Volare, il sogno di bambino realizzato a sessant’anni

13 Ottobre 2013da PIERGIORGIO GOLDONI

Alla guida Mi torna alla mente la canzone che mi cantava mio padre: «E gira, gira l’elica, romba il motor»Aveva ragione Herman Melville: «Resta fedele ai sogni della tua giovinezza»Ai comandi di un Cessna: 80 euro per 20 minuti.

L’esperienza Debutto da pilota nei cieli della provincia: subito alla cloche.

I have a dream. Anch’io ho un sogno. Non importante come quello che Martin Luther King enunciò nel 1963 al Lincoln Memorial di Washington, ma è il mio sogno e me lo sono portato dentro per anni. Come un talismano o come un rimpianto. È il sogno di volare.

Non semplicemente di viaggiare per aria con uno dei tanti low cost, ma di pilotare io stesso un aereo. Ogni volta che decollavo per un viaggio di lavoro o per andare in vacanza, quel sogno si materializzava nell’immagine di me che nel cockpit tirava la manetta della potenza dei motori e lanciava il bestione sulla pista, fino al magico momento in cui lo sentivo staccarsi per iniziare, improvvisamente affrancato dalle asperità del suolo, la sua aerea avventura nell’azzurro.

Da ragazzi forse l’abbiamo fantasticato tutti, ma ora io sto portando il mio sogno di testardo sessantenne su nel cielo di Orio, con un aeroplanino che assomiglierà più a quello di Paperino che a quello di Top Gun, ma vola davvero e ai comandi c’è il ragazzo di allora che non ha voluto demordere.Tutto è cominciato qualche giorno fa con una telefonata all’Aeroclub di Bergamo.

Una signora, che poi scoprirò chiamarsi Betty, mi propone un volo di prova. «Sono venti minuti a ottanta euro con uno dei nostri piloti-istruttori, che può già darle qualche spiegazione e, grazie ai doppi comandi, farle provare a condurre l’aereo. Poi, se le piace, può iniziare il corso vero e proprio per la Licenza di pilota privato.

Dura nove mesi, richiede 50 lezioni teoriche e 45 ore di volo e costa come un’utilitaria».A dire «mi prenoti», l’ho capito dopo, è stato il Piccolo principe di Saint-Exupéry, che mi ronzava dentro con il suo monomotore fino dagli anni delle medie. Ma, mentre parcheggio l’auto davanti alla rete di recinzione dell’Aero Club, il vento a raffica che accumula minacciosi nuvoloni temporaleschi nel cielo di Bergamo evoca più prosaiche fantasie fantozziane. «È sicuro di volere provare proprio oggi?», mi chiede il mio istruttore, un ex pilota dell’Aeronautica militare. «Ci sono un pò di nodi di vento e lassù si rischia un pò da ballare». Si chiama Valerio Lonardi, ha un inatteso accento romagnolo e l’aria compassata di un gentiluomo inglese.Un gesto di viltà non mi sembra un buon esordio per il mio sogno. Ed eccoci dunque stipati nel minuscolo Cessna 152 II, targato I-BGBG, che Lonardi ha scrupolosamente ispezionato pezzo dopo pezzo, mentre, una dopo l’altra, leggo ad alta voce su un foglio plastificato le misteriose voci della check list prima del decollo.

Nelle cuffie sento il dialogo con la torre di Orio, che ci autorizza al decollo. Lonardi tira la levetta del gas su cui è scritto «throttle». L’elica comincia a ruotare come un frullatore, poi la levetta è pressata, il motore aumenta i suoi giri e il muso dell’aereo comincia a ingoiare prima le due grandi frecce della pista, poi le righe della mezzeria. È un attimo ed eccoci in aria, leggeri sopra la grande curva dell’A4, intasata dal primo traffico serale. Ora voliamo sopra il centro di Bergamo, via Giovanni XXIII, il Sentierone, poi la prua di nave di Bergamo Alta. Riconosco Sant’Agostino, la sede della mia università, con il chiostro punteggiato di studenti.«Ora cerchi di sentire l’aereo ? mi fa Lonardi ? lo prenda lei». E lascia il suo volantino.

Provo a muovere il mio, l’aereo asseconda docile i miei movimenti. «Ora viri a destra, lentamente». Impartisco una sterzata più netta. L’orizzonte si inclina e la collina della Maresana sembra scivolare verso Milano. «Bene, mantenga l’inclinazione, l’aereo farà tutto da solo». I boschi sfilano sotto la fusoliera, poi tornano le case. «Ecco, siamo sopra la Val Seriana. Ora raddrizzi e livelli, puntando a quella cava sullo sfondo». Fatto, sono dritto. È meraviglioso, sto volando e sono io a pilotare.

Mi sale un’ondata di emozione, mi torna alla mente la canzone che mi cantava mio padre quando, sospendendomi in aria, mi faceva fare l’aereo: «E gira, gira l’elica, romba il motor, / questa è la bella vita, la vita bella dell’aviator». Un colpo di vento in coda impartisce al velivolo una sbandata di trenta gradi. Oscilla, cerco di stabilizzarlo, correggendo l’assetto con il piccolo volante.

Lonardi mi getta uno sguardo sorridente e sento che nella cuffia dice: «Sta capendo come funziona». Superiamo la Val Cavallina, il lago di Endine è uno specchio blu cupo. «Scendiamo a 300 piedi», mi ordina. Avanzo il volantino verso gli orologi della strumentazione e il Cessna si inclina di prua. «Saprebbe ora ritrovare l’aeroporto?». Guardo il sole che tramonta, deve essere là nella foschia un pò a sinistra. Faccio segno con il braccio. «Bene, ora chiediamo l’autorizzazione a Orio per l’atterraggio».

Breve conversazione con una voce femminile, che conclude nel misterioso gergo aeronautico: «Runway 30, siete il numero due dopo Ryanair 4703». Ora la lunga pista di Orio è davanti a noi. Scorgo il 737 della compagnia irlandese che tocca il suolo. È il nostro turno. Lonardi si allinea sulla pista dell’Aeroclub Bergamo che corre parallela all’altra. Si avvicina velocissima, sembra un videogioco. «Ora stia leggero, sente come l’aereo scende docile?». Alcune minute correzioni, poi le ruote toccano l’asfalto. «Ora il ruotino». Un altro piccolo urto e il Cessna si raddrizza e corre oscillando goffamente verso il parcheggio. Non è più l’uccello che sfiorava lieve i colli di Bergamo, ma una specie di triciclo con le ali.

Prendo confidenza con il freno per eseguire le curve a terra. Il volo si conclude con l’ultima check list sul piazzale. Mentre avanzo verso la sede dell’Aeroclub tra quelle strane cavallette metalliche, che una dopo l’altra vengono ricoverate negli hangar, penso che aveva ragione Herman Melville: «Resta fedele ai sogni della tua giovinezza». È meno difficile di quanto si pensi.

Brevini Franco

(23 giugno 2013) – Corriere della Sera

Fonte:http://archiviostorico.corriere.it

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