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3 Febbraio 2016

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Roma –
Il pressing degli americani su Roma dura da mesi, Matteo Renzi ha già fatto sapere alla Casa Bianca che l’Italia non ha alcuna intenzione di entrare in guerra in Libia, eppure nella trattativa in corso tra gli Usa e i Paesi alleati nella coalizione anti-Isis si sta facendo strada un nuovo punto di caduta, sul quale si sta trattando ancora, ma che rappresenterebbe una svolta di portata strategica: se e quando il nuovo governo libico sarà operativo, a quel punto partirebbero le procedure per un intervento anti-Isis ma guidato, secondo il modello Iraq, dagli stessi libici e al quale si aggregherebbero unità speciali internazionali, con la partecipazione di Stati Uniti, Italia, Gran Bretagna, Olanda, Francia e, possibilmente, anche di alcuni Paesi Arabi.

Le unità speciali
Ed esattamente dentro queste unità speciali- ecco il punto di svolta – troverebbero spazio le eccellenze militari italiane: Tornado e reparti speciali di piccole dimensioni ma di forte impatto operativo. Certo, sarebbe un impegno gravoso per l’Italia e in particolare per Matteo Renzi che, pur conoscendo i vincoli politici e militari con gli Stati Uniti, negli ultimi mesi ha tenuto il punto, in questo coerente con la linea non-interventista e fondamentalmente pacifista che ha connotato la politica estera italiana nel dopoguerra. Oltretutto l’accordo è più ampio e prevede interventi mirati di varia natura ed è esattamente a questo «pacchetto» che si riferiva alcuni giorni fa il «New York Times», quando raccontava sia pure in termini generali di «un nuovo fronte» in Libia, aperto dagli americani, affiancati da inglesi, francesi e italiani.

La coalizione
Certo, quando ci sono di mezzo le armi, quando ci sono soldati da mandare a combattere e quando ci sono catene di comando da affinare, le trattative si prolungano sino all’ultimo minuto utile. E infatti dura da mesi e – sinché un governo non si sarà insediato in Libia – durerà ancora il negoziato tra gli Stati Uniti e i suoi alleati nella coalizione anti-Isis per decidere cosa fare in quel Paese così insidiato, ma le prime, attendibili indiscrezioni sui compromessi già raggiunti sono trapelate da sherpa di varie nazionalità, ai margini della Conferenza organizzata alla Farnesina dal Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.

Isis e al Qaeda
Sono due i punti di partenza della vicenda. Il primo risale ad alcuni mesi fa e riguarda la presenza sul territorio libico delle milizie dello Stato islamico, tra Sirte verso i terminal petroliferi di Sidra, verso Misurata e in Tripolitania e anche di nuclei qaedisti schierati in Cireanica occidentale ma in espansione. Da mesi gli americani premono su Roma per una presenza italiana di tipo militare. Renzi ha sempre risposto picche, anche a prescindere dall’impegno americano, che hanno sempre escluso un proprio impegno a terra. Ma nelle trattative all’interno della coalizione e anche per effetto di diversi incontri italo-libici, è maturata una prima intesa: gli italiani potrebbero fornire personale militare per l’addestramento della polizia e dell’esercito ma anche per la protezione di obiettivi sensibili (a cominciare dagli aeroporti).

Gb e Italia leader
E soprattutto partecipare ad azioni di unità speciali, di terra e di aria, agli ordini di ufficiali libici. Una coalizione con due Paesi-leader, Italia e Gran Bretagna e dentro la quale i gli altri Paesi darebbero un apporto diverso: gli americani fornirebbero droni, aerei e intelligence; i tedeschi si sono ritagliati un ruolo nell’addestramento militare, in Tunisia.
I francesi si concentrerebbero sul confine sud, quello che si affaccia sul Mali dove si concentano gli interessi di Parigi.

Modello Iraq
Naturalmente le incognite sono ancora tante. Anzitutto lo strumento giuridico-diplomatico: si immagina anche in questo caso di seguire anche in questo caso il modello Iraq, che ha “chiamato” la coalizione, bollando l’Isis come «una organizzazione terroristica globale». E se il piano principale dovesse incontrare difficoltà insormontabili, scatterebbe il piano b: raid aerei sui quartier generali terroristi.

Fonte:www.ilsecoloxix.it/

 



L’intervento di Baghdad avrebbe permesso ai filo-governativi di riconquistare un avamposto. Nessuna conferma ufficiale.

L’Esercito iracheno ha attaccato postazioni dei ribelli anti-Assad in Siria, e alla frontiera sono arrivati cospicui rinforzi militari da Baghdad. Lo afferma al Arabiya. Russian Today riferisce ancora che l’attacco ha consentito ai filo-governativi del presidente Assad di riconquistare un avamposto controllato dai ribelli. Non ci sono conferme ufficiali. L’esercito siriano ha ripreso anche il controllo di diversi villaggi vicino Aleppo lungo l’autostrada strategica che collega l’aeroporto internazionale alla città centrale di Hama. Lo ha fatto sapere il comando generale dell’esercito siriano, precisando che è stata ripristinata la stabilità nella zona dell’aeroporto. La notizia è stata riportata dall’agenzia di stampa di Stato Sana. I ribelli provano da settimane a prendere il controllo dell’aeroporto internazionale di Aleppo; hanno cacciato i soldati da diverse base militari a protezione della struttura e hanno interrotto una delle principali strade che l’esercito usava per rifornire le sue truppe all’interno dell’aeroporto.

LE «ACCUSE» IRACHENE – Il ministero dell’Interno di Baghdad, dal canto suo, ha detto che sabato due persone sono rimaste ferite in territorio iracheno da proiettili vaganti provenienti dal territorio siriano. Fonti di polizia irachena hanno poi confermato che alcuni soldati governativi siriani feriti nei combattimenti sono entrati in territorio iracheno e sono stati ricoverati nell’ospedale di Tall Afar, una cinquantina di chilometri a ovest di Mosul. Nei giorni scorsi autorità locali nella provincia di Ninive, lungo la frontiera, avevano detto che alcuni colpi di mortaio e un missile Scud – caduto a 3 km dal villaggio di Yoush Tapa scatenando il panico tra gli abitanti – provenienti da oltre confine erano piovuti in territorio iracheno senza provocare vittime.

IL REGIME: «FERMARE I TERRORISTI» – Per fermare le violenze in Siria vanno fatte «pressioni sulla Turchia, il Qatar e gli altri che sostengono il terrorismo fornendo finanziamenti e armi ai gruppi terroristici». Lo ha detto sabato mattina a Teheran il ministro degli Esteri siriano Walid Moallem, citato dall’agenzia siriana Sana. Il regime di Damasco definisce genericamente «terroristi» tutti i ribelli armati.

«ASSAD IN CORSA ALLE PROSSIME ELEZIONI» – Intanto dal ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, arriva la dichiarazione secondo cui Bashar al Assad «parteciperà» alle elezioni previste in Siria nel 2014. «Il presidente Assad, come altri, parteciperà alle prossime elezioni, e il popolo siriano eleggerà chi vuole», ha detto Salehi nel corso della conferenza stampa a Teheran con il collega siriano Walid Moallem.

Fonte:www.corriere.it


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