2013 Giugno

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Sceneggiata stradale, Polizia sottopone i Carabinieri all’alcoltest

Siparietto all’alba di ieri in via Berengario, dove la sceneggiata di due donne fermate dai Carabinieri per un’infrazione scatena l’intervento della Polizia. Assurdità e denunce si rincorrono

Le strade modenesi stanno dando vita a siparietti al limite del teatro dell’assurdo, che renderebbe orgoglioso un Beckett o uno Ionesco di turno. La giornata di ieri ha regalato non solo un doppio arresto di fronte alla Questura, ma anche un surreale alcoltest eseguito dalla Polizia ai “colleghi” Carabinieri dopo la sceneggiata di due donne fermate per un’infrazione.

Sceneggiata stradale, Polizia sottopone i Carabinieri all’alcoltest
„Ma veniamo ai fatti, riportati stamani dalla Gazzetta di Modena grazie alle testimonianze di alcuni curiosi che hanno assistito, divertiti, alla scena. Sono quasi le 5 del mattino e una pattuglia dei Carabinieri è sistemata in prossimità dell’hotel Estense di via Berengario, proprio di fianco agli ambulanti che stanno iniziando ad allestire i banchi del mercato del lunedì.“

Sceneggiata stradale, Polizia sottopone i Carabinieri all’alcoltest
„Un’automobile sfreccia per strada passando clamorosamente con il semaforo rosso e viene perciò fermata dai militari della Compagnia di Modena poco più avanti. Al volante vi è una donna originaria dell’est Europa, con una giovane amica connazionale seduta affianco: la guidatrice a cui i Carabinieri contestano l’infrazione viene sottoposta all’alcoltest.“ 

Fin qui nulla di strano, se non che le due donne, invece di accettare rassegnate la multa, vanno su tutte le furie e iniziano una scenata che richiama appunto l’attenzione dei curiosi. La più giovane è la più agguerrita e offende ripetutamente i militari, dando vita ad una discussione senza fine. Non solo. Parte anche una contro accusa: “Siete voi quelli ubriachi!”, seguita da una telefonata alla Polizia da parte delle signore inferocite. 

Così, per ravvivare la scena, anche una pattuglia della Polizia di Stato arriva sul posto e incredibilmente sottopone i Carabinieri ad un test con l’etilometro, per verificare l’accusa della guidatrice. Esito negativo, che scongiura un finale ancora più comico, e che costa alle due donne dell’est denuncia per calunnia e per oltraggio, oltre all’inevitabile multa per infrazione semaforica. Sipario, luci. Applausi.

Fonte:www.modenatoday.it



 Lockheed T-33 Shooting Star

 

Il Lockheed T-33 Shooting Star era un aereo da addestramento statunitense costruito dal 1948 al 1959 ed usato tutt’ora da alcune aviazioni minori, come quella boliviana.

File:T-33A 5021TOS Alaska 1984.jpeg

Venne sviluppato a partire dal P-80 Shooting Star (in seguito ridenominato F-80), il primo caccia jet operativo nell’USAF, ed era inizialmente denominato TP-80C o TF-80C.

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http://www.youtube.com/watch?v=xX_FG5Aj2Qk

Il T-33 fu a sua volta la base del caccia intercettore F-94 Starfire.

Storia

Sviluppo

Il T-33 era un semplice adattamento del monoposto F-80C, con la riduzione dell’armamento da 6 a 2 mitragliatrici, un secondo posto di pilotaggio; i serbatoi interni, da 1.931 litri complessivi, vennero integrati da serbatoi alle estremità alari, molto caratteristici, da ben 870 litri (il predecessore arrivava a 2 da 807 litri). La velocità di salita scendeva da 35 a 26 m/s.

Il caccia F-80 si era trasformato quindi in un addestratore avanzato che venne talmente apprezzato, per la sua semplicità, da essere prodotto in oltre 6.000 esemplari, anche in Canada ed in Giappone.

File:Lockheed NT-33A USAF.jpgIl T-33 era molto popolare e divenne molto diffuso in tutto il mondo, combattendo anche in vari conflitti minori, come ad esempio l’invasione della Baia dei Porci, ed almeno fino a pochi anni fa era in linea in una dozzina di paesi in vari continenti.

Impiego operativo

Venne impiegato per decenni negli USA, nelle file dell’USAF, della US Navy e dei Marines. L’Aeronautica Militare Italiana, invece, ottenne 75 esemplari a partire dal 1952, con altri 15 nella versione RT-33A da ricognizione. Il T-33 spense molte delle speranze riposte negli addestratori studiati in Italia, ben più costosi anche perché non erano coperti da nessun programma di aiuti internazionali. Per questo motivo, i G.80/82 non ebbero successo, e bisognò aspettare il successivo Aermacchi MB-326, maggiormente orientabile al compito d’attacco al suolo e che ebbe un successo notevole di esportazione.

L’ultimo T-33 italiano venne radiato nel 1982, quando almeno altri 20 paesi continuavano ad usarlo nel mondo.

Varianti

File:T-33 LA PAZ.jpg

USAF
T-33A
versione da addestramento a getto biposto.
AT-33A
versione da attacco leggero derivata dal T-33A.
DT-33A
designazione assegnata ai T-33A convertiti in aerei da controllo droni.
NT-33A
designazione assegnata ai T-33A convertiti in aerei per test sperimentali.
QT-33A
designazione assegnata ai T-33A convertiti in droni senza equipaggio da bersaglio.
RT-33A
versione da ricognizione derivata dal T-33A.

US Navy

  • TO-1/TV-1: U.S. Navy designation of P-80C, 50 transferred to USN in 1949 as jet trainers (not technically T-33 Shooting Star)
  • TO-2: Two-seat land-based jet training aircraft for the US Navy. It was the US Navy’s version of the T-33A. Later redesignated TV-2.
  • TV-2KD: This designation was given to number of TV-2s converted into drone directors.
  • T-33B redesignation of Navy’s TV-2 in 1962.
  • DT-33B redesignation of Navy’s TV-2KD.

Canada

File:Greek T-33 Shooting Star 4.jpg

Utilizzatori

Arabia Saudita Arabia Saudita
Belgio Belgio
  • Composante Air de l’armée belge
acquisì 38 T-33A ed un RT-33A con i quali operò dal 1952.
Bolivia Bolivia
Brasile Brasile
bandiera Birmania
Canada Canada Canada Canada
opera con la variante di produzione nazionale Canadair CT-133 Silver Star.
Cile Cile
Colombia Colombia
Corea del Sud Corea del Sud
cominciò ad operare con i T-33A dall’agosto 1955, utilizzati anche dalla pattuglia acrobatica Black Eagles. (tutti ritirati)
Cuba Cuba
Danimarca Danimarca
Rep. Dominicana Rep. Dominicana
Ecuador Ecuador
El Salvador El Salvador
Filippine Filippine
Francia Francia
Germania Germania
Giappone Giappone
operò con esemplari di produzione nazionale, realizzati dalla Kawasaki Heavy Industries Aerospace Company dal 1956. (tutti ritirati)
Grecia Grecia
  • Ellenikì Polemikì Aeroporia (tutti ritirati)
Guatemala Guatemala
(One is on static exhibit outside the east entrance to the Mundo Maya International Airport near Flores, restored to polished aluminum finish) (all retired)
Honduras Honduras
Indonesia Indonesia
Iran Iran Iran
Italia Italia
Jugoslavia Jugoslavia
Libia Libia
Messico Messico
Nicaragua Nicaragua
la FAN acquisì quattro velivoli AT-33A da parte del governo degli Stati Uniti dopo la fallita invasione di Playa Girón nel 1961. Ritirati dal servizio nel 1979.
Norvegia Norvegia
Pakistan Pakistan
Paesi Bassi Paesi Bassi
Paraguay Paraguay
operò con sei AT-33A donati da Taiwan nel 1990 nel 2° Grupo Aerotáctico (GAT) “Indios”. Ritirati dal servizio nel 1998.
Perù Perù
Portogallo Portogallo
Singapore Singapore
  • Angkatan Udara Republik Singapura
operò con esemplari francesi ex Armée de l’air. (tutti ritirati)
Spagna Spagna
Taiwan Taiwan
Thailandia Thailandia
Turchia Turchia
Stati Uniti Stati Uniti
Uruguay Uruguay

File:Lockheed T33A.JPG

Lockheed T-33 Shooting Star

Descrizione
Tipo addestratore avanzato
Equipaggio 2 (pilota + istruttore)
Progettista Clarence Johnson
Costruttore Stati Uniti Lockheed
Data primo volo 22 marzo 1948
Data entrata in servizio 1949
Utilizzatore principale Stati Uniti USAF
Altri utilizzatori Stati Uniti US Navy
Germania Luftwaffe
Giappone JASDF
altri
Esemplari 6 557
Sviluppato dal P-80 Shooting Star
Altre varianti T2V SeaStar
CT-133 Silver Star
 

File:T-33.JPG

Dimensioni e pesi

 
Lunghezza 11,49 m (37 ft 9 in)
Apertura alare 11,86 m (38 ft 10 in)
Altezza 3,57 m (11 ft 8 in)
Peso a vuoto 3 775 kg (8 300 lb)
Peso max al decollo 6 865 kg (15 100 lb)
 

File:Spanish Air Force Lockheed T-33.jpg

Propulsione

Motore 1 turbogetto
Allison J33-A-35
Spinta 23 kN
Prestazioni
Velocità max 0,8 Ma
(970 km/h in quota)
Autonomia 2 050 km
Tangenza 14 600 m
Armamento
Mitragliatrici 2 Browning M3 calibro 12,7 mm
Piloni 2 sub-alari
Note dati relativi alla versione T-33A Shooting Star

 

Lockheed P-80 Shooting Star

File:P80-1 300.jpg

Il Lockheed P-80 (dal 1948 denominato F-80) è stato il primo caccia con motore a reazione statunitense ad entrare in servizio effettivo e il primo a dichiarare una vittoria in uno scontro tra aerei a reazione.

Dall’F-80 venne sviluppato l’aereo da addestramento T-33 Shooting Star, inizialmente denominato TF-80C, che è rimasto nella storia come il più numeroso addestratore a getto tra quelli realizzati in Occidente.

Storia del progetto

File:XP-80A Gray Ghost af.jpgL’XP-80 era una aereo a impostazione convenzionale con cellula tutta in metallo, carrello d’atterraggio triciclo e ala bassa e sottile. Il P-80 fu il primo caccia a turbogetto operativo ad avere il motore integrato nella fusoliera, una configurazione in precedenza proposta solo dai dimostratori Heinkel He 178 e Gloster E.28/39, mentre gli altri jet della prima generazione avevano in genere due motori montati in gondole esterne facilmente accessibili, alla luce della scarsa affidabilità e necessità di frequenti manutenzioni. Con l’avvento di nuovi motori a getto più potenti e di maggiore durata, il montaggio in fusoliera divenne più efficace e sarebbe stato usato nella grande maggioranza dei successivi modelli di aereo da caccia.

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http://www.youtube.com/watch?v=HK2DqtnJI5U

 

Le fasi iniziali per la progettazione dell’XP-80 iniziarono nel 1943 con gli studi mirati a realizzare una struttura di aereo incentrata sui disegni del turbogetto britannico de Havilland H-1 B Goblin, un motore inizialmente non fisicamente disponibile ai progettisti. Il team della Lockheed incaricato, era costituito da 28 ingegneri aeronautici che avrebbero costituito il gruppo di lavoro noto come Skunk Works, con a capo il famoso progettista Clarence L. “Kelly” Johnson. Il gruppo avrebbe ideato per la Lockheed nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, una linea di aerei ad alte prestazioni, tra cui l’F-104 Starfighter, l’SR-71 e altri.

File:EF-80.jpgUna accelerazione per lo sviluppo del P-80 venne dalla scoperta da parte dello spionaggio degli Alleati dell’aereo a getto tedesco Me 262 nella primavera del 1943. Il comandante dell’U.S. Army Air Forces, il generale Henry H. Arnold, riteneva che si poteva sviluppare una struttura intorno al motore a getto britannico e la Lockheed venne incaricata del progetto. Con i tedeschi chiaramente in vantaggio nello sviluppo, la Lockheed venne posta sotto pressione per sviluppare un jet dalle prestazioni comparabili nel più breve tempo possibile. Kelly Johnson presentò una sua proposta a metà di giugno e promise che il prototipo sarebbe stato pronto per le prime prove in 180 giorni. Il gruppo degli Skunk Works, costruì la struttura iniziando dal 26 giugno 1943 in 143 giorni, consegnandola al Muroc Army Airfield il 16 novembre. Quando il motore Goblin venne montato nella fusoliera, un oggetto estraneo venne ingerito durante la prima accensione (foreign object damage) e il motore si distrusse, rimandando il primo volo fino alla consegna del secondo motore.

Il primo prototipo (44-83020), soprannominato Lulu-Belle (e anche noto come “the Green Hornet”, il calabrone verde, a causa della sua colorazione), volò la prima volta l’8 gennaio 1944 con il pilota collaudatore della Lockheed Tony LeVier ai comandi, e il motore Halford H1 di rimpiazzo al primo e preso dal prototipo del caccia britannico de Havilland Vampire. Dopo il primo volo, Johnson dichiarò, “È stata una dimostrazione magnifica, in nostro aereo è stato un successo – un successo tale da superare il vantaggio temporaneo che i tedeschi hanno raggiunto dopo anni di sviluppo degli aerei a getto”.

File:F-80 Schraege Muzik.jpg

Il secondo e terzo prototipo (44-83021 e 44-83022), designati XP-80A, furono progettati per utilizzare il più grande General Electric I-40 (una variante migliorata del motore Rolls-Royce Derwent, in seguito prodotta dalla Allison con il nome J33). L’aereo con la matricola 44-83021 fu soprannominato “Gray Ghost”, spettro grigio, a causa della verniciatura grigio perla, mentre il secondo XP-80A, fu lasciato privo di colorazione per comparare le prestazioni e divenne quindi noto come “Silver Ghost” – “spettro argento”. Il primo volo della nuova variante non suscitò una favorevole impressione, ma la maggior parte dei problemi evidenziati, vennero velocemente individuati e corretti nel corso del programma di prove. Inizialmente, i P-80A motorizzati con il motore I-40 non furono accolti positivamente. Il capo dei piloti collaudatori della Lockheed, Milo Burcham, commentò che un aereo che lo aveva ben impressionato (la versione con il motore Halford) era ora diventata un “brocco” (dog – cane, nell’originale inglese). Gli XP-80A erano però principalmente dei prototipi per le prove di integrazione di motori più grandi e per la messa a punto delle prese d’aria anteriori e, conseguentemente, erano più grandi del 25% e più pesanti dell’XP-80 originale.

File:ClarenceLeonardKellyJohnson.jpgIl programma di prove del P-80 si rivelò molto pericoloso. Burcham rimase ucciso il 20 ottobre 1944 mentre volava con il terzo YP-80A costruito, il 44-83025. Il “Gray Ghost” fu distrutto durante prove in volo il 20 marzo 1945. Il pilota Tony LeVier si salvò. Appena promosso capo dei piloti collaudatori dopo la morte di Burcham, LeVier si lanciò fuori dall’aereo quando si ruppe una delle palette del motore a turbina, causando danni strutturali in volo alla coda dell’aereo. LeVier atterrò duramente e si ruppe la schiena, ma ritornò alle attività di prova dopo sei mesi di cure. Un altro incidente che funestò le campagne di prova dell’aereo, avvenne quando il celebre ace statunitense, il maggiore Richard Bong rimase anch’egli ucciso in un volo di accettazione di un P-80 di produzione il 6 agosto 1945. Entrambi Burcham e Bong perirono a causa di un guasto alla pompa principale del combustibile. La morte di Burcham fu il risultato di un errore nel briefing prevolo, nel quale non fu informato della installazione di una nuova pompa di emergenza, ma l’indagine sull’incidente di Bong evidenziò che apparentemente il pilota aveva dimenticato di accendere la pompa combustibile d’emergenza che gli avrebbe permesso di prevenire l’incidente. Si lanciò fuori dall’aereo quando questo aveva assunto un assetto in volo rovesciato, ed era troppo vicino al suolo per consentire al paracadute di aprirsi.

Versioni

File:F-80 Schräge Musik 2.jpg

P-80/F-80

1714 aerei di produzione furono consegnati all’USAF. In seguito vennero convertiti e ridesignati in molteplici varianti, pur mantenendo lo stesso numero di matricola.

EF-80, versione per le prove con pilota in posizione prona.
XP-80
prototipo. Un solo esemplare costruito.
XP-80A
seconda variante di prototipi, due costruiti.
YP-80A
12 aerei di pre-produzione.
XF-14
prototipo per ricognizione fotografica. Un esemplare costruito (44-83024), a partire da un modello YP-80A ordinato. Perso in volo a causa della collisione con l’aereo B-25 Mitchell che lo seguiva, il 6 dicembre 1944.
P-80A
costruiti 344 block 1-LO; 180 block 5-LO. Gli aerei block 5 e tutti i successivi Shooting Stars sarebbero rimasti con colorazione metallica. Il modello montava serbatoi da 625 l) alle estremità alari.[
F-80A
designazione USAF del P-80A.
EF-80
modificato per prove di volo con il pilota in posizione prona.
F-14A
numero sconosciuto di conversioni di P-80A, tutti ridesignati FP-80A.
XFP-80A
P-80A 44-85201 modificato con naso incernierato per ospitare apparati fotografici.
F-80A di prova(s/n 44-85044) con mitragliatrici binate da 12.7 mm a motaggio obliquo, simili alle tedesche Schräge Musik della seconda guerra mondiale, nel corso di prove per verificare le tecniche di attacco ai bombardieri sovietici da posizione inferiore.
 
FP-80A
152 block 15-LO; versione operativa da ricognizione fotografica.
RF-80A
designazione USAF dell’FP-80A. 66 F-80A operativi modificati allo standard RF-80A.
ERF-80A
P-80A 44-85042 modificato con un profilo del muso diverso.
XP-80B
P-80A riconfigurato con motore J-33 migliorato. Un solo esemplare costruito come prototipo del P-80B.
P-80B
209 block 1-LO; 31 block 5-LO; primo modello a venire equipaggiato con seggiolino eiettabile (retrofittato come -As)[5]
F-80B
designazione USAF del P-80B.
XP-80R
modifica dell’XP-80B come aereo da corsa (race in inglese).
P-80C
162 block 1-LO; 75 block 5-LO; 561 block 10-LO
F-80C
designazione USAF del P-80; 128 F-80A modificati in F-80C-11-LO equipaggiati con motore J-33-A-35 e installazione del seggiolino eiettabile; installati serbatoi da 985 l alle estremità alari.Versione maggiormente prodotta del P-80.
RF-80C
versione migliorata da ricognizione fotografica. 70 aerei modificati a partire da F-80A e F-80C, più 6 RF-80A modificati in RF-80C e RF-80C-11.
DF-80A
designazione data a un certo numero di F-80A convertiti in aerei guida per UAV.
QF-80A/QF-80C/QF-80F
modelli prodotti dalla Sperry Gyroscope convertendo alcuni F-80 in bersagli teleguidati nel corso del Progetto Bad Boy. Q-8 era il nome inizialmente proposto per i QF-80.
TP-80C
prima designazione dei prototipi TF-80C da addestramento.
TF-80C
prototipo del T-33 (48-0356).
TO-1
variante per la U.S. Navy dell’F-80C. 49 aerei block 1-LO e 1 block 5-LO trasferiti alla USN nel 1949. 16 inizialmente assegnati all’U.S. Marine Corps

Impiego operativo

File:P-80.jpg

Lo Shooting Star venne usato in Corea, ottenendo una superiorità aerea complessiva nel teatro operativo operando dal Giappone, poi anche nella penisola. Il cacciabombardiere abbatté 4 Il-10 in una delle sue prime azioni belliche; poi bombardò col napalm le truppe comuniste.[senza fonte] Verso la fine del 1950, arrivò in campo il MiG-15, che surclassava nettamente il caccia americano. Benché R. Brown rivendicò – e gli venne ufficialmente riconosciuto – l’abbattimento di uno di essi al primo incontro, l’F-80 non riusciva a difendersi a sufficienza, tanto meno a eseguire le missioni di scorta. Il caccia statunitense venne sostituito dal North American F-86 Sabre nei compiti di superiorità aerea, ma continuò a lungo nella carriera di cacciabombardiere, dando un buon contributo agli eventi bellici.

L’F-80 non fu più assegnato a compiti di prima linea, e venne radiato dal servizio entro la fine del decennio. Era un aereo limitato dalla sua struttura aerodinamica, con l’ala dritta, anche se di tipo avanzato, che limitava le sue prestazioni complessive.

Anche se la carriera operativa dell’F-80 era finita, il suo derivato biposto da addestramento T-33A si dimostrava assai promettente, e sarebbe diventato uno dei più diffusi addestratori del mondo.

Descrizione
Tipo aereo da caccia
Equipaggio 1 pilota
Progettista Clarence Johnson
Costruttore Stati Uniti Lockheed
Data primo volo 8 gennaio 1944
Data entrata in servizio 1945
Data ritiro dal servizio 1974
Utilizzatore principale Stati Uniti USAF
Altri utilizzatori Stati Uniti US Navy
Brasile FAB
Cile FACh
Argentina FAA
Esemplari 1 715
Costo unitario 110 000 US$ (del 1945)
Altre varianti T-33 Shooting Star
Dimensioni e pesi
Lunghezza 10,49 m (34 ft 5 in)
Apertura alare 11,81 m (38 ft 9 in)
Altezza 3,43 m (11 ft 3 in)
Superficie alare 22,07 m² (237’6 ft²)
Peso a vuoto 3 820 kg (8 420 lb)
Peso carico 5 638 kg (12 650 lb)
Peso max al decollo 7 646 kg (16 856 lb)
 

File:F-80C.svg

Propulsione

Motore 1 turbogetto
Allison J33-A-25
Spinta 24 kN
Prestazioni
Velocità max 0,8 Mach
(965 km/h in quota)
Autonomia 1 930 km
Tangenza 14 000 m
Armamento
Mitragliatrici 6 Browning M2 da 12,7 mm
Bombe caduta libera:
2 da 1000 lb
Missili razzi:
8 (non guidati)
Note dati relativi alla versione
P-80C/F-80C

Fonte:http://it.wikipedia.org



Francesco Pinocchio nella strage di Ustica ha perso il fratello Giovanni e la sorella Antonella. Elisabetta Lachina, insieme ai suoi due fratelli maggiori e la sorella minore, ha perso i genitori, Giuseppe Lachina e Giulia Reina. Giancarlo Nutarelli il 28 agosto 1980 ha perso nell’incidente di Ramstein suo fratello Ivo, pilota della Pattuglia Acrobatica Nazionale, da più parti ritenuto testimone oculare del volo IH-870 qualche minuto prima della sua scomparsa dai radar. Roland Fuchs, quel 28 agosto 1988, nell’incidente aereo di Ramstein, perde la moglie e la figlia, di soli tre anni. È convinto dell’innocenza del pilota Ivo Nutarelli. Maurizio Landieri, appassionato di aeronautica, studia il caso Ustica e tutta la vicenda processuale, di cui conosce ogni dettaglio. Daniele Osnato è il legale rappresentante di diverse decine di familiari della Strage di Ustica. Giovanni Campana e Tiziana Davanzali da anni si battono per fare luce sulla vicenda che rappresenta una delle pagine più nere della storia del nostro Paese.

Ed è proprio ai familiari delle vittime della strage di Ustica che si rivolge oggi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per riconoscere l’impegno che hanno dimostrato negli ultimi trentatré anni.

Perché la Strage di Ustica è fatta di persone che cercano e pretendono di ottenere giustizia. È intrisa di dolore per i familiari delle vittime che tengono ancora vivo il ricordo dei propri cari. E ha sete di verità, perché questa storia coinvolge ognuno di noi. Non si può pensare di avvolgere per sempre il caso Ustica nel mistero, soprattutto sapendo che sono state già prodotte 5468 pagine di sentenza – ordinanza. Oggi, a distanza di trentatré anni da quel 27 giugno 1980 sembra che la verità sia sospesa. Ci sono diversi elementi che provano i tentativi di depistaggio, il collegamento con altri strani incidenti, come quello di Ramstein, sono state ascoltate decine di persone, altre si sono impegnate a ricercare e ricostruire la dinamica dei fatti ma la verità processuale sembra viaggiare disgiunta da quella che ognuno di noi si è creato nel corso di questi anni. Napolitano nel giorno dell’anniversario chiede di “accertare responsabilità anche estere”.

Oggi, proprio per fare e far fare memoria della Strage, un ragazzo di soli 20 anni, Francesco Perrella, che non accetta di vivere in un Paese in cui la verità scompare in mezzo al mare assieme alla carcassa del Dc9 Itavia, ha scelto di raccontare le storie di Ustica, ascoltando soprattutto i familiari delle vittime e chi – a diverso titolo – è coinvolto in questa vicenda, per esortare anche le nuove generazioni a non dimenticare. E lo ha fatto pubblicando un ebook, “Ustica l’orizzonte degli eventi” edito da Malitalia, in cui con il piglio del ricercatore, si mette a scavare gli atti, legge fra le righe quanto trascritto dopo il processo penale e si fa portavoce dei familiari e di tutti quelli che, in questa storia, vogliono ancora vederci chiaro. “La vittima eccellente di Ustica – afferma il giovane studente di giurisprudenza che sogna di fare il giornalista – è il diritto di ciascuno di noi di poter leggere con sicurezza e fiducia la storia recente del paese in cui vive. Quel diritto per cui, in tre decenni di storia italiana, si sono compiuti sforzi immani che non meritano di essere relegati all’oblio di qualche cronaca dal sapore documentaristico. La verità sulla strage di Ustica non merita di essere degradata a qualcosa di cui dobbiamo convincerci perché ci piace o perché ci conviene. Non lo dobbiamo solo alle 81 persone che in quel volo hanno perso la vita, e non lo dobbiamo solo ai loro cari. Lo dobbiamo innanzi tutto a noi stessi”.

Ecco perché “L’orizzonte degli eventi”: come ipotizzano gli astrofisici, quel limite teorico situato all’interno dei buchi neri, da cui nemmeno la luce può sfuggire, ed entro il quale è impossibile osservare qualsiasi fenomeno fisico. “Ed è come se – spiega Francesco Perrella – dalle 20.59.45 di quel 27 giugno di trentatré anni fa, l’ora fatale in cui si spegne il transponder del DC9 – il volo IH870 con alla cloche i piloti Gatti e Fontana, non sia precipitato e stia proseguendo nel suo viaggio inesorabile verso l’orizzonte degli eventi. Quel limite oltre il quale sarà impossibile osservare e comprendere la realtà”.

Quel viaggio che attraversa tre decenni fra ipotesi, sentenze, ricostruzioni, depistaggi e sospetti

fonte:www.ilfattoquotidiano.it



L’annuncio su Twitter del ministro dell’interno di Caracas Jorge Galindo. La Farnesina conferma. I familiari: grazie a tutte le autorità. A bordo c’erano anche due amici dei Missoni oltre a pilota e copilota

ROMA – È stato ritrovato l’aereo dei Missoni scomparso il 4 gennaio in Venezuela. Lo segnala su twitter il portavoce del ministro dell’interno di Caracas Jorge Galindo. «È stato localizzato l’aereo YV2615 di tipo Islander che copriva la rotta Los Roques-Maiqueta lo scorso 4 gennaio 2013», scrive Galindo. YV2615 è la matricola dell’aereo che aveva a bordo Vittorio Missoni e Maurizia Castiglioni, una coppia di loro amici, Guido Foresti ed Elda Scalvenzi, il pilota Hernan Josè Marchan e il copilota Juan Carlos Ferrer Milano.

La Farnesina conferma il ritrovamento dell’aereo dei Missoni. «Il relitto si trovava a 70 metri di profondità, l’aereo era spezzato in più parti, ma la matricola era leggibile», spiegano all’Ansa fonti del ministero degli Esteri. Il velivolo si trova «a nord ovest» dell’arcipelago, mentre l’aereo ritrovato lo scorso 20 giugno – scomparso nel 2008 con otto italiani a bordo – si trova «a sud», sempre rispetto a Los Roques.

Con una nota diffusa da Sumirago anche la famiglia Missoni ha confermato la notizia del ritrovamento, ringraziando le autorità venezuelane ed italiane, per il loro intervento: «A nome delle famiglie Missoni, Castiglioni, Foresti e Scalvenzi, si conferma la notizia del ritrovamento dell’aereo YV2615BN-2A scomparso il 4 gennaio scorso. L’aereo – prosegue la nota – è stato identificato al quinto giorno delle ricerche grazie alle tecnologie della nave oceanografica americana Deep Sea. Il relitto si trova nelle acque a Nord dell’Arcipelago di Los Roques. In questo momento in Venezuela sono in fase di valutazione le attività per il possibile recupero del velivolo». «Le famiglie -conclude la nota – ringraziano il governo venezuelano e il governo italiano per l’impegno nel rendere possibile questa ricerca e confidano che le indagini proseguiranno fino all’accertamento delle cause e delle responsabilità dell’incidente».

Fonte:www.ilmessaggero.it



Braccio di ferro nel governo Letta sull’acquisto dei caccia F35. Il ministro della Difesa Mario Mauro smentisce le indiscrezioni secondo cui l’esecutivo starebbe pensando di sospendere il programma Joint strike Fighter. «Non ho partecipato a nessun Cdm nel quale il governo abbia cambiato posizione», afferma Mauro. «Pd e Pdl – ricorda il ministro della Difesa – quando erano separati hanno votato gli F35 e mi sembrerebbe strano che ora, da uniti, non li votino più». Mauro replica a distanza al collega responsabile degli Affari regionali Graziano Delrio, che riferendosi ai 90 aerei che l’Italia ha ordinato, per una spesa di 14 miliardi, sottolinea che la vera emergenza, ora, è dare lavoro ai giovani. «Credo – afferma in un’intervista a Repubblica tv – che proprio perché è un impegno importante, di diversi miliardi, dobbiamo fare di tutto per recuperare più risorse possibili per l’emergenza vera che abbiamo, che non è la difesa ma il lavoro per i giovani».

Poi, in una nota, chiarisce: «Quello che ho detto è che pensando agli Stati Uniti d’Europa avrebbe senso una forza europea. Scelta complessa su cui occorre un’istruttoria», spiega Delrio. Intanto le diplomazie dei partiti sono al lavoro per una mozione di maggioranza sugli F35. Accordo raggiunto nel gruppo Pd della Camera per una mozione sugli F35 che raccoglie tutte le anime del partito: a quanto si apprende, sul documento, messo a punto ieri sera (i deputati del Pd si sono espressi in maggioranza contro l’acquisto dei cacciabombardieri), è in corso un confronto con gli altri gruppi di maggioranza, tra cui il Pdl, che sta conducendo il capogruppo in commissione Difesa di Montecitorio, Giampiero Scanu.

«Stiamo lavorando a un testo unitario», conferma il capogruppo Sc Lorenzo Dellai, che rimane tuttavia cauto sull’esito della trattativa. «Ci sono diverse sensibilità in tutti i partiti», continua, e l’obiettivo può essere raggiunto «se c’è uno sforzo di buon senso».

Ma le dichiarazioni del ministro della Difesa vengono criticate dal Partito democratico: «Il ministro – attacca il vicepresidente dei deputati del Pd Gero Grassi – dichiara che sugli F35 non si torna indietro e che si acquistano. A noi sembra una posizione irresponsabile e delegittimante verso il Parlamento che sta tentando, attraverso una discussione aperta, di realizzare opportunamente il bene dell’Italia che per noi non prevede l’acquisto».

Il nodo per i Dem è quello sulla sospensione temporanea del programma degli F35 mentre è in corso l’indagine conoscitiva in materia che sarebbe prevista nella mozione. C’è ancora tempo, comunque, fino a domani per il lavoro degli sherpa visto che, a causa dell’ostruzionismo della Lega in Aula sulla proposta di legge sulla “messa alla prova”, il voto molto probabilmente slitterà a domani.

Fonte:www.ilsole24ore.com



L’ad di Alenia Aermacchi, azienda che partecipa al progetto di acquisto dei cacciabombardieri, avverte: “Stop avrebbe duro impatto su industria”. E il governo si spacca sulla commessa miliardiaria.

Nel governo il tema è di quelli delicati. La discussione, infatti, ruota su un tema scottante, uno di quelli che fa infuocare le piazze: la questione F35. Il programma e gli impegni dell’Italia parlano di un acquisto di 90 cacciabombardieri di ultima generazione. Un piano onerosissimo che in tempi non sospetti ha cominciato a stridere sempre di più con la situazione economica reale del tessuto sociale. Polemiche a non finire, a cominciare dalle posizioni espresse dalla sinistra radicale, tese a sminare una capitolo di spesa descritto come inutile e offensivo. Attriti e prese di posizione contrastanti sfociati nella mozione in discussione quest’oggi a Montecitorio: lo stop del programma di acquisizione dei mezzi alati.

GIORDO – E mentre in aula si discute l’ad di Alenia Aermacchi, azienda che partecipa al progetto, Giuseppe Giordo, avverte il governo e la maggioranza: lo stop del progetto avrebbe “un impatto importante sull’industria”. Poi le parole di Giordo si sono fatte pese come macigni: “Se non arrivassero i carichi di lavoro che devono arrivare non procederemmo alle assunzioni previste” al sito di Cameri, in Piemonte. “Speriamo decidano bene – ha aggiunto Giordo – certo siamo un po’ preoccupati. Quindi speriamo non riconsiderino gli impegni internazionali assunti e le decisioni non abbiamo impatti sulle discussioni che abbiamo con Lockheed Martin”. Giordo, dal canto suo, riconosce comunque che “è giusto che ci sia un dibattito politico sulle scelte”, ma la speranza, ha ribadito, “è che non abbia impatti industriali”.

Il GOVERNO SI SPACCA, MAURO CONTRO DELRIO – La mozione sugli F35 tuttavia non ha provocato le reazioni a tinte forti del mondo dell’industria. No, la faccenda si è spinta fin sui banchi del governo con tanto di spaccatura. Le cronache do palazzo Chigi infatti raccontano di un clima incandescente fra il ministro della Difesa, Mario Mauro, e il collega agli Affari regionali, Graziano Delrio, che aveva espresso molte perplessità su questo tipo di spesa. Mauro, conversando con i giornalisti in Transatlantico, ha replicato così: “Evidentemente c’è stata una crisi di governo e io non me ne sono accorto”.

Il ministro Mauro ha quindi spiegato che il governo non ha cambiato posizione sulla questione: “Non ho partecipato a nessun Cdm in cui il governo abbia cambiato idea sugli F35. Pd e Pdl, quando erano separati – ha spiegato Mauro – hanno votato per gli F35. Mi sembrerebbe strano che adesso che sono uniti non li votino più. In passato votò a favore anche Rifondazione comunista. Il mio era l’unico partito che non c’era”. E sulle posizioni dei gruppi parlamentari Mauro spiega: “Ieri non ho ascoltato un solo intervento a nome dei gruppi che chiedesse alcunché se non della mozione presentata”.

DELRIO PRECISA“Pensando agli Stati Uniti d’Europa, avrebbe senso una forza europea, rispetto ad una forza nazionale”, ha precisato Delrio dopo la stoccata di Mauro. “Alla domanda se il governo possa reperire risorse da questa fonte – ha spiegato il ministro – ho sostenuto che bisogna fare un’istruttoria supplementare con dati certi rispetto agli impegni assunti, anche a livello internazionale. Bisogna infatti avere i dati sottomano, raccogliere elementi tecnici, perché si tratta di una scelta molto complessa”.

SCONTRO PD – La politica, sospinta dai tavoli della pace e dal mondo dell’associazionismo, si interroga; l’industri si arrabbia. In tutto questo non mancano le frizioni interne all’esecutivo ma soprattutto nel bacino storico della sinistra. Il discorso, vedendolo bene, sta tutto dentro alle cifre: i cacciabombardieri costano oltre 50 miliardi di euro spalmati da qui al 2050. Una cifra enorme, quasi 100mila miliardi delle vecchie lire. Un malloppo che in tempi di crisi, economia pressoché ferma, lavoro latente, bollette pagate con il sangue, patto di stabilità e debito tra la Pubblica amministrazione ed i privati, stona e non poco. Per questo il Pd è a un bivio. E su questo incrocio si sta lacerando: “Il dibattito di questi giorni all’interno del PD sulla questione dei caccia F-35, deve avere un solo esito: la sospensione del programma di acquisto e l’uso di quelle risorse per investimenti pubblici riguardanti la tutela del territorio nazionale dal rischio idrogeologico, la difesa dei posti di lavoro, la sicurezza sociale”. Ribadisce la senatrice del Pd Laura Puppato. Così Puppato, così i molti nel Pd che hanno sottoscritto la mozione Sel-M5S per la cancellazione del progetto.

La questione quindi sta mettendo a dura prova la maggioranza. Per questo il voto sulla mozione slitterà a domani. Una notte in più per tentare di arrivare a una mozione di maggioranza che ‘medi’ e tenga conto della sensibilità dei dissidenti. A lavorare ad una soluzione condivisibile, che non provochi lo strappo, il capogruppo in commissione Difesa Gian Piero Scanu, del Pd. La soluzione salomonica che si sta tentando è un testo che da un lato chieda di salvaguardare un’industria considerata strategica e dall’altro di avviare il programma solo dopo un’indagine accurata sulle reali esigenze della Difesa, anche in un quadro europeo. Questo significherebbe una “sospensione” del programma, parola su cui si sta conducendo la difficile mediazione. Una formulazione ‘prudente’ consentirebbe al Partito democratico di evitare una spaccatura e di depotenziare i documenti di Sel e M5S. La decisione definitiva sarà presa domani mattina, all’assemblea dei deputati del Pd fissata per le 8.30.

Fonte:www.today.it



di Stefano Sansonetti

Una compagnia aerea privata al servizio del ministero della difesa. Potrebbe sembrare uno scherzo, ma è una realtà destinata a concretizzarsi nel giro di qualche mese. Un’operazione per la quale, dettaglio non di secondo piano, potranno essere spesi fino a 86 milioni di euro. Soldi rigorosamente pubblici. A metterli sul piatto è il ministero guidato da Mario Mauro, i cui uffici hanno appena predisposto un articolato bando di gara per “l’appalto del servizio di trasporto aereo di personale dell’amministrazione della Difesa per l’anno 2014”. L’importo previsto, per un anno, è di 14,4 milioni. Che però salirebbero a 57,6 milioni, spiegano i documenti, nel caso in cui il ministero dovesse ricorrere a una procedura negoziata per coprire i tre anni successivi. Infine c’è la possibilità che la cifra finale sia di 86 milioni “in caso di ricorso a eventuali atti aggiuntivi, nei limiti del 50% del valore del contratto”. Insomma, il ministero della difesa si sta apprestando a spendere una somma considerevole per trovare una compagnia aerea che trasporti in Italia e nel mondo il suo personale. Ma che bisogno c’è di questa procedura, e del conseguente esborso di denaro pubblico, se solo si considera che il ministero ha già a sua disposizione tutta una serie di aeromobili per spostamenti vari? Domanda tanta più insistente se si tiene conto delle richieste avanzate all’interno dei documenti di gara.

Gli aerei
Il capitolato tecnico elenca tutta una serie di mezzi che potranno essere pretesi dalle varie Forze Armate. Si tratta di aeromobili con capienza da 20 a 70 passeggeri, aeromobili da 110 a 180 passeggeri e aeromobili da 181 a 284. A questi si aggiungono velivoli di categoria “executive” con servizio di prima classe, “noleggiato a uso esclusivo per il trasporto Vip”. A bordo, “previa autorizzazione degli enti committenti ed esecutori del contratto, potranno essere imbarcati anche passeggeri estranei all’amministrazione della Difesa, per esempio familiari e altri”. Le esigenze di trasporto possono riguardare tutto il territorio nazionale ma anche l’estero, in particolare “le località interessate da crisi o conflitti in corso o nelle quali siano in atto operazioni militari sotto l’egida delle organizzazione internazionali come Onu, Nato, Ue, Osce”. A poter usufruire di tutti questi spostamenti sarà il personale dell’Esercito, dei Carabinieri, della Marina e dell’Aeronautica. Per le loro esigenze di spostamento, spiega il capitolato tecnico, “il nolo del mezzo aereo deve essere assicurato a uso esclusivo”. Che a fornire questo tipo di trasporto privato possa essere solo un’autentica compagnia aerea è confermato dagli stessi documenti di gara, dove tra i requisiti di partecipazione è indicato il possesso di una licenza Enac. Questo è quanto scritto nero su bianco nelle carte. Rimane da capire perché il dicastero potrebbe arrivare a spendere fino a 86 milioni per tutto questo, visti i mezzi già in dotazione

La giustificazione
La Notizia ha chiesto agli uffici della Difesa le ragioni del bando di gara. In base alla risposta fatta pervenire “il servizio è richiesto dalle Forze Armate perché gli aerei di proprietà della Difesa sono insufficienti a trasportare il personale militare impiegato fuori area secondo le molteplici esigenze operative di dispiegamento e avvicendamento delle forze”. In più si fa presente che non si tratta della prima procedura di gara di questo genere, almeno da quando c’è stato “un incremento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace”. Rimane sul piatto la questione degli aerei con servizio di prima classe e trasporto Vip, per non dire dell’eventuale presenza di moglie e figli a bordo. Ma tant’è. Nel corso degli anni, per lo stesso servizio, si sono alternate diverse compagnie: Airone, Eurofly, Alitalia e Merdianafly. Questo per dare anche un’idea di quali potrebbero essere gli operatori interessati ad aggiudicarsi un bando che dopo tutto mette in palio una somma particolarmente consistente. A spese dei contribuenti.

Fonte:www.lanotiziagiornale.it



Dobbiamo ammettere che nel caso dell’incidente Transaven del 2008 ci siamo sbagliati. La prima lezione è dunque per noi stessi. La nostra tesi, quella di imputare i tre incidenti del 1997, 2008 e 2013 a dirottamenti forzati si è rivelata errata, almeno per quanto riguarda l’evento del 2008. Il motivo che ci aveva portato alle nostre conclusioni è che se è accettabile per un incidente aereo che non si riesca (o si ritardi) a individuare una traccia del relitto, diventa inevitabile pensare a qualche altra pista allorché questa tesi si sposti a ben tre eventi. E dal momento che l’area in questione è interessata al triste quanto ben noto fenomeno del narcotraffico la nostra ipotesi non si poteva di certo ritenere fantascientifica. Detto ciò e avendo di fronte le foto del relitto del Let 410 YV-2081 vorremmo far presenti alcuni punti interrogativi tuttora aperti su questo incidente.
Un primo punto è costituito dal fatto che alle ore 09.23 il pilota Esteban Bessil comunica con una chiamata di routine che la posizione del velivolo è a 7000 piedi e che passa sotto la torre di Los Roques. Alle 09.38, ovvero 15 minuti dopo, lo stesso Esteban avverte però che si trova a 3.000 piedi con entrambi i motori che l’hanno piantato. Non è normale che vi sia stato un quarto d’ora di completo silenzio radio mentre l’aereo scendeva di ben 4.000 piedi rispetto alla quota assegnata e mentre si verificava un’emergenza per il contemporaneo spegnimento dei due motori. Quando si è in procinto di effettuare un ammaraggio, il mantenimento del contatto radio per dar modo di meglio localizzare la posizione è una prassi normale per assicurare il rapido e mirato intervento da parte dei mezzi di soccorso.
Il secondo punto che rimane da chiarire è che l’aereo impatta il mare e non lascia traccia alcuna in superficie. Non si può negare che il corpo del secondo pilota Osmel Avila sia uscito dalla carlinga dell’aereo incidentato. Ma attenzione, il corpo (e giubbotto) è uscito ma non è stato visto da tutti i mezzi di soccorso che incrociavano nell’area – e ciò per ben 10 giorni, tanto è il tempo trascorso fra l’incidente del 4 gennaio e il ritrovamento del cadavere sulla spiaggia dello stato di Falcon avvenuto il 13 gennaio (11.42.46N; 69.45.59W). Ricordiamo anche che l’autopsia non ha trovato traccia di acqua nei polmoni e che il giubbotto salvagente fu ritrovato insieme al corpo, ad appena 400 metri di distanza. Veramente incredibile che corpo e giubbotto abbiano vagato nel mare venezuelano senza essere avvistati mentre un gran numero di aerei, navi ed elicotteri batteva la zona.
Terzo punto che vorremmo evidenziare è il fatto che il relitto del Let 410 è stato localizzato esattamente dove doveva essere in base alla rotta e alle comunicazioni radio. Se si possono accettare ritardi nel ritrovamento allorché si ricerchi un velivolo in una certa posizione e lo stesso venga poi trovato ben distante in tutt’altra area, lascia davvero perplessi che trascorrano cinque anni per scoprire il relitto dove doveva essere. Crediamo che a questo punto sia necessaria una qualche riflessione sui tempi e modi che hanno caratterizzato le operazioni di ricerca e sull’obbligo di portare a bordo apparati che permettano la localizzazione. Ora che si è a conoscenza dell’esatta posizione del ritrovamento (11.40.57 N, 66.45.42 W) possiamo anche evidenziare sulla carta (traccia in rosso) il lungo tragitto fatto dal corpo e dal giubbotto del secondo pilota senza che fossero avvistati da alcuna unità di soccorso. Anche per questo motivo crediamo che l’appunto sulle modalità di ricerca sia del tutto legittimo.
Un quarto aspetto concerne le possibilità di sopravvivenza, ovvero la possibilità che avevano i passeggeri di poter uscire dall’aereo e attendere i soccorsi. Gli esperti di safety aeronautica sanno bene che un incidente può essere classificato come “survivable” o meno a seconda delle sue modalità e delle operazioni di evacuazione e soccorso. Indubbiamente il caso dello YV-2081 sarebbe stato “survivable”. se fossero ricorse determinate premesse.
Dispiace infatti notare come il modello Let 410 presentasse non pochi problemi dal punto di vista delle uscite di emergenza per i passeggeri. Fin dal 7 giugno 2008 sul sito dell’Organizacion Nacional de Salvamento y Seguridad Maritima espacios acuaticos de Venezuela (ONSA) nella pagina riguardante l’incidente si possono trovare alcune osservazioni, in lingua spagnola ma perfettamente comprensibili per i lettori italiani.

«…se presume que la tripulación puedo Amarizar perfectamente; quedando la aeronave entera al momento del impacto. Sin embargo, por todo lo anterior, tambien se presume que ni ninguno de los ocupantes pudo abrir ninguna de las puertas del tabaco del avión, por lo que aprox. en menos de 60seg. la aeronave comenzó a sumergirse con todos sus ocupantes atrapados dentro de la estructura y sin ninguna abertura capaz de permitir la salida de personas u objetos. NOTA: de acuerdo a informes preliminares, dicho avión presuntamente no tiene fácil la ubicación de las salidas de emergencia y aun teneniendo espacio para 18 personas en cabina, las normas de seguridad solo le permiten 14, debido a la incapacidad de permitir la salida de más personas dentro de los 90seg. reglamentarios para dichos casos. Asi tambien, se estima que ese tipo de avión flota solo durante un tiempo max. de 60seg. en caso de amarizaje forzoso.»

È facile comprendere come in caso di ammaraggio le possibilità di sopravvivenza per gli occupanti fossero davvero minime. Da quanto sopra esposto possiamo dedurre che autorizzare le operazioni con un velivolo come il Let 410 sulla rotta in questione – tutta sul mare – non si può definire una decisione saggia.

Un ultimo aspetto da non sottovalutare è che in presenza di un dirottamento viene chiamata in causa la security aeroportuale, mentre nel caso di un incidente aereo per così dire “tradizionale” entra in gioco la safety. In entrambe le ipotesi, tuttavia, non si possono non vedere lacune nel sistema-aviazione del Paese interessato. In precedenti interventi abbiamo ricordato il non indifferente numero di incidenti di velivoli immatricolati YV (Venezuela). Dobbiamo purtroppo notare che le ultime novità giunte sul fronte del ritrovamento del relitto di YV-2081 non cambiano la situazione da questo particolare punto di vista, che è fra l’altro quello cui dovrebbero avvalersi le autorità europee nel valutare l’inclusione dei vettori di un determinato Paese nella cosiddetta “black list”.
In conclusione, alla luce delle ultime novità, ci sentiamo di condividere in pieno la scelta delle autorità statunitensi le quali tengono a mettere in guardia i concittadini che transitano negli scali venezuelani affiggendo nei propri scali questo avviso:

«Il Dipartimento della sicurezza interna non è in grado di stabilire se gli aeroporti internazionali in Venezuela che funzionano come ultimo punto di partenza in viaggi senza scalo verso gli Stati Uniti mantengano e svolgano efficaci misure di sicurezza. Questo avviso viene emesso perché l’Ente per la Sicurezza dei Trasporti non è stata in grado di valutare se queste strutture applichino le misure di sicurezza adottate dall’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile (ICAO) come previsto dall’articolo 49 USC 44907.»

Riprodotto da AAR- Safety Newsletter (6/13), 25 giugno 2013

Fonte:www.dedalonews.it



Anche per volo Palermo-Bari

(ANSA) – PALERMO, 23 GIU – Sarebbe il guasto di due aeromobili la causa dei ritardi di una serie di voli della Blu Panorama. Dopo il ritardo di 10 ore del Fiumicino-Catania inizialmente previsto per ieri pomeriggio, il Fiumicino Palermo, che doveva arrivare alle 12 e 30, atterrerà alle 23.45. Il Palermo-Bari in partenza alle 13 partirà a mezzanotte e 15. Il Bari-Palermo che sarebbe dovuto atterrare alle 15.35 arriverà alle 20.40. Infine il Palermo-Fiumicino delle 16.05 slitta il decollo alle 21.10

Fonte:www.ansa.it



Che nonostante una serie di importanti passi attuati in questi anni, ci sia ancora parecchia strada da fare per arrivare a una piena e soddisfacente applicazione del Regolamento Europeo sui voli aerei da parte delle persone con disabilità, lo scriviamo da tempo. E le testimonianze che continuano ogni anno ad arrivare, soprattutto nella stagione estiva, purtroppo lo confermano.

«Quanto pesa?», mi chiede in tedesco l’assistente aeroportuale incaricato di farmi salire sul volo Monaco-Milano. Rispolvero un po’ di tedesco universitario e rispondo: «Peso tra gli 80 e i 90 chili» (non mi peso da mesi. Si riflette mai su quanto sia difficile trovare una bilancia a misura di sedia a rotelle?). Poi mi fermo e rifletto. Perché me lo chiede? L’ultima volta che mi era capitata una domanda del genere in aeroporto ero a Xi-an (Cina) e non disponevano del sollevatore per farmi salire in aereo. Allora mi presero in tre e mi caricarono a braccia. In Germania è accaduto qualcosa di simile: visto che l’aereo della Lufthansa Regional era piccolo, i tedeschi non disponevano del mezzo adatto per portarmi a bordo. In pratica mi hanno sollevato i due assistenti e portato sull’aereo, spingendomi su per la scaletta gradino dopo gradino.
Malignamente, durante il viaggio, ho pensato a cosa potesse accadere all’arrivo a Milano Malpensa. E invece mi sono dovuto ricredere, il servizio è stato perfetto. Per una volta almeno – calcio a parte – Italia-Germania 1 a 0.

Un episodio davvero banale che però mi fa riflettere sul meraviglioso mondo del trasporto aereo, dove tutte le procedure dovrebbe essere standard e invece ogni compagnia fa – o almeno così sembra – di testa sua.
Alle spalle credo di avere le mie circa cinquecento ore di volo e tante esperienza differenti. E non credo proprio di essere il solo, anzi. Con l’estate alle porte, mi attendo da un giorno all’altro di leggere di altre persone con disabilità lasciate a terra. È successo parecchie volte – nel 2011 persino al presidente nazionale della FISH (Federazione Italiano per il Superamento dell’Handicap) Pietro Barbieri – e succederà. Non dovrebbe, ma purtroppo accadrà.

Ammetto di essere confuso. Certe volte accade che al momento della prenotazione la compagnia ti risponda: «Dobbiamo verificare che non ci siano più di due persone con disabilità sullo stesso aereo. Se ciò si verificasse non potremmo accettare la sua prenotazione». E poi ho visto a San Paolo la Lufthansa – onore al merito – caricare la squadra paralimpica brasiliana con più di dieci persone con disabilità.
Altra chicca, la rigidità nell’assegnazione dei posti per persone con disabilità. Al check-in, la compagnia brasiliana Gol ti assegna dei posti – magari a metà aereo – ma al gate, per evitare l’intervento dell’assistenza, te li cambia con le prime file. Così mi è capitato di entrare con la mia sedia a rotelle sull’aeromobile e di scivolare – si fa per dire – sul sedile senza bisogno di nessun aiuto. Tempo impiegato? Cinque minuti. Air France assegna posti in coda all’aereo, Emirates e altre compagnie preferiscono dare le prime file. Stesso modello di aereo e posizioni differenti: dubito, quindi, che si tratti di una questione di sicurezza, altrimenti i posti sarebbero sempre gli stessi.
Una situazione similare a quella capitata a Roberto Vitali, presidente del marchio di qualità per il turismo accessibile Village for all (V4A) e portavoce della Commissione Ministeriale sul Turismo Accessibile, con la compagnia di bandiera. «Ero all’aeroporto di San Paolo – racconta lui stesso – e mi reco al check-in Alitalia, presentando la carta Freccia Alata e richiedendo di poter essere posizionato nella prima fila di economy. Mi hanno risposto di no, dovevo stare in fila 20 perché ci sono i posti riservati in cui il bracciolo si alza per favorire lo spostamento [le persone paraplegiche traslano dalla sedia alla poltrona, N.d.R.]. Ne è nata una discussione. Non è vero che i braccioli si alzano: nel viaggio di andata i braccioli erano bloccati e mi hanno messo nel posto centrale di una fila da tre». «Dopo una trattativa di circa venti minuti, quindi, li ho convinti a spostarmi in prima fila, ma mentre mi rifanno il biglietto, mi dicono che essendoci alcuni posti liberi in Optima, mi avrebbero fatto un cambiamento gratuito, a me e a tutti gli altri possessori di carte Freccia».
Ma Vitali non fa in tempo a festeggiare, che dopo un quarto d’ora ecco il cambio di programma: «Mi dicono: “siamo spiacenti, ma il posto libero non può essere utilizzato da una persona in carrozzina”. Morale… sono ritornato in economy, per fortuna in prima fila».

Dunque la prima fila dell’economy, quella con un po’ di spazio per le gambe, è adatta o no? Sono quindi andato a controllare il Regolamento Europeo CE 1107/06, che disciplina i diritti delle persone con disabilità e con ridotta mobilità nel trasporto aereo, ove si dice che i vettori aerei devono fare «ogni sforzo ragionevole al fine di attribuire, su richiesta, i posti a sedere tenendo conto delle esigenze delle singole persone con disabilità o a mobilità ridotta, nel rispetto dei requisiti di sicurezza e limitatamente alla disponibilità».

Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Il puzzle aereo e le partenze con l’handicap”. Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.

Fonte:www.superando.it


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