Von Braun

13 Settembre 2012

È stato il padre della missilistica tedesca a inventare i razzi che trasportarono l’Apollo 11 (e l’uomo) sulla Luna

intervista di Oriana Fallaci

Il padre del razzo Saturno, che ha spinto la capsula Apollo verso la Luna, si chiama Wernher von Braun. Lo zio di Saturno si chiama Ernst Stuhlinger. I suoi parenti sono tutti tedeschi malgrado siano iscritti all’anagrafe come americani. Centoventi tedeschi dai gesti secchi e la voce sferzante che si inteneriscono solo a parlar di Saturno che chiamano, con infinita dolcezza, “our baby”, il nostro bambino. Oppure “our biggest baby”, il nostro bambino più grosso. Durante la guerra, quando vivevano a Peenemunde in Germania, partorivano infatti bambini più piccoli che chiamavano meno pomposamente V2 e che invece di andare sulla Luna bombardavano gli inglesi di Londra. Per delicatezza mondana evito di ricordarmi che li partorivano anche per bombardare New York, e tutti sanno comunque che Adolf Hitler li amava moltissimo: il capitolo più paradossale nel romanzo del viaggio sulla Luna comincia da qui. Nel 1945, quando Hitler morì e gli alleati giunsero a pochi chilometri da Peenemunde, von Braun si trovò a dover scegliere fra gli americani e i russi: «onde piazzare il bambino nelle mani giuste». Con decisione di cui non si rammarica, dice, corse incontro agli americani e gli consegnò tutto quanto.

Che cosa si aspetta di trovare sulla Luna, dottor von Braun? Ciò che ne sappiamo è ipotesi, o teoria, e quando l’astronave atterrerà su… su… Su cosa, dottor von Braun? Sulla sabbia? Sulla roccia? Sulla lava? E potrà davvero atterrare?
La Luna è un posto abbastanza grande e la superficie lunare non è uniforme. Vi sono montagne, sulla Luna, e pianure: indubbiamente anche la struttura della sua superficie varierà da luogo a luogo. C’è chi sostiene che è nera e scivolosa come neve ghiacciata ma, dopo quello che abbiamo visto sulle fotografie, io sono parzialmente convinto che si possa atterrare quasi dappertutto. Certo vi saranno zone inaccessibili ai nostri veicoli ma vi saranno anche zone dove, probabilmente, sarà possibile muoverci con relativa facilità. Non lo so. Non si sa. È anche per questo che andiamo.

Lei esclude, naturalmente, che vi esista una qualsiasi forma di vita.
Sì, certo, lo escludo. È molto, molto, molto improbabile che sulla Luna esista la vita. Forse spore. Nient’altro. Non v’è atmosfera, lo sa. La forza di gravità v’è ridotta a un sesto.

E qual è la percentuale di pericolo che i tre astronauti affronteranno ad andare sulla Luna? Basta un piccolo buco nella tuta spaziale, no?, per morire.
Il 50 per cento del pericolo è che prima di andarci muoiano in un incidente automobilistico qui sulla Terra. Guidano come pazzi. Uhm? L’altro 50 per cento è che muoiano ad andare sulla Luna. Uhm? Un buco nella tuta, lei dice. Anche se c’è un buco nella nave che galleggia sul mare, la nave va a fondo e si muore. Anche se c’è un buco nell’aereo, l’aereo precipita e si muore. Teoricamente un aereo può precipitare ogni volta che lei ci viaggia. Ma lei ci viaggia lo stesso. Davvero non vedo nessuna differenza fra le antiche navi dei Fenici e le cosmonavi o le tute di oggi. Solcare il Mediterraneo su quei fragili vascelli era assai più rischioso che solcare il vuoto con la capsula Apollo. Se i marinai di quei vascelli capitavano in una tempesta o contro una roccia, morivano come gli astronauti che capitano dentro una tempesta o contro una roccia.

Ma lei ci andrebbe sulla Luna, dottor von Braun? Un posticino per uno scienziato non c’è? Farebbe comodo, oltretutto, si dice.
Ci andrei sì. Eccome. Subito. E quella di includere o no uno scienziato è una discussione bruciante che dura da anni. Io per esempio sono pronto a dare ragione a chi dice che un buon geologo può osservare aspetti della superficie lunare che nessun astronauta per bravo che sia può notare. La particolare formazione di una roccia, per esempio. Gli scienziati non dovrebbero essere esclusi, sostengo. E ripeto che ciascuno di essi soggiornando nella zona antartica, per esempio, impara cose che a scuola non aveva imparato. D’altra parte lo scopo del primo viaggio è solo questo: riuscire a mandare tre uomini e a riportarli vivi sulla Terra. Così non possiamo includere scienziati: solo uomini abbastanza giovani e freddi da cavarsela in caso di emergenza, solo collaudatori di aerei e ingegneri capaci di raccontarci cosa v’era di sbagliato nel disegno dell’astronave. Questo è essenziale e gli astronauti sono esattamente ciò che ci serve attualmente: piloti che non hanno paura a gettarsi giù da un aereo e riescono a seguire le fasi di un motore che brucia senza battere ciglio. In futuro, quando il tragitto Terra-Luna sarà diventato normale, partiranno più scienziati che piloti. Ma oggi no e io temo proprio di non avere i requisiti adatti. Forse mi accetteranno nel volo numero dieci: come si accetta un vecchio zio per farlo contento.

Magari farà a tempo a recarsi su Marte.
Marte è un’altra storia. La differenza principale tra un viaggio alla Luna e un viaggio su Marte è che Marte è enormemente più lontano: di conseguenza, l’assenza dalla Terra è lunghissima. Recarsi su Marte non sarà un picnic di otto giorni come andare sulla Luna. Esigerà un equipaggiamento straordinario, una conoscenza centuplicata dello spazio: sappiamo così poco, per esempio, delle radiazioni cosmiche. E poi bisognerà mandare molta gente, una vera e propria spedizione: tanto per dirne una, non si può far partire quindici uomini e più senza un medico capace di cavare un dente. Cosa fa un astronauta se gli fa male un dente? Abbandona i comandi? Insomma, dovremo raggiungere un livello tecnologico molto più alto per un simile viaggio, e io temo proprio che il volo su Marte sarà possibile solo dieci o 15 anni dopo il primo volo diretto alla Luna.

Vuol dire che potremo già andarci verso il 1990?
Verso il 1985 all’incirca. Le sembra troppo lontano, uhm?

Mi sembra spaventosamente vicino. E si aspetta anche lei di trovare vita su Marte, dottor von Braun?
Astronomi molto responsabili notano che col cambiare delle stagioni la vegetazione sboccia e appassisce. È indubbio che su Marte esistono almeno forme inferiori di vita. Esperimenti sulla Terra dimostrano senza ombra di dubbio che certi batteri possono vivere e propagarsi anche in un ambiente ostile come quello di Marte dove non esiste atmosfera, la forza di gravità è ridotta a un mezzo, e la temperatura è bassissima: pensi di andare al Polo Nord, salire dieci miglia, e quello è il clima di Marte. Naturalmente quando parlo di vita su Marte alludo a una forma di vita diversa dalla nostra, una vita che ha avuto 200 milioni di anni per svilupparsi: mentre noi ne abbiamo avuti solo 500mila. Fra 200 milioni di anni anche la vita terrestre riuscirebbe ad adattarsi a quella marziana o, se preferisce, sarà come quella marziana. Marte è un pianeta molto più vecchio della Terra.

Torniamo sulla Luna, dottor von Braun. E mi dica: quali sono le probabilità che gli americani approdino alla Luna prima dei russi? Alludo a una frase che lei disse a un giornalista che le chiedeva cosa avremmo trovato sulla Luna. «I russi», rispose.
Non so fino a che punto i russi appoggino il programma lunare: hanno anch’essi i loro problemi finanziari. Sono convinto che il loro programma spaziale sia molto aggressivo: per aggressivo intendo deciso. Ma ignoro se a essi prema, come a noi, di atterrare presto sulla Luna. Del resto ciò che preme a noi è riuscire ad atterrarci: non arrivarci a tutti i costi per primi. La Luna in se stessa non è l’unico scopo del nostro lavoro, il solo obiettivo verso il quale orientiamo il nostro programma. La Luna è un momento del nostro programma, un’esercitazione.

Resta il fatto che questa è una corsa a chi arriva primo, e gli occhi del mondo sono su questa corsa. Chi arriva primo si guadagna gli applausi e la stima. Questo da un punto di vista scientifico può essere sciocco ma da un punto di vista umano o politico non lo è affatto.
Ma è proprio per questo che abbiamo scelto la Luna: pensando a chi ci guarda. Tutti sanno cos’è la Luna e dov’è e tutti comprendono cosa diciamo, quando parliamo di andarci.

Mi dica, dottor von Braun: lei pensa che le conquiste spaziali rendano più facile il pericolo di una guerra o lo diminuiscano?
Questa è una domanda tremenda alla quale nessun ingegnere o filosofo o scienziato potrà mai risponderle. La mia speranza e anche la mia convinzione è che navigare nello spazio diminuisca le probabilità di una guerra: in quanto rende la guerra totalmente assurda, un suicidio collettivo, una rovina completa anche per chi la scatena. Secondo me questi razzi che possono essere armi tremende di distruzione sono in realtà i più potenti guardiani della pace. È ben vero che le più grandi scoperte tecnologiche sono state provocate dalle guerre, pensi alla fisica nucleare e all’aviazione, alla radionavigazione e alla medicina, in tempo di guerra infatti si esige l’impossibile dagli scienziati e dalle industrie: ma è anche vero che i voli spaziali sostituiscono perfettamente lo stimolo che di regola viene dalle guerre.

E allora le chiedo un’altra cosa: se la Luna può essere usata per scopi militari. E se il noto progetto di collaborazione coi russi è possibile o no.
Non sono nella posizione adatta a commentare gli usi militari della Luna: ma tutti sono d’accordo nel dire che la Luna di per sé ha un interesse strategico assai limitato, direi nullo. Un uomo sulla Luna non può servire che alla esplorazione scientifica della Luna: e questo è lo scopo del nostro programma. Solo lo spazio nell’immediata vicinanza della Terra può servire a usi militari. Collaborare coi russi, sì che è possibile. Nel campo dei satelliti meteorologici e delle comunicazioni fra i satelliti, la collaborazione esiste di già. E poi, io lo dico sempre, potremmo metterci d’accordo sullo sviluppo di una base lunare. Tu voli coi tuoi razzi e io volo con i miei: quando siamo lassù costruiamo la base insieme. Assolutamente possibile.

Viene lecito chiederci dove ci porterà questo andare, dottor von Braun. Come un bambino curioso la scienza va avanti, scopre cose che non sapevamo, provoca cose che non immaginavamo: ma come un bambino incosciente non si chiede mai se ciò che fa è bene o è male. Dove ci porterà questo andare?
Molto lontano. Come ci hanno portato lontano le scoperte di nuovi mari, di nuovi continenti, la colonizzazione di nuovi Paesi. E se questo ci porterà al bene o al male nessuno può prevederlo: fino a oggi l’uomo non ha fatto che provocare un mucchio di infelicità. Ma proprio attraverso quelle infelicità l’uomo è avanzato e al posto delle civiltà che distrusse ne ha sempre fondate di nuove. Così io non credo che ciò che facciamo sia male. Gli uomini devono andare sempre più lontano, devono allargare i loro spazi e i loro interessi: questa è la volontà di Dio. Se Dio non volesse non ci avrebbe dato il talento e la possibilità di avanzare, mutare. Se non volesse, ci fermerebbe. Ciò la stupisce? Guardi: ho conosciuto molti scienziati su questa terra e non ho mai conosciuto uno scienziato degno di portare questo nome che riuscisse a spiegare la natura senza la nozione di Dio. La scienza cerca di capire la creazione ma la religione cerca di capire il Creatore e nessuno può fare a meno di cercare di capire il Creatore. È un ben povero scienziato colui che si illude di poterne fare a meno: uno scienziato che sfiora la superficie e non guarda nel fondo. Io tento di guardare nel fondo e ci vedo del bene.
Dio voglia, dottor von Braun, che questa volta lei abbia ragione.

Oriana Fallaci

FONTE:www.corriere.it/europeo/scienze_e_tecnologie


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