uniti per il Centro di Transito valido a partire dal 2009, gli aerei americani non possono essere ispezionati dal Kirghizistan.

Fonte:http://italian.ruvr.ru


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