strage

3 Febbraio 2016

Pilota italiano evita una strage….

Si apre uno squarcio sul fianco del velivolo dopo lo scoppio nella carlinga. Ma il pilota, Riccardo Bonaldi, con un atterraggio d’emergenza riesce a portare in salvo quasi tutti i passeggeri.

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18:43 – Esplosione in volo su un aereo della compagnia somala Daallo Airlines pochi minuti dopo il decollo. Il pilota, Riccardo Bonaldi, 24 anni, di Bergamo, ha dovuto eseguire un atterraggio di emergenza, riuscendo a evitare la strage sul volo partito da Mogadiscio e diretto al Gibuti. Due feriti e un disperso il bilancio finale di un incidente che avrebbe potuto essere molto più grave.
bombaereoLa deflagrazione è stata provocata dall’esplosione di una bomba a bordo, secondo quanto riferisce Ali Ahmed Jama, ministro dei Trasporti aerei e dell’aviazione civile. Il pilota, 24 anni, è riuscito ad affrontare a sangue freddo la situazione evitando il peggio. Lo scoppio è avvenuto nella carlinga del velivolo, un Airbus A321, soltanto sette minuti dopo il decollo. Sul fianco di un aereo si è aperto uno squarcio. A bordo c’erano 74 passeggeri. Tra i feriti uno è in gravi condizioni. Secondo alcune fonti locali ci sarebbe anche un morto.

Fonte:www.tgcom24.mediaset.it/


7 Febbraio 2014

"Ustica, solo aerei Nato in volo la notte della strage"

Il maresciallo che seguiva il traffico rompe il silenzio: ecco cosa accadde. C’erano solo velivoli “friendly” e un missile può essere lanciato anche da una nave

CAGLIARI – Tra i grandi misteri d’Italia, quello di Ustica è il più tormentato e affollato di bugie. Cosa davvero successe la notte del 27 giugno 1980 lo sanno in molti, ma tengono le bocche cucite o raccontano fandonie. C’è di mezzo la Nato, tante ragioni di Stato e ci sono le 81 vittime che viaggiavano a bordo di un DC-9 dell’Itavia.

Il maresciallo Mario Sardu, 62 anni, quella notte era il responsabile del 35esimo GRAM di Marsala, sede del centro militare di controllo radar, nome in codice “Moro”. Oggi è pensionato. Ed è arrabbiato con l’Aeronautica per problemi legati a scatti di carriera e ad avanzamenti di grado che non gli sono stati concessi. Ha fatto ricorso al Tar, ma è stato respinto. Stessa sorte col Consiglio di Stato. Ha scritto a Napolitano e al ministro della Difesa. Nessuno gli ha risposto.

Per 33 anni non ha mai rilasciato un’intervista. Questa è la prima. Ed è destinata a riaccendere polemiche. Perché il maresciallo spiega come il wargame Synadex, l’esercitazione simulata, non sia mai stata sospesa. Semplicemente perché non andò mai in esecuzione. Ai giudici, invece, i radaristi avevano detto che era stata “attivata”. E conferma l’ipotesi che ad abbattere il DC-9 non sia stato un aereo “nemico”.

“In quel momento, qualche minuto prima della caduta dell’aereo, tutto il traffico era friendly. Il settore (Martina Franca) ci disse non seguiteli più. Volevano che seguissimo le tracce in penetrazione (quella degli aerei non appartenenti alla Nato, ndr), perché quelle che avevamo identificato erano tutti amici. Quando facevamo l’esercitazione, cosa che accadeva almeno una volta alla settimana, si metteva il nastro Synadex di simulazione di guerra. L’operatore EM Ior era Tozio Sossio. Il simulato partiva alle 9, ma per 20-25 minuti lui non riuscì a mettere la scheda. Poi il settore ci disse “ripassiamo in reale”. Ma nel frattempo l’aereo era già caduto”.

Quindi non siete mai stati in simulato? La Synadex doveva attivarsi alle ore 19 Zulu, cioè alle 21 locali. Alle 21 e 13, quando avete dato lo “stop” non eravate ancora partiti, è così?
“Esatto! Non siamo neanche entrati in simulato. Queste cose le hanno prese tutte sottogamba, non le hanno mai considerate…”.

Perché non l’ha mai detto prima?
“Non ce l’hanno mai chiesto! Salvatore Loi era all’identificazione e girava la manopola su sim o su reale. Ma su reale non poteva più vedere il DC-9 perché era già caduto”.

Alle 20 e 59, per essere precisi. E voi stavate preparando la Synadex…
“Esattamente. Quando ci preparammo a passare in simulato gli aerei erano tutti identificati. Tutti amici. Noi eravamo della Difesa, non del traffico aereo. Dovevamo guardare dalla Libia, dalla Tunisia, dai paesi ostili… purtroppo non seguimmo più la traccia del Dc-9 per seguire il simulato”.

Ma il sergente Luciano Carico disse che sul sistema fonetico manuale aveva seguita la traccia del Dc-9 e l’aveva vista scomparire dal monitor.
“Quello che ha detto Carico non importa. Quando ci ha chiamato il giudice Borsellino a Marsala, lui e il tenente Avio Giordano, che non erano mai andati a Roma a deporre, parlavano tra di loro in corridoio e io dissi: ‘Signori miei, stiamo attenti perché voi alle consolle non c’eravate, c’eravamo io e Loi che abbiamo già deposto a Roma'”.

Lei questa cosa la fece presente durante il confronto?
“Certo, e il giudice istruttore Vittorio Bucarelli mi minacciò, disse che alzavo troppo la voce e che i carabinieri erano fuori, pronti a portarmi via…”.

Quindi l’aereo, da 26mila piedi, passò a zero. Colpito da un missile, secondo i giudici…
“D’accordo, ma il missile chi l’ha lanciato?”.

È quello che le chiediamo, era lei in servizio la sera della strage.
“Secondo lei chi può essere stato, se quella sera gli altri aerei erano tutti amici? Non certo un nemico…”.

Gli aerei militari erano marcati con lo strap, l’etichetta di colore rosso, avevano comunque un’autorizzazione di volo…
“Sissignore. Gli aerei non autorizzati invece, come quelli provenienti dalla Libia, venivano marcati zombi ed erano in giallo, perché considerati non alleati. Li tenevamo d’occhio, mentre gli aerei amici non li guardavamo neanche”.

C’erano aerei, in quella zona, la sera del 27 giugno 1980?
“Come dissi all’epoca, un caccia, un aereo militare, è piccolo, a differenza di un aereo civile. Se non si accendono i codici, i famosi IFF/SIF, rischi di non vederlo. Più basso vola, meno possibilità ha di esser visto dal radar. I militari dovevano accendere tutti e tre i codici IFF/SIF 1,2,3; mentre gli aerei civili solo il 3. Se sono friendly, volo basso e non accendo i codici, non vengo visto dal radar. E poi, non sono solo i caccia a lanciare i missili, ma anche
le navi… quindi non dirò che non c’erano altri velivoli. C’erano eccome, ma erano tutti friendly”.

Facciamo un’ipotesi. Se caccia francesi Mirage, in formazione, partivano da Solenzara, in Corsica e volavano bassi, quante probabilità avevate di vederli?
“Se volavano bassi noi non li vedevamo! Avrebbero consumato il doppio del carburante… come fece quel Mig precipitato in Calabria, ma loro, i francesi, sarebbero potuti rientrare alla base: avrebbero avuto abbastanza autonomia. I libici, no. Poi c’erano gli americani. Quelli di Sigonella o quelli stanziati a Cagliari quando andavano verso la Tunisia o il Marocco, per fare attività anti-sommergibile, volavano bassi e non li vedevamo. Al ritorno, però, si alzavano, volavano più in alto per consumare meno carburante, e a quel punto ci apparivano sul radar. Spesso facevamo decollare i nostri F-104 da Trapani Birgi. Al che loro, sentendo che partivano gli intercettatori, accendevano finalmente i codici. Furbi, gli americani, li accendevano solo all’ultimo…”.

E le portaerei?
“Quelle americane che navigavano in mezzo al Mediterraneo ovviamente non le potevamo vedere, se da quelle si alzava in volo uno solo o più velivoli non potevamo saperlo, valeva sempre la storia dell’1+. Erano libere di scorrazzare. Ci avvertivano soltanto dell’eventuale presenza di sommergibili russi. La portaerei di Napoli, però, dubito avesse i radar. Noi eravamo nel pallone, ma non avevamo i radar spenti… “.

Che sfortuna, proprio in quei quaranta minuti…
“Gheddafi si salvò nell’86 un giorno che il radar di Marsala era in avaria e il radar di Siracusa in manutenzione, o viceversa, non ricordo bene. Nell’85 aerei israeliani rasero al suolo la caserma dove si diceva fosse Arafat, lo mancarono d’un soffio. Ora, gli israeliani andarono e tornarono indisturbati, proprio in quel momento in cui non potevamo vederli. Qualcosa dovevano sapere. Guarda caso agirono quando entrambi i radar erano in avaria… “.

Fonte:www.repubblica.it



Francesco Pinocchio nella strage di Ustica ha perso il fratello Giovanni e la sorella Antonella. Elisabetta Lachina, insieme ai suoi due fratelli maggiori e la sorella minore, ha perso i genitori, Giuseppe Lachina e Giulia Reina. Giancarlo Nutarelli il 28 agosto 1980 ha perso nell’incidente di Ramstein suo fratello Ivo, pilota della Pattuglia Acrobatica Nazionale, da più parti ritenuto testimone oculare del volo IH-870 qualche minuto prima della sua scomparsa dai radar. Roland Fuchs, quel 28 agosto 1988, nell’incidente aereo di Ramstein, perde la moglie e la figlia, di soli tre anni. È convinto dell’innocenza del pilota Ivo Nutarelli. Maurizio Landieri, appassionato di aeronautica, studia il caso Ustica e tutta la vicenda processuale, di cui conosce ogni dettaglio. Daniele Osnato è il legale rappresentante di diverse decine di familiari della Strage di Ustica. Giovanni Campana e Tiziana Davanzali da anni si battono per fare luce sulla vicenda che rappresenta una delle pagine più nere della storia del nostro Paese.

Ed è proprio ai familiari delle vittime della strage di Ustica che si rivolge oggi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per riconoscere l’impegno che hanno dimostrato negli ultimi trentatré anni.

Perché la Strage di Ustica è fatta di persone che cercano e pretendono di ottenere giustizia. È intrisa di dolore per i familiari delle vittime che tengono ancora vivo il ricordo dei propri cari. E ha sete di verità, perché questa storia coinvolge ognuno di noi. Non si può pensare di avvolgere per sempre il caso Ustica nel mistero, soprattutto sapendo che sono state già prodotte 5468 pagine di sentenza – ordinanza. Oggi, a distanza di trentatré anni da quel 27 giugno 1980 sembra che la verità sia sospesa. Ci sono diversi elementi che provano i tentativi di depistaggio, il collegamento con altri strani incidenti, come quello di Ramstein, sono state ascoltate decine di persone, altre si sono impegnate a ricercare e ricostruire la dinamica dei fatti ma la verità processuale sembra viaggiare disgiunta da quella che ognuno di noi si è creato nel corso di questi anni. Napolitano nel giorno dell’anniversario chiede di “accertare responsabilità anche estere”.

Oggi, proprio per fare e far fare memoria della Strage, un ragazzo di soli 20 anni, Francesco Perrella, che non accetta di vivere in un Paese in cui la verità scompare in mezzo al mare assieme alla carcassa del Dc9 Itavia, ha scelto di raccontare le storie di Ustica, ascoltando soprattutto i familiari delle vittime e chi – a diverso titolo – è coinvolto in questa vicenda, per esortare anche le nuove generazioni a non dimenticare. E lo ha fatto pubblicando un ebook, “Ustica l’orizzonte degli eventi” edito da Malitalia, in cui con il piglio del ricercatore, si mette a scavare gli atti, legge fra le righe quanto trascritto dopo il processo penale e si fa portavoce dei familiari e di tutti quelli che, in questa storia, vogliono ancora vederci chiaro. “La vittima eccellente di Ustica – afferma il giovane studente di giurisprudenza che sogna di fare il giornalista – è il diritto di ciascuno di noi di poter leggere con sicurezza e fiducia la storia recente del paese in cui vive. Quel diritto per cui, in tre decenni di storia italiana, si sono compiuti sforzi immani che non meritano di essere relegati all’oblio di qualche cronaca dal sapore documentaristico. La verità sulla strage di Ustica non merita di essere degradata a qualcosa di cui dobbiamo convincerci perché ci piace o perché ci conviene. Non lo dobbiamo solo alle 81 persone che in quel volo hanno perso la vita, e non lo dobbiamo solo ai loro cari. Lo dobbiamo innanzi tutto a noi stessi”.

Ecco perché “L’orizzonte degli eventi”: come ipotizzano gli astrofisici, quel limite teorico situato all’interno dei buchi neri, da cui nemmeno la luce può sfuggire, ed entro il quale è impossibile osservare qualsiasi fenomeno fisico. “Ed è come se – spiega Francesco Perrella – dalle 20.59.45 di quel 27 giugno di trentatré anni fa, l’ora fatale in cui si spegne il transponder del DC9 – il volo IH870 con alla cloche i piloti Gatti e Fontana, non sia precipitato e stia proseguendo nel suo viaggio inesorabile verso l’orizzonte degli eventi. Quel limite oltre il quale sarà impossibile osservare e comprendere la realtà”.

Quel viaggio che attraversa tre decenni fra ipotesi, sentenze, ricostruzioni, depistaggi e sospetti

fonte:www.ilfattoquotidiano.it



Terrore a West:

Texas 20 miglia nord di Waco, distrutto un impianto di fertilizzanti: le autorità temono una nube tossica.

07:10 – Un’impressionante esplosione ha devastato un impianto di fertilizzanti in Texas, circa 20 miglia a nord da Waco. Non si conoscono le conseguenze dello scoppio, ma secondo le prime informazioni, vi sarebbero almeno due morti accertati e gli ospedali sono stati allertati per ospitare almeno cento feriti. Sul posto si sono già recate diverse squadre di vigili del fuoco per domare l’enorme incendio.

Le autorità hanno ordinato l’evacuazione dei circa 2800 abitanti della cittadina texana di West, a 20 miglia da Waco, dove è esploso l’impianto di fertilizzanti. Si teme che presto possa scoppiare un secondo serbatoio presente nella fabbrica.
GUARDA VIDEO

http://www.youtube.com/watch?v=ROrpKx3aIjA&feature=player_embedded

Secondo i media locali, in un’ampia zona si sente un intenso odore di ammoniaca e si teme la diffusione di una nube tossica. In seguito al violentissimo scoppio sono stati distrutti alcuni edifici che si trovano attorno alla fabbrica, tra cui case private, una scuola e una casa di cura. Vastissima l’area coinvolta dallo scoppio: dieci edifici presso l’impianto sono totalmente andati in fiamme e tra le 75 e le 100 case nella zona sarebbero state completamente distrutte.

”Non ho mai visto niente come questo in vita mia: e’ come una zona di guerra”, ha detto lo sceriffo di West, commentando le tantissime case completamente abbattute dal violentissimo spostamento d’aria provocato dallo scoppio dell’impianto.

Un medico: temo sarà una strage – ”Sono ancora tante le case crollate dove credo ci sia tanta gente in trappola. Temo che ci siano molti, molti morti”. Lo ha detto un medico del pronto intervento, George Smith, alla Cnn. Si tratta dello stesso che secondo una tv locale avrebbe parlato di 60-70 morti.

Il sindaco: una bomba atomica – ”E’ stato come una bomba atomica scoppiata in giardino”. Così il sindaco di West, Tommy Muska, racconta l’esplosione di fertilizzanti che ha praticamente raso al suolo tutti gli edifici nel raggio di 5 chilometri, riducendo West a una città fantasma. Dopo il botto terribile, aggiunge il sindaco, ”abbiamo visto salire in cielo una enorme palla di fuoco, quindi un altissimo fungo di fumo’’. Gli esperti ricordano che nella strage di Oklahoma City, che provoco’ il crollo di un grattacielo vennero utilizzate due tonnellate di fertilizzante, compresse in un camion. Stavolta invece e’ saltata in aria un’intera fabbrica. Questa fabbrica produceva nitrato d’ammonio, un composto chimico che viene utilizzato come fertilizzante nell’agricoltura, ma per il suo costo piuttosto basso viene anche utilizzato come base per molte miscele esplosive.

 

FONTE:www.tgcom24.mediaset.it



Verso mezzogiorno è scoppiata la bombola del gas di una rosticceria in piazza della Repubblica: otto i feriti gravi. Le vittime sono di S.Ilario

GUASTALLA (Reggio Emilia) – Strage al mercato di Guastalla in piazza della Repubblica dove, verso mezzogiorno, sono scoppiate due bombole di gas che alimentavano uno stand di rosticceria dove venivano arrostiti dei polli. A causa dell’esplosione tre donne sono morte. Si tratta della moglie del proprietario della rosticceria, Teresa, della figlia, Rossana Mango e della cognata che sono di S. Ilario. Ferito lievemente, invece, Francesco Mango, il padre di Rossana
Oltre alle tre donne morte ci sono almeno otto feriti in gravi condizioni, più un altro numero imprecisato di feriti lievi

I feriti più gravi sono quelli che si trovavano davanti alla rosticceria, in fila per prendere i polli, che sono rimasti investiti dalla esplosione. I primi ad arrivare sul luogo dell’esplosione hanno detto che sembrava di essere in una zona di guerra. Il palazzo dietro alla rosticceria, di cui non è rimasto quasi nulla, è completamente annerito e le macchine parcheggiate dietro distrutte dalla forza dell’esplosione. L’elicottero sta facendo la spola per portare gli ustionati al Maggiore di Parma

Sul posto sono arrivate diverse squadre dei vigili del fuoco da Reggio e da Guastalla che hanno spento i focolai di incendio ancora rimasti, le forze dell’ordine e numerose ambulanze. Da luogo dell’esplosione, che si è udita nitidamente in tutta Guastalla, si è alzata una colonna di fumo enorme che si vedeva fino in lontananza. Anche il sindaco Giorgio Benaglia è accorso sul posto.

Fonte:www.reggionline.com


28 Dicembre 2012

Il 3 febbraio 1998 alle ore 15:13 un Grumman EA-6B Prowler,  aereo militare statunitense del Corpo dei Marines al comando del capitano Richard Ashby, decollato dalla base aerea di Aviano alle 14:36 per un volo di addestramento, tranciò le funi del tronco inferiore della funivia del Cermis, in Val di Fiemme. La cabina, al cui interno si trovavano venti persone, precipitò da un’altezza di circa 150 metri schiantandosi al suolo dopo un volo di 7 secondi. Il velivolo, danneggiato all’ala e alla coda, fu comunque in grado di far ritorno alla base.

Nella strage morirono i 19 passeggeri e il manovratore, tutti cittadini di Stati europei: tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese.

Strage del Cermis
EA-6B Prowlers over Mount Rainier.jpg

Coppia di Grumman EA-6B Prowler in volo

 
Stato bandiera Italia
Luogo Cavalese
Data 3 febbraio 1998
Tipo omicidio plurimo colposo
Morti 20
Responsabili cap. Richard Ashby, pilota
cap. Joseph Schweitzer, navigatore

 

L’inchiesta

Nonostante la presenza di testimoni, la dinamica dei fatti non apparve subito chiara. Solo la prontezza dei magistrati trentini, che sequestrarono immediatamente l’aereo incriminato nella base di Aviano, ha permesso di chiarire le responsabilità. In effetti l’aereo era già pronto per essere smontato e riparato. La dinamica poté essere provata solo dopo che all’interno del taglio sull’impennaggio di coda furono trovati resti della fune tagliata. Le autorità militari statunitensi, visti alcuni precedenti, provarono a insinuare che la funivia fosse caduta da sola: infatti, vent’anni prima nella stessa zona era accaduta una simile tragedia, il Disastro della funivia di Cavalese, nella quale erano morte 42 persone.

Conseguenze immediate

Il presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton si scusò per l’incidente alcuni giorni dopo, e promise alle famiglie delle vittime risarcimenti in denaro. L’episodio creò un clima di tensione tra statunitensi e italiani. Il primo ministro italiano Romano Prodi presenziò dopo pochi giorni una rappresentanza del governo in terra statunitense.

I media italiani diedero forte risalto all’episodio.

I pubblici ministeri italiani richiesero di processare i quattro marine in Italia, ma il giudice per le indagini preliminari di Trento ritenne che, in forza della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951 sullo statuto dei militari NATO, la giurisdizione sul caso dovesse riconoscersi alla giustizia militare statunitense.

Inizialmente tutti e quattro i membri dell’equipaggio furono indagati, ma solo il pilota cap. Richard Ashby e il suo navigatore cap. Joseph Schweitzer comparirono effettivamente davanti al tribunale militare americano per rispondere dell’accusa di omicidio colposo.

L’equipaggio del Prowler

Processo

Il processo contro Ashby fu celebrato a Camp Lejeune nella Carolina del Nord. La Corte militare accertò che le mappe di bordo non segnalavano i cavi della funivia e che l’EA-6B stava volando più velocemente e a una quota molto minore di quanto permesso dalle norme militari. Le prescrizioni in vigore al tempo dell’incidente imponevano infatti un’altezza di volo di almeno 2000 piedi (609,6 m). Il pilota dichiarò che egli riteneva che l’altezza di volo minima fosse di 1000 piedi (304,8 m). Il cavo fu tranciato ad un’altezza di 360 piedi (110 m). Il pilota sostenne che l’altimetro dell’aereo era mal funzionante, e affermò di non essere stato a conoscenza delle restrizioni di velocità. Nel marzo del 1999 la giuria assolse Ashby, provocando l’indignazione dell’opinione pubblica italiana ed europea. Anche le accuse di omicidio colposo nei confronti di Schweitzer non ebbero seguito.

I due militari furono nuovamente giudicati dalla corte marziale USA per intralcio alla giustizia per aver distrutto un nastro video registrato durante il volo nel giorno della tragedia. Per tale capo d’accusa furono riconosciuti colpevoli nel maggio del 1999. Entrambi furono degradati e rimossi dal servizio. Il pilota fu inoltre condannato a sei mesi di detenzione, ma fu rilasciato dopo quattro mesi e mezzo per buona condotta.

Nel febbraio 2008 i due piloti hanno impugnato la sentenza e richiesto la revoca della radiazione con disonore, allo scopo di riavere i benefici finanziari spettanti ai militari; hanno anche affermato che, all’epoca del processo, accusa e difesa strinsero un patto segreto per far cadere l’accusa di omicidio colposo plurimo, ma di aver voluto mantenere l’accusa di intralcio alla giustizia «per soddisfare le pressioni che venivano dall’Italia». È comunque stato riconosciuto che l’aereo viaggiava a bassa quota e che la velocità era eccessiva considerati gli ostacoli presenti in zona..

La confessione di Joseph Schweitzer 

Nel gennaio 2012, un’inchiesta di National Geographic fa luce su alcuni retroscena della vicenda grazie alla testimonianza inedita degli investigatori americani che tentarono invano di far condannare i responsabili e di Joseph Schweitzer, navigatore dell’aereo, che per la prima volta parla e descrive il video turistico distrutto per impedire che si arrivasse alla verità (e per la cui distruzione fu accusato di intralcio alla giustizia): «Ho bruciato la cassetta. Non volevo che alla Cnn andasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime».

Risarcimenti ai familiari

Nel febbraio 1999 il Senato degli Stati Uniti ha stanziato circa 40 milioni di dollari per i risarcimenti ai familiari delle vittime e per la ricostruzione dell’impianto di risalita, ma nel maggio dello stesso anno lo stanziamento, respinto da una commissione del Congresso, non è stato confermato dal governo nella persona del ministro della difesa William Cohen.

Dei risarcimenti hanno quindi dovuto farsi carico, quantomeno in prima istanza, la Provincia Autonoma di Trento e il Parlamento Italiano.

Nell’immediatezza del fatto, la Provincia Autonoma di Trento ha stanziato cinquantamila euro per ogni vittima come concorso alle spese immediate, ed è intervenuta per finanziare la ricostruzione dell’impianto di risalita. Tali somme sono state rimborsate alla Provincia dallo Stato italiano nel settembre del 2004.

Il 13 luglio 1998, la Federazione italiana lavoratori trasporto della provincia di Trento e altri avevano convenuto in giudizio davanti al tribunale di Trento gli Stati Uniti d’America, chiedendo che fosse accertato e dichiarato che l’attività di addestramento svolta dai velivoli militari statunitensi sopra il territorio della provincia autonoma arrecava grave pericolo all’incolumità fisica degli abitanti, chiedendo in via principale la pronuncia di una condanna del governo statunitense alla cessazione immediata dell’attività pericolosa accertata, e in particolare il sorvolo del territorio con i caccia militari, e in via subordinata l’adozione di ogni più opportuna cautela per limitare tale attività, al fine di escludere qualsiasi pericolo per la vita, la salute e l’integrità fisica dei lavoratori addetti ai trasporti su fune. Tuttavia, con regolamento preventivo di giurisdizione, gli Stati Uniti d’America e il Governo italiano proposero ricorso alla Corte di Cassazione perché dichiarasse il difetto assoluto di giurisdizione del giudice italiano, in forza del principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto della cosiddetta immunità dalla giurisdizione civile dello Stato estero; le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 530/2000, in accoglimento del ricorso, pronunciarono il difetto assoluto di giurisdizione e la condanna della Federazione dei lavoratori trentini a rifondere le spese di lite. La Suprema Corte precisò nella circostanza che, in base all’art. 10, comma 1 Cost., le consuetudini internazionali formatesi anteriormente all’entrata in vigore della Costituzione, come l’immunità dalla giurisdizione civile dello Stato estero in relazione alle attività in cui si esplica il suo potere sovrano (acta iure imperii), sono recepite automaticamente e senza limiti nell’ordinamento interno, sicché doveva essere dichiarato il difetto di competenza giurisdizionale del giudice italiano, che non poteva quindi entrare nel merito e concedere il provvedimento inibitorio urgente richiesto.

La legge del Parlamento italiano su risarcimenti

Nel dicembre del 1999 il Parlamento Italiano ha approvato una legge, che prevedeva un indennizzo per i familiari dei deceduti, pari a 4 miliardi di lire per ogni vittima. In conseguenza di tali provvedimenti delle autorità italiane, e in ottemperanza ai trattati NATO, il governo degli Stati Uniti ha dovuto risarcire allo Stato italiano il 75% delle somme complessivamente erogate.

Una tragedia simile avvenne in Francia nell’agosto 1961, quando sei persone morirono dopo che un aereo militare francese, che volava a bassa quota, tranciò i cavi di una funivia tra la Punta Helbronner e l’Aiguille du Midi, sul versante francese del Monte Bianco.

Vittime

  • Hadewich Antonissen (24, Vechelderzande), belga;
  • Stefan Bekaert (28, Lovanio), belga;
  • Dieter Frank Blumenfeld (47, Burgstädt), tedesco;
  • Rose-Marie Eyskens (24, Kalmthout), belga;
  • Danielle Groenleer (20, Apeldoorn), olandese;
  • Michael Pötschke (28, Burgstädt), tedesco;
  • Egon Uwe Renkewitz (47, Burgstädt), tedesco;
  • Marina Mandy Renkewitz (24, Burgstädt), tedesca;
  • Maria Steiner-Stampfl (61, Bressanone), italiana;
  • Ewa Strzelczyk (37, Gliwice), polacca;
  • Philip Strzelczyk (14, Gliwice), polacco;
  • Annelie (Wessig) Urban (41, Burgstädt), tedesca;
  • Harald Urban (41, Burgstädt), tedesco
  • Sebastian Van den Heede (27, Bruges), belga;
  • Marcello Vanzo (56, Cavalese), manovratore della Cabina in discesa, italiano;
  • Stefaan Vermander (27, Assebroek), belga;
  • Anton Voglsang (35, Vienna), austriaco;
  • Sonja Weinhofer (22, nata a Monaco, domiciliata a Vienna), austriaca;
  • Jürgen Wunderlich (44, Burgstädt), tedesco;
  • Edeltraud Zanon-Werth (56, nata ad Innsbruck, residente a Bressanone), italiana.
Nazionalità Vittime
Bandiera della Germania Germania 7
Bandiera del Belgio Belgio 5
Bandiera dell'Italia Italia 3
Bandiera della Polonia Polonia 2
Bandiera dell'Austria Austria 2
Bandiera dell'Olanda Paesi Bassi 1
Totale 20

 

Fonte:http://it.wikipedia.org


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