tace

11 Giugno 2016

Soddisfatto il governo Renzi, soddisfatta Legambiente per la prossima istituzione del parco diPantelleria. Nessuno, però, né il governo né Legambiente si pronuncia sul fatto che da due anni dalla nostra stupende isola dei capperi vanno e vangono aerei militari americani, caccia, aerei-spia, cargo e quant’altro, diretti verso la Libia.

 

Quale effetto ha sull’ambiente questo via vai nessuno ce lo spiega. Anche perché è verosimile che nei prossimi mesi l’andirivieni di aerei militari per la Libia si intensificherà.

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E per fortuna che l’Isis non dispone (ancora) di cacciabombardieri, altrimenti addio parco. «Ieri c’è stato l’assenso in Conferenza Stato-Regioni; ora ci sarà un passaggio in Consiglio dei ministri e poi la proposta andrà al presidente della Repubblica per la ratifica». Così il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha dato l’annuncio dell’intesa raggiunta sullo schema di decreto per l’istituzione del parco di Pantelleria.

«Sono soddisfatto – aggiunge Galletti – perché Pantelleria lo richiedeva da tempo e perché l’iter si è concluso in tempi brevissimi.

Ma anche perché il sistema dei parchi viene richiesto dai territori come presidio contro l’illegalità e come fattore e motore e di sviluppo». La riforma della governance dei parchi – conclude il ministro – va proprio in questa direzione, per rafforzare la funzione dei parchi, affinché siano non solo vincolo ma anche sviluppo».

Non è tanto il fatto che gli aerei-spia americani monitorino la Libia, la Tunisia, l’Algeria e probabilmente anche l’Italia, perché gli Stati Uniti sono nostri alleati, a renderci perplessi, quanto il fatto che nessuno ne parli, e che addirittura vogliano fare un parco tra le casematte e le piste di decollo dei caccia.
Pare che anche l’aeroporto catanese di Fontanarossa sia coinvolto nell’operazione. Ci sarebbe anche un bunker scavato nella roccia a più livelli, utilizzato sia dagli Usa che dagli italiani.

L’isola di Pantelleria utilizzata come portaerei
Anche perché il pericolo di una ritorsione, per quanto remoto, esiste: l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, condanna i bombardamenti della forze di Khalifa Haftar su Derna.

Il diplomatico si dice «profondamente rattristato per le notizie dei raid aerei a Derna, che hanno ucciso due donne e due bambini.

Le aree densamente popolate non devono essere dei bersagli.

Bersagliare i civili può essere un crimine di guerra. Coloro che uccidono i civili devono essere ritenuti responsabili.

La Corte penale internazionale (ICC) è impegnata nell’indagare nuovi crimini in Libia», aggiunge Kobler.

E nella Libia liberata dalla coalizione internazionale si continua a combattere duramente, altro che stabilità: le forze libiche fedeli al “governo” di unità nazionale di Sarraj hanno annunciato che «stanno avanzando all’interno di Sirte per riconquistarla e che si segnalano progressi sull’asse del ponte Al-Gharbeyat, che punta verso il centro».

Le forze libiche hanno inoltre bombardato oggi le postazioni dello Stato islamicopresenti nella città costiera con l’artiglieria pesante.

Lo scrive il sito Middle East online, precisando che solo ieri le milizie si erano spinte all’interno della roccaforte jihadista.

I miliziani hanno infatti annunciato di avere bersagliato con l’artiglieria pesante l’area del centro conferenze dove i jihadisti hanno istituito il loro quartier generale.

La conquista di Sirte da parte delle forze libiche, città natale di Muammar Gheddafi, assesterebbe un duro colpo all’Isis, già sotto pressione per i bombardamenti in Siria e in Iraq.

Fonte:www.secoloditalia.it/


6 Febbraio 2013

Washington taglia le commesse dei cargo italiani e a Roma tutti tacciono

di Gianandrea Gaiani

La spesa militare non porta voti. Se ne sono accorti in questi giorni tutti i leader politici italiani impegnati a smarcarsi dal programma per il cacciabombardiere F-35 che negli ultimi 15 anni tutti i governi avevano sottoscritto. Con i costi in crescita e i mille problemi tecnici da risolvere il programma militare più costoso e sofisticato della storia è al centro del dibattito politico e industriale negli Stati Uniti e in molti Paesi che hanno aderito al programma mentre in Italia il cacciabombardiere è diventato un “orfanello” del quale tutti negano la paternità. Eppure proprio la politica e soprattutto il governo dovrebbero alzare i toni con gli Stati Uniti circa le scelte sulle acquisizioni militari. Perché mentre l’Italia si è impegnata a spendere una quindicina di miliardi di euro (almeno) per dotare Marina e Aeronautica dei cacciabombardieri americani F-35 il Pentagono, impegnato a far quadrare i conti con i tagli imposti da Barack Obama, cancella le commesse per gli aerei italiani da trasporto C-27J Spartan destinati alle forze armate e alla Guardia Nazionale e per i vecchi G-222 che gli americani avevano acquistato ammodernati da Alenia Aermacchi (Gruppo Finmeccanica) per consegnarli alle forze aeree afghane.

Nel primo caso il taglio al programma dei cargo tattici ha fatto infuriare la Giardia Nazionale statunitense che aveva selezionato l’aereo italiano (che sta ottenendo un buon successo di export nel mondo) perché meno costoso sotto tutti i profili del più grande aereo cargo C-130 e degli elicotteri da trasporto CH-47 .
Il Pentagono ha però deciso di cancellare l’ordine che prevedeva 38 aerei (inizialmente erano 78) e i 21 già in servizio (costati 1,6 miliardi di dollari) verranno probabilmente venduti sul mercato dell’usato. Una decisione che danneggerà ulteriormente l’azienda italiana che avrà maggiori difficoltà a vendere aerei nuovi se gli Stati Uniti metteranno sul mercato C-27J a “chilometri zero”.

Nel caso dei G-222 (il predecessore del C-27J) lo smacco al “made in Italy” ha il sapore della beffa. Gli Stati Uniti hanno cancellato il programma per 20 aerei da trasporto alle neonate forze aeree afghane lamentando improvvisamente la scarsa operatività dell’aereo, della quale si soni accorti stranamente solo dopo che 16 velivoli su 20 erano stati consegnati a Kabul. Inoltre una disponibilità giornaliera di 8/10 aerei su 16 non sembra certo scandalosa se si considerano i turni manutentivi e l’incompleto addestramento dei tecnici afghani. La decisione del Pentagono di cancellare i G-222 comporterà inoltre risparmi solo per 60 milioni di dollari a fronte dei quasi 600 già spesi ma priverà gli afghani dei velivoli sui quali stanno addestrandosi da due anni.
Il taglio dei programmi C-27J e G-222 pare in realtà pretestuoso e teso non a risparmiare denaro ma a passare le commesse sottratte all’industria italiana a quella statunitense. Basti considerare che i tagli avvantaggeranno Lockheed Martin , la stessa azienda che produce il cacciabombardiere F-35, che fornirà i suoi cargo C-130 Hercules sia alla Guardia nazionale statunitense sia alle forze afghane al posto dei velivoli italiani. Un’ulteriore conferma dell’applicazione della linea “autarchica” varata da Barack Obama già nel 2009 e sintetizzabile con lo slogan “buy american” che impone al Pentagono di acquistare prodotti “made in USA” .

Spiace però constatare che Roma ingoi il rospo e taccia senza reagire o minacciare “rappresaglie” commerciali. Già molti Paesi hanno espresso perplessità sui costi e le prestazioni degli F-35 e se anche l’Italia lo facesse le sorti del mega-programma  americano diverrebbero ancora più incerte. E’ accettabile che a Roma nessuno negozi l’acquisizione dei 90 jet con il rispetto delle commesse americane di aerei italiani? A metà gennaio è giunto in visita a Roma il Segretario alla Difesa, Leon Panetta (in procinto di lasciare l’incarico a Chuck Hagel ) che ha firmato molti dei tagli apportati al bilancio del Pentagono. E’ ammissibile che nel governo Monti nessuno abbia lamentato i danni inflitti alla nostra industria aeronautica?

Fonte:http://news.panorama.it


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