pilota da caccia

22 Gennaio 2017

Così ho “volato sulla Guerra”

Giancarlo guidava i caccia nel ‘45. «Venivamo visti come dei privilegiati, figli di un’Italia ricca. Ma la metà dei miei compagni non ce l’ha fatta, sono stati abbattuti o fucilati»

Nel libretto di volo della Regia Aeronautica è racchiusa la sua storia. Quarto Stormo Novantesima Squadriglia. Le operazioni di guerra in rosso, i voli di ricognizione in nero. Non ha bisogno di rileggerle Giancarlo Galbusera, classe 1917, nato a Rossiglione in provincia di Genova, l’ultimo pilota di aerei da caccia della Seconda guerra mondiale. Di quegli anni ricorda tutto alla perfezione. Dopodomani,24 gennaio, compie cento anni, ma della sua vita non ha perso un frammento. La sua memoria è perfetta, così come la sua vista. «È per questo che mi rinnovano sempre la patente», scherza estraendo dalla tasca un documento da Guinness dei primati: data di scadenza 2017. Un pilota centenario che vive il presente con lo stesso entusiasmo con cui ha attraversato il secolo scorso. Nessun rammarico e rimpianto. «Per noi la guerra non era il combattimento, era un motivo per volare, adrenalina pura. La paura non esisteva; che si trattasse di bombardamenti o no, per noi aviatori l’importante era partire». Nessuno si tirava indietro. «Da Palata ci alzavamo in volo per le azioni in Albania: ci affiancavamo sull’Adriatico, e ci sentivamo i padroni del cielo».

Le missioni

Scorriamo le pagine di quei meticolosi report di guerra ingialliti: 54 azioni belliche, sette trasferimenti. Siamo nel novembre 1944. Totale ore di volo effettuate da Lecce 250, con un P39. Mitragliamento di Podgorica. Galbusera si rivede sul Montenegro. La stilografica rossa racconta: l’attacco dall’alto a un concentramento di 70 automezzi, la reazione contraerea, un mitragliamento sulla strada che porta alla città. «Il nostro sistema di puntamento rispetto a quelli di oggi era ridicolo: guardavamo in una specie di bicchiere con due righe in mezzo e sparavamo». E scherza sugli obiettivi mancati, racconta di un ponte e della mira sbagliata. «Il ponte è rimasto lì, meglio così». Era l’anno del P39, l’Air Cobra, «il miglior aereo che abbia mai guidato, 1500 cavalli dietro alla schiena, un cannoncino da 37 millimetri attraverso l’asse dell’elica e quattro mitragliatrici sulle ali». Prima c’erano stati i CR30, il famoso CR32, il CR42 Falco, il Macchi 200 e il G50, «il più brutto apparecchio della mia carriera — ammette — l’unico con cui ho avuto un incidente serio per un atterraggio troppo lento».

 

La vita dopo la guerra

Galbusera si considera uno dei più fortunati della guerra. «Venivamo visti come dei privilegiati, figli di un’Italia ricca». Suo padre era direttore del cotonificio di Rossiglione, e i suoi compagni di volo si chiamavano Carlo Negri, giovane rampollo della famiglia Pirelli, Pier Ugo Gobbato, figlio di Ugo Gobbato alla presidenza dell’Alfa Romeo, e Giorgio Bertolaso, papà dell’ex capo della Protezione civile. «La metà dei miei compagni non ce l’ha fatta, passare tra una scheggia e l’altra di un’antiaerea non era facile, e quelli che riuscivano ad atterrare e non avevano la fortuna di cadere fra le braccia dei partigiani, venivano fucilati dai tedeschi». È quello che è successo al suo migliore amico, il sottotenente Carlo Negri. «Dopo l’armistizio dell’8 settembre si era offerto volontario per lanciare su Coriza un messaggio destinato al reparto italiano, ma il suo Aermacchi C205 fu colpito e a terra venne catturato e fucilato dai tedeschi».

Il volo, dopo la guerra, è rimasto l’hobby e la passione di un uomo che è diventato imprenditore aprendo un maglificio, una ditta di materiale subacqueo, e un’azienda di materie plastiche, supportato dalla moglie Oriana di 32 anni più giovane, sposata al suo rientro a Genova. «Perché la vita da generale a riposo non faceva per me». E a questo punto è svelato il segreto della sua longevità.

Fonte: Savina ConfaloniCorriere della Sera


15 Novembre 2016

Il suo aereo si è avvitato e lei si è lanciata con il paracadute, ma è stata falciata dall’ala di un altro apparecchio che volava in formazione stretta con il suo J-10.

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I cinesi piangono la morte in volo della loro prima pilota da caccia. La capitana Yu Xu, 30 anni, era ai comandi di un J-10, apparecchio di punta dell’Esercito di Liberazione Popolare, un jet multiruolo entrato in servizio nel 2004 e considerato il primo caccia cinese capace di rivaleggiare con quelli occidentali. Essersi qualificata per pilotarlo era un onore che aveva fatto di Yu Xu una stella.

di Guido Santevecchi, corrispondente da Pechino

Falciata da un altro aereo
Le circostanze della sua fine sono terribili: Yu Xu, comandante di squadriglia, stava compiendo evoluzioni quando il suo aereo si è avvitato, forse per una collisione con un altro apparecchio o per uno stallo.

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La pilota e il suo secondo hanno fatto in tempo a lanciarsi con il paracadute, ma Yu Xu è stata falciata dall’ala di un altro jet che volava in formazione stretta. Il collega si è salvato e anche il secondo apparecchio è atterrato.

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Yu Xi era diventata la donna copertina dell’Aeronautica militare cinese: era entrata in accademia nel 2005 e con altre 15 compagne era riuscita a conquistarsi il brevetto di pilota da caccia; dopo un’ulteriore selezione Yu era risultata la prima donna a ottenere il comando di un J-10. Fino al suo debutto le donne nell’aviazione militare cinese avevano potuto pilotare solo apparecchi da trasporto. Yu Xi era brava e molto determinata, tanto da essere stata accolta anche nella pattuglia acrobatica «1 Agosto», l’equivalente delle Frecce Tricolori italiane. Aveva sorvolato Piazza Tienanmen durante la parata della festa nazionale nel 2009.

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Sessanta milioni di messaggi
Sul web cinese la notizia ha dato origine a una veglia funebre con 60 milioni di commenti addolorati. Molti hanno ricordato che il successo di Yu li aveva ispirati e incoraggiati a inseguire i loro sogni personali.

Dibattito sul web
Si è anche aperto un dibattito sull’efficienza del J-10 e sulle capacità fisiche di una donna di pilotare un caccia in condizioni estreme. «Voglio sapere se è stato un problema dell’apparecchio o un errore di pilotaggio», ha chiesto un blogger. La stampa di Pechino ha citato diversi esperti di aeronautica che hanno spiegato come «il volo acrobatico è una sfida costante con la morte». «Di solito i piloti sono addestrati per evitare i rischi, mentre quelli della pattuglia acrobatica debbono prenderne di più, per questo Yu merita un rispetto ancora maggiore».


Pavone dorato
Ora gli amici ricordano che Yu era «gentile e umile» e la gente la piange. Era nota al grande pubblico come «Pavone dorato». «Yu era la Hua Mulan dei nostri tempi», ha scritto un blogger riferendosi a una leggendaria donna guerriera cantata in un poema di era imperiale.

Fonte:www.corriere.it/


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