ustica

7 Febbraio 2014

"Ustica, solo aerei Nato in volo la notte della strage"

Il maresciallo che seguiva il traffico rompe il silenzio: ecco cosa accadde. C’erano solo velivoli “friendly” e un missile può essere lanciato anche da una nave

CAGLIARI – Tra i grandi misteri d’Italia, quello di Ustica è il più tormentato e affollato di bugie. Cosa davvero successe la notte del 27 giugno 1980 lo sanno in molti, ma tengono le bocche cucite o raccontano fandonie. C’è di mezzo la Nato, tante ragioni di Stato e ci sono le 81 vittime che viaggiavano a bordo di un DC-9 dell’Itavia.

Il maresciallo Mario Sardu, 62 anni, quella notte era il responsabile del 35esimo GRAM di Marsala, sede del centro militare di controllo radar, nome in codice “Moro”. Oggi è pensionato. Ed è arrabbiato con l’Aeronautica per problemi legati a scatti di carriera e ad avanzamenti di grado che non gli sono stati concessi. Ha fatto ricorso al Tar, ma è stato respinto. Stessa sorte col Consiglio di Stato. Ha scritto a Napolitano e al ministro della Difesa. Nessuno gli ha risposto.

Per 33 anni non ha mai rilasciato un’intervista. Questa è la prima. Ed è destinata a riaccendere polemiche. Perché il maresciallo spiega come il wargame Synadex, l’esercitazione simulata, non sia mai stata sospesa. Semplicemente perché non andò mai in esecuzione. Ai giudici, invece, i radaristi avevano detto che era stata “attivata”. E conferma l’ipotesi che ad abbattere il DC-9 non sia stato un aereo “nemico”.

“In quel momento, qualche minuto prima della caduta dell’aereo, tutto il traffico era friendly. Il settore (Martina Franca) ci disse non seguiteli più. Volevano che seguissimo le tracce in penetrazione (quella degli aerei non appartenenti alla Nato, ndr), perché quelle che avevamo identificato erano tutti amici. Quando facevamo l’esercitazione, cosa che accadeva almeno una volta alla settimana, si metteva il nastro Synadex di simulazione di guerra. L’operatore EM Ior era Tozio Sossio. Il simulato partiva alle 9, ma per 20-25 minuti lui non riuscì a mettere la scheda. Poi il settore ci disse “ripassiamo in reale”. Ma nel frattempo l’aereo era già caduto”.

Quindi non siete mai stati in simulato? La Synadex doveva attivarsi alle ore 19 Zulu, cioè alle 21 locali. Alle 21 e 13, quando avete dato lo “stop” non eravate ancora partiti, è così?
“Esatto! Non siamo neanche entrati in simulato. Queste cose le hanno prese tutte sottogamba, non le hanno mai considerate…”.

Perché non l’ha mai detto prima?
“Non ce l’hanno mai chiesto! Salvatore Loi era all’identificazione e girava la manopola su sim o su reale. Ma su reale non poteva più vedere il DC-9 perché era già caduto”.

Alle 20 e 59, per essere precisi. E voi stavate preparando la Synadex…
“Esattamente. Quando ci preparammo a passare in simulato gli aerei erano tutti identificati. Tutti amici. Noi eravamo della Difesa, non del traffico aereo. Dovevamo guardare dalla Libia, dalla Tunisia, dai paesi ostili… purtroppo non seguimmo più la traccia del Dc-9 per seguire il simulato”.

Ma il sergente Luciano Carico disse che sul sistema fonetico manuale aveva seguita la traccia del Dc-9 e l’aveva vista scomparire dal monitor.
“Quello che ha detto Carico non importa. Quando ci ha chiamato il giudice Borsellino a Marsala, lui e il tenente Avio Giordano, che non erano mai andati a Roma a deporre, parlavano tra di loro in corridoio e io dissi: ‘Signori miei, stiamo attenti perché voi alle consolle non c’eravate, c’eravamo io e Loi che abbiamo già deposto a Roma'”.

Lei questa cosa la fece presente durante il confronto?
“Certo, e il giudice istruttore Vittorio Bucarelli mi minacciò, disse che alzavo troppo la voce e che i carabinieri erano fuori, pronti a portarmi via…”.

Quindi l’aereo, da 26mila piedi, passò a zero. Colpito da un missile, secondo i giudici…
“D’accordo, ma il missile chi l’ha lanciato?”.

È quello che le chiediamo, era lei in servizio la sera della strage.
“Secondo lei chi può essere stato, se quella sera gli altri aerei erano tutti amici? Non certo un nemico…”.

Gli aerei militari erano marcati con lo strap, l’etichetta di colore rosso, avevano comunque un’autorizzazione di volo…
“Sissignore. Gli aerei non autorizzati invece, come quelli provenienti dalla Libia, venivano marcati zombi ed erano in giallo, perché considerati non alleati. Li tenevamo d’occhio, mentre gli aerei amici non li guardavamo neanche”.

C’erano aerei, in quella zona, la sera del 27 giugno 1980?
“Come dissi all’epoca, un caccia, un aereo militare, è piccolo, a differenza di un aereo civile. Se non si accendono i codici, i famosi IFF/SIF, rischi di non vederlo. Più basso vola, meno possibilità ha di esser visto dal radar. I militari dovevano accendere tutti e tre i codici IFF/SIF 1,2,3; mentre gli aerei civili solo il 3. Se sono friendly, volo basso e non accendo i codici, non vengo visto dal radar. E poi, non sono solo i caccia a lanciare i missili, ma anche
le navi… quindi non dirò che non c’erano altri velivoli. C’erano eccome, ma erano tutti friendly”.

Facciamo un’ipotesi. Se caccia francesi Mirage, in formazione, partivano da Solenzara, in Corsica e volavano bassi, quante probabilità avevate di vederli?
“Se volavano bassi noi non li vedevamo! Avrebbero consumato il doppio del carburante… come fece quel Mig precipitato in Calabria, ma loro, i francesi, sarebbero potuti rientrare alla base: avrebbero avuto abbastanza autonomia. I libici, no. Poi c’erano gli americani. Quelli di Sigonella o quelli stanziati a Cagliari quando andavano verso la Tunisia o il Marocco, per fare attività anti-sommergibile, volavano bassi e non li vedevamo. Al ritorno, però, si alzavano, volavano più in alto per consumare meno carburante, e a quel punto ci apparivano sul radar. Spesso facevamo decollare i nostri F-104 da Trapani Birgi. Al che loro, sentendo che partivano gli intercettatori, accendevano finalmente i codici. Furbi, gli americani, li accendevano solo all’ultimo…”.

E le portaerei?
“Quelle americane che navigavano in mezzo al Mediterraneo ovviamente non le potevamo vedere, se da quelle si alzava in volo uno solo o più velivoli non potevamo saperlo, valeva sempre la storia dell’1+. Erano libere di scorrazzare. Ci avvertivano soltanto dell’eventuale presenza di sommergibili russi. La portaerei di Napoli, però, dubito avesse i radar. Noi eravamo nel pallone, ma non avevamo i radar spenti… “.

Che sfortuna, proprio in quei quaranta minuti…
“Gheddafi si salvò nell’86 un giorno che il radar di Marsala era in avaria e il radar di Siracusa in manutenzione, o viceversa, non ricordo bene. Nell’85 aerei israeliani rasero al suolo la caserma dove si diceva fosse Arafat, lo mancarono d’un soffio. Ora, gli israeliani andarono e tornarono indisturbati, proprio in quel momento in cui non potevamo vederli. Qualcosa dovevano sapere. Guarda caso agirono quando entrambi i radar erano in avaria… “.

Fonte:www.repubblica.it


28 Giugno 2013

Il disastro delle Frecce Tricolori non fu un incidente: la controindagine della famiglia del pilota Nutarelli. Inquitentati legami tra le due stragi

GROSSETO – Sandro Marcucci, uno dei primi militari a far entrare i sindacati nell’ambiente dell’aeronautica dove fu protagonista di scontri feroci, aveva cose da dire a chi indagava sulla strage di Ustica. E stava per essere convocato come testimone. Insieme a Silvio Lorenzini, il 2 febbraio 1992 stava sorvolando le Apuane: il loro Piper precipitò e morirono entrambi. Il pm di Massa Carrara ha disposto, poche settimane fa, l’esumazione dei due corpi.

Anche Ivo Nutarelli e Mario Naldini erano due piloti dell’Aeronautica. Anche loro vittime di un incidente aereo, ma a Ramstein, in Germania. Facevano parte della Pan, la mitica formazione delle Frecce Tricolori con base a Rivolto, in provincia di Udine. Con loro morì anche il capitano Giorgio Alessio. Nel sud-ovest della Germania non ci fu soltanto un incidente aereo: si compì una strage, con 67 morti e 346 feriti. Era il 28 agosto 1988 e la relazione dell’Aeronautica non lasciò, allora, scampo a dubbi: un incidente provocato da un errore di Nutarelli. Di dubbi su questo incidente, negli anni, se ne sono coltivati tanti. Ora, un avvocato siciliano che da 15 anni segue un comitato dei parenti delle vittime della strage di Ustica sta cercando di far riaprire un caso che ha sullo sfondo proprio uno dei misteri d’Italia più dolorosi per il nostro Paese. Presenterà a breve una memoria difensiva alla Procura di Roma. Una memoria per riabilitare la figura di Ivo Nutarelli, come gli ha chiesto il fratello dell’aviatore, Giancarlo, che da anni si batte perché la verità venga fuori. «A Ramstein – dice l’avvocato Osnato – si è trattato di un omicidio e non di un incidente. Nutarelli era capace di correggere con una sola manovra un eventuale errore commesso in volo. Aveva alle spalle oltre quattromila ore di addestramento. Le nostre perizie ci dicono che su quel Macchi Mb-933 il solista di manovre correttive ne fece ben sette. Segno che il suo aereo non rispondeva ai comandi». Per il pool di periti che sta lavorando al caso Ramstein quello non fu un errore umano, come ha certificato la frettolosa indagine militare. E sarebbe questo il filo che tiene unite due tragedie dell’aria. E che si annoda nel cielo sopra Grosseto, tra Poggio Ballone, dove c’è il centro di convoglio di tutti i radar dell’Aeronautica d’Italia e Ustica, dove si è inabissato il Dc-9 Itavia.

Bisogna fare un passo indietro e tenere a mente due date. Il 27 giugno 1980, la sera della strage, Nutarelli e Naldini si alzano in volo dall’aeroporto Baccarini di Grosseto. «Dai tracciati radar – spiega l’avvocato – emerge che il loro aereo, un caccia F104, per un tratto si pone al fianco del Dc-9. I due piloti si alzano in volo alle 19.30 a bordo di un biposto e rientrano alle 20.45. In volo c’è anche un altro caccia, guidato dall’allievo Aldo Giannelli. I due intercettori per circa due miglia hanno volato sulla scia del Dc 9, fino a dieci minuti prima che l’aereo civile si inabissasse nelle acque di Ustica. Durante quel volo, dal caccia di Nutarelli e Naldini partono due “squoccate”, due segnali d’allarme». Secondo la ricostruzione successiva, i piloti avrebbero visto un altro, se non altri, aerei da guerra volare nel corridoio civile. Qui le teorie sono diverse: c’è chi parla di un Mig libico, chi invece sostiene che ci fossero aerei militari francesi, o americani. «Quello che è certo – dice – è che i due piloti lanciano un segnale d’allarme perché hanno visto qualcosa». Qualcosa che racconteranno poi al colonnello Pierangelo Tedoldi, che sarebbe diventato di lì a poco il comandante dell’aeroporto militare di Grosseto. Sarebbe. Perché il 3 agosto Tedoldi muore in un incidente stradale sull’Aurelia. Viaggiava con la moglie Giuliana Giustini, e con i figli Davide, deceduto insieme al padre a soli 14 anni e Gabriele, che si è salvato.

Mario Naldini era un pilota esperto. Un militare tutto d’un pezzo. «Ivo Nutarelli invece – spiega l’avvocato – qualche volta pare avesse detto alla compagna di voler raccontare quello che era successo la sera del 27 giugno». Manca un elemento, in questa ricostruzione. Manca la trasmissione via radio di quello che stava succedendo nel cielo sopra il Tirreno, in quel corridoio dove viaggiava il Dc-9 e dove, oltre ai caccia grossetani, c’erano probabilmente altri aerei. «I piloti non potevano trasmettere via radio – aggiunge Osnato – perché stavano facendo un’esercitazione che non prevedeva l’utilizzo di quella strumentazione». Lo diranno dopo, quello che hanno visto. Ma i loro nomi, nell’inchiesta del giudice Rosario Priore, che scrive nero su bianco che «erano certamente a conoscenza di molteplici circostanze attinenti al Dc9», entrano solo 8 anni dopo quando ormai i due piloti sono morti. La pista grossetana, i tracciati di Poggio Ballone, la centralità di quell’esercitazione nell’affaire Ustica arriva nel 1988 con la testimonianza, davanti al giudice Bucarelli, del capocronista del Tirreno Claudio Bottinelli. Il 12 agosto, i carabinieri vanno a Poggio Ballone a sequestrare i tracciati radar della base. Sedici giorni dopo, i due piloti muoiono in Germania.

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Ramstein, un dossier dei familiari sull’incidente del 1988

«Non è stato provocato da un errore di Nutarelli», indagini difensive per riabilitare l’immagine dei piloti grossetani

«L’incidente di Ramstein non è stato provocato da un errore di Nutarelli». Il giorno del trentatreesimo anniversario della strage di Ustica, le parole dell’avvocato siciliano Daniele Osnato che da 15 anni lavora giorno e notte a questa vicenda, sono macigni che pesano anche a Grosseto. La Germania è lontana, il 1988 ormai fa parte di un’altra epoca e in città c’è anche chi non ha mai saputo che uno dei protagonisti della strage di Ustica, uno dei piloti dell’Aeronautica militare morto durante le esibizioni delle Frecce Tricolori a Ramstein appunto, si chiamava Ivo Nutarelli ed era uno dei piloti più esperti che l’aviazione aveva a disposizione.

Insieme a Mario Naldini, 33 anni fa decollarono dal Baccarini a bordo di un biposto da addestramento TF-104. E mentre erano in missione sul circuito Grosseto-Firenze-Bologna-Villafranca-Grosseto, Nutarelli e Naldini si accorsero che nel cielo sopra al Tirreno qualcosa non quadrava. C’erano altri velivoli, secondo la ricostruzione fatta successivamente dalla procura, e c’erano aerei militari che viaggiavano sul corridoio aereo civile. Una circostanza, questa, che non quadrò ai due militari. Appena scesi a terra, andarono subito a raccontare quello che avevano visto al colonnello Pierangelo Tedoldi, Comandante dell’aeroporto di Grosseto. «Ma il colonnello morì un mese e mezzo dopo – aggiunge l’avvocato – in un incidente in auto insieme a sua moglie e ai suoi figli». Altre morti sospette seguirono quelle di Tedoldi: il Capitano Gari, responsabile della sala radar di Poggio Ballone, stroncato da un infarto a 32 anni, Alberto Mario Dettori, che era nella sala radar la notte della tragedia e che si è impiccato nel 1987. L’anno successivo, l’incidente di Ramstein. In Germania morirono tre piloti: Nutarelli, Naldini e Alessio. E l’incidente provocò la morte di 67 persone e il ferimento di altre 346.

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http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2013/06/27/news/ramstein-un-dossier-dei-familiari-sull-incidente-del-1988-1.7325152

Ora, le indagini difensive del pool coordinato dall’avvocato Osnato, scriverà un altro capitolo di una storia che ancora sembra non avere né capo e né coda. Il fratello di Ivo Nutarelli, Giancarlo, non ha mai smesso di combattere la battaglia per riabilitare la figura dell’aviere. «Era impossibile che Nutarelli facesse uno sbaglio del genere – aggiunge l’avvocato – a Ramstein non c’è stato un incidente, ma un omicidio». Le perizie stilate dai tecnici sui tre Aermacchi Mb-339 raccontano un’altra verità: i fermi dell’aereo non avrebbero funzionato correttamente. Nutarelli cerca di non far precipitare il velivolo, compie almeno sette manovre. Troppe, secondo la controinchiesta voluta dai familiari, per correggere un errore

Fonte:http://iltirreno.gelocal.it


27 Giugno 2013

Francesco Pinocchio nella strage di Ustica ha perso il fratello Giovanni e la sorella Antonella. Elisabetta Lachina, insieme ai suoi due fratelli maggiori e la sorella minore, ha perso i genitori, Giuseppe Lachina e Giulia Reina. Giancarlo Nutarelli il 28 agosto 1980 ha perso nell’incidente di Ramstein suo fratello Ivo, pilota della Pattuglia Acrobatica Nazionale, da più parti ritenuto testimone oculare del volo IH-870 qualche minuto prima della sua scomparsa dai radar. Roland Fuchs, quel 28 agosto 1988, nell’incidente aereo di Ramstein, perde la moglie e la figlia, di soli tre anni. È convinto dell’innocenza del pilota Ivo Nutarelli. Maurizio Landieri, appassionato di aeronautica, studia il caso Ustica e tutta la vicenda processuale, di cui conosce ogni dettaglio. Daniele Osnato è il legale rappresentante di diverse decine di familiari della Strage di Ustica. Giovanni Campana e Tiziana Davanzali da anni si battono per fare luce sulla vicenda che rappresenta una delle pagine più nere della storia del nostro Paese.

Ed è proprio ai familiari delle vittime della strage di Ustica che si rivolge oggi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per riconoscere l’impegno che hanno dimostrato negli ultimi trentatré anni.

Perché la Strage di Ustica è fatta di persone che cercano e pretendono di ottenere giustizia. È intrisa di dolore per i familiari delle vittime che tengono ancora vivo il ricordo dei propri cari. E ha sete di verità, perché questa storia coinvolge ognuno di noi. Non si può pensare di avvolgere per sempre il caso Ustica nel mistero, soprattutto sapendo che sono state già prodotte 5468 pagine di sentenza – ordinanza. Oggi, a distanza di trentatré anni da quel 27 giugno 1980 sembra che la verità sia sospesa. Ci sono diversi elementi che provano i tentativi di depistaggio, il collegamento con altri strani incidenti, come quello di Ramstein, sono state ascoltate decine di persone, altre si sono impegnate a ricercare e ricostruire la dinamica dei fatti ma la verità processuale sembra viaggiare disgiunta da quella che ognuno di noi si è creato nel corso di questi anni. Napolitano nel giorno dell’anniversario chiede di “accertare responsabilità anche estere”.

Oggi, proprio per fare e far fare memoria della Strage, un ragazzo di soli 20 anni, Francesco Perrella, che non accetta di vivere in un Paese in cui la verità scompare in mezzo al mare assieme alla carcassa del Dc9 Itavia, ha scelto di raccontare le storie di Ustica, ascoltando soprattutto i familiari delle vittime e chi – a diverso titolo – è coinvolto in questa vicenda, per esortare anche le nuove generazioni a non dimenticare. E lo ha fatto pubblicando un ebook, “Ustica l’orizzonte degli eventi” edito da Malitalia, in cui con il piglio del ricercatore, si mette a scavare gli atti, legge fra le righe quanto trascritto dopo il processo penale e si fa portavoce dei familiari e di tutti quelli che, in questa storia, vogliono ancora vederci chiaro. “La vittima eccellente di Ustica – afferma il giovane studente di giurisprudenza che sogna di fare il giornalista – è il diritto di ciascuno di noi di poter leggere con sicurezza e fiducia la storia recente del paese in cui vive. Quel diritto per cui, in tre decenni di storia italiana, si sono compiuti sforzi immani che non meritano di essere relegati all’oblio di qualche cronaca dal sapore documentaristico. La verità sulla strage di Ustica non merita di essere degradata a qualcosa di cui dobbiamo convincerci perché ci piace o perché ci conviene. Non lo dobbiamo solo alle 81 persone che in quel volo hanno perso la vita, e non lo dobbiamo solo ai loro cari. Lo dobbiamo innanzi tutto a noi stessi”.

Ecco perché “L’orizzonte degli eventi”: come ipotizzano gli astrofisici, quel limite teorico situato all’interno dei buchi neri, da cui nemmeno la luce può sfuggire, ed entro il quale è impossibile osservare qualsiasi fenomeno fisico. “Ed è come se – spiega Francesco Perrella – dalle 20.59.45 di quel 27 giugno di trentatré anni fa, l’ora fatale in cui si spegne il transponder del DC9 – il volo IH870 con alla cloche i piloti Gatti e Fontana, non sia precipitato e stia proseguendo nel suo viaggio inesorabile verso l’orizzonte degli eventi. Quel limite oltre il quale sarà impossibile osservare e comprendere la realtà”.

Quel viaggio che attraversa tre decenni fra ipotesi, sentenze, ricostruzioni, depistaggi e sospetti

fonte:www.ilfattoquotidiano.it


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