morto


Il cantante si è spento nella sua casa ad Acilia. Aveva 74 anni. Era malato

Roma

È proprio una Pasqua tragica per la musica italiana. Venerdì Enzo Jannacci, sabato Franco Califano. Nell’arco di 24 ore se n’è andato prima un simbolo di Milano, poi uno di Roma, «er Califfo». Nel mondo anglosassone per descrivere uno come Califano si usa l’espressione «larger than life» (più grande della vita), lui di sé diceva: «ero bello esagerato». Er Califfo, ma la cerchia dei suoi fan lo chiamava «il maestro», è stato un autore di classici della canzone, un interprete di successo, un poeta, un attore, un protagonista delle cronache per le sue amicizie pericolose e le sue rischiose abitudini.  

 I suoi ultimi anni sono stati difficili: aveva sperperato un patrimonio, il fisico, cui aveva sempre chiesto molto, cominciava a cedere e finì sui giornali perché aveva richiesto l’aiuto della legge Bacchelli. Il 18 marzo aveva cantato al Sistina di Roma. Ma proprio quando la sua vicenda si stava avviando al declino, è stato riscoperto dalla nuove generazioni, Fiorello gli ha dedicato una delle sue imitazioni più popolari, i Tiromancino hanno registrato con lui, come hanno fatto jazzisti importanti come Stefano Di Battista. Al di là delle sue vicende legali, Franco Califano stava all’Italia come i personaggi portati sullo schermo da Jean Paul Belmondo e Alain Delon dei tempi d’oro stanno alla Francia. Un fuori classe della seduzione dal fascino maledetto e dall’ironia devastante che dagli anni ’60 in poi, cominciando come attore di foto romanzi, si è lanciato in una vita vissuta pericolosamente. Califano ha firmato alcune dei più bei titoli della canzone italiana, come «Minuetto», «La musica è finita», «E la chiamano estate», «Una ragione di più», ha scritto per gli interpreti più prestigiosi, a cominciare da Mina, ha composto «Gente de borgata».  

Ma se c’è un titolo che sintetizza la sua vita e la sua carriera è «Tutto il resto è noia», un caso di scuola di brano che diventa un manifesto esistenziale. Scriveva poesie ed era autore e interprete di monologhi che oscillavano tra il comico e il dramma, istantanee di vita alla deriva (il giocatore di Nun me porta’ a casa) che si affiancavano a storie di travestiti o gravidanze inaspettate. Le sue vicende giudiziarie, la sua vocazione alla trasgressione e l’insofferenza verso le convenzioni hanno sicuramente aiutato a far nascere il mito dello chansonnier maledetto ma sicuramente non hanno aiutato la sua carriera (nel 1984 ha inciso l’album «Impronte digitali» agli arresti domiciliari). È stato un personaggio scomodo, controverso, che ha messo in scena la sua vita al massimo e che, forse, ha amato davvero soltanto la musica.  

Fonte:www.lastampa.it



Si è spento nella notte tra giovedì e venerdì. Per anni la sua inconfondibile voce ha tenuto compagnia a milioni di italiani la domenica pomeriggio

Alfredo Provenzali è morto nella notte tra giovedì e venerdì. Voce storica della trasmissione radiofonica Tutto il calcio minuto per minuto. Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Claudio Ferretti, Alfredo Provenzali. Ezio Luzzi per la serie B. L’ordine era questo. Dallo studio, Roberto Bortoluzzi… Anni Sessanta, Settanta, Ottanta. Radio a valvole. Quando i bambini eravamo noi. Altri tempi. Quando fino alla fine del primo tempo, non sapevamo ancora il risultato della nostra squadra del cuore e con il cuore (ops) in gola attendevamo la lieta novella, o la ferale notizia…

L’ANNUNCIO DEL GR1 – Il Gr1 ha dato l’annuncio. Se  n’è andato il mite giornalista dalla voce inconfondibile, calda e pastosa. Per ricordarlo, stamattina, la testata Rai ha mandato in onda la sigla della “sua” trasmissione – ASCOLTA.

IL PREMIO NON RITIRATO – Appena poche settimane fa, il radiocronista aveva vinto il premio Agnes, ma purtroppo non era potuto andare a Capri, per ritirare il riconoscimento, proprio a causa dei suoi gravi problemi di salute.

LA CARRIERA – Provenzali nasce a Genova, il 13 luglio del 1934. Nel 1966 diventa radiocronista nella trasmissione Tutto il calcio minuto per minuto. Inviato negli stadi della serie A. Il suo debutto avviene al Marassi di Genova. In quell’occasione conosce il mitico Nicolò Carosio, che commenta la stessa partita per la televisione. Entra nel piccolo immaginario collettivo dei tifosi italiani, assieme al suo indimenticabile gruppo di colleghi. Nel 1992 sostituisce Massimo De Luca e passa alla conduzione del programma. Diventa il Bortoluzzi della situazione. Tiene la barra fino all’anno scorso. Poi, il silenzio. Ci mancherà lui. Ci manchera la sua voce. E forse ci manca anche quel calcio.

Massimo Laganà

Fonte:www.oggi.it


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