caccia

3 Novembre 2016

Un volo sulla folla per una presentazione in grande stile di fronte al mondo intero. In Cina, il caccia di quinta generazione Chengdu J-20 è stato svelato ieri al pubblico per la prima volta.

 

 

Nel corso della cerimonia di apertura dell’Airshow organizzato a Zhuhai, nel sud del paese, due J-20 hanno sorvolato una folla composta da autorità e vertici dell’industria militare: un rombo assordante, ha raccontato l’agenzia di stampa Reuters, che ha suscitato l’applauso dei presenti e ha scatenato gli allarmi delle auto parcheggiate nei pressi della fiera.

Il Chengdu J-20 ha effettuato il suo primo volo nel 2011 e potrebbe entrare in servizio nelle fila dell’aviazione militare cinese tra il 2017 e il 2019.

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Le caratteristiche del J-20
Del Chengdu J-20, in realtà, si sa molto poco. Gran parte delle sue caratteristiche sono top secret. Anche sul suo sviluppo nel corso del tempo non ci sono mai state molte notizie, con informazioni e fotografie a circolare spesso su canali non ufficiali.

Quel che si sa è che è un caccia a lungo raggio catalogabile tra quelli di quinta generazione. È sviluppato dalla Chengdu Aircraft Industries Group, un’azienda specializzata in velivoli militari che fa parte dell’Aviation Industry Corporation of China, compagnia di proprietà statale attiva nel campo della difesa.
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Dispone di due alette canard ed è stato disegnato per avere un impatto minimo sui radar. Come riporta l’agenzia di stampa TASS, si ritiene che a spingere il J-20 siano i motori AL-31FN di fabbricazione russa.
La sfida agli Stati Uniti (e non solo)

Secondo Pechino, con l’introduzione del J-20 l’aviazione militare cinese farà un grosso salto in avanti accorciando ancora di più il gap tecnologico che la separa da quella statunitense. La scorsa settimana, il portavoce dell’aviazione militare di Pechino aveva dichiarato che «il J-20 è il nuovo caccia stealth di nuova generazione della Cina, sviluppato per rispondere alle sfide dei futuri campi di battaglia».

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Secondo diversi analisti, il J-20 è comparabile al caccia statunitense F-22 Raptor. Altri hanno invece idee diverse puntando il dito su una minore competenza della Cina rispetto agli USA in termini di materiali radar-assorbenti: in sostanza, l’efficacia della tecnologia stealth è tutta da dimostrare.

Ad agosto, il generale Goldfein, Chief of Staff dell’US Air Force (USAF) aveva sostenuto che il J-20 sembrava adoperare tecnologie dell’F-117, un apparecchio prodotto negli Stati Uniti negli anni Ottanta e non più in uso.

Qualche buona carta da giocare, però, il J-20 potrebbe averla. Anzitutto è più grande dei suoi diretti concorrenti, imbarca più carburante e questo gli dà la possibilità di coprire distanze più lunghe. Allo stesso tempo, sembra in grado di trasportare un numero maggiore di armamenti rispetto ad esempio agli F-35 e agli F-22.

Il J-20 opererà nell’area del Sud-Est asiatico, una regione dove a oggi l’aviazione dominante è ancora quella degli Stati Uniti. Il nuovo caccia prodotto dalla Chengdu potrebbe giocare un ruolo determinante su un teatro dove le grandi distanze sono la caratteristica principale: il J-20 allargherà notevolmente le capacità operative della Cina e potrebbe dare a Pechino la possibilità di far rientrare nel suo raggio d’azione basi aeree, portaerei e aerei cisterna.

Nella stessa area, saranno presenti gli F-35 acquistati dall’aviazione militare del Giappone. Inoltre, proprio dall’anno prossimo, il corpo dei Marines americano schiererà alcuni F-35 nella base americana di Iwakuni, nel sud del Giappone.

Fonte: www.flyorbitnews.com/

 


30 Maggio 2016

La scorsa settimana 9 volte sono stati fatti decollare i caccia della NATO per intercettare gli aerei militari russi nel Baltico.

Secondo il ministero della Difesa dell’Estonia, i caccia hanno identificato gli aerei militari russi Il-20 e An-26 il 16 maggio mentre volavano nello spazio aereo internazionale sopra il Mar Baltico in prossimità della regione di Kaliningrad.

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Il 17 maggio i caccia dell’Alleanza Atlantica sono decollati per scortare l’aereo militare russo Il-20 e 2 caccia Su-27.

Secondo il programma, il velivolo Il-20 era in volo dalla Russia continentale verso la regione di Kaliningrad, mentre i caccia Su-27 sono decollati per incontrare l’aereo Il-20, dopodichè hanno fatto ritorno nella regione di Kaliningrad, riporta il portale estone “Postimees.ee”.

Nei giorni successivi i caccia dell’Alleanza Atlantica per 6 volte hanno “accompagnato” gli aerei russi attraverso lo spazio aereo internazionale dalla regione di Kaliningrad verso la Russia centrale e sulla rotta di ritorno.

Fonte:it.sputniknews.com/


16 Aprile 2016

Il gruppo di sei caccia Su-27 della pattuglia acrobatica “Russkiye Vityazy” “I Cavalieri Russi“, hanno iniziato ad esibirsi nell’agosto del 1991 in Polonia ed un mese dopo si esibì in Gran Bretagna con la pattuglia acrobatica delle UK Red Arrows.

La Regina Madre voleva assistere allo spettacolo, ma i medici glielo impedirono, perciò fu lei stessa a chiedere ai piloti russi di volare sopra la sua residenza in Scozia.

La osservò dal suo balcone e ne rimase affascinata:
E’ stato magnifico. Fa venire un groppo in gola e poi le lacrime agli occhi“.
La pattuglia acrobatica è una presenza fissa tra gli ospiti degli spettacoli delle pattuglie acrobatiche internazionali. I “Cavalieri Russi” spesso volano insieme alla loro controparte “Strizhi“, formata da MiG-29.

A breve entrambe le pattuglie dovrebbero cambiare la loro composizione e passare ai caccia di quarta generazione e superiori SU-35 e MiG-35

Fonte:it.sputniknews.com/


15 Aprile 2014

Oggi i caccia dell’Aviazione del Giappone sono stati fatti decollare per intercettare 4 aerei militari russi mentre si avvicinavano nello spazio aereo nipponico, ha riferito il ministero della Difesa giapponese.

Il Giappone fa decollare i caccia per intercettare 2 aerei russi

Secondo il ministero della Difesa, gli aerei russi hanno effettuato più di 10 voli sulla rotta lungo la costa occidentale dell’arcipelago giapponese a partire dal 26 marzo, quando la Corea del Nord aveva lanciato 2 missili balistici «Rodong» verso il territorio del Giappone in mare aperto.

© Foto: Flickr.com/Official U.S. Air Force/cc-by-nc

Fonte:http://italian.ruvr.ru


15 Aprile 2014

La marina chiede al Congresso di rafforzare la flotta di F18 a sostegno dei caccia “stealth”. La loro supposta invisibilità è stata completamente superata dai radar di nuova generazione, compresi quelli che Alenia produce per gli Eurofighter. Tradotto: il caccia invisibile potrà essere individuato e colpito anche dai caccia italiani.

La conclusione dell’indagine parlamentare sugli F35 – prevista per giovedì salvo ulteriori rinvii – non potrà ignorare la notizia che arriva dagli Stati Uniti e che sfata anche il principale mito della propaganda favorevole ai cacciabombardieri Lockheed: la loro invisibilità ai radar nemici che ne farebbe degli insostituibili aerei stealth di quinta generazione. La U.S.Navy ha infatti chiesto al Congresso di rafforzare la flotta di velivoli per la guerra elettronica anti-radar, gli F18 Growlers, perché saranno indispensabili come scorta e apripista agli F35 che altrimenti, se inviati in missione da soli, verrebbero intercettati dai nuovi radar e dai sensori più moderni prodotti dall’industria militare russa e, come vedremo, anche da quella italiana.

La notizia arriva de fonti della Boeing (azienda non a caso concorrente della Lockheed e produttrice degli F18), che alla rivista online americana Breaking Defense spiegano perché il comandante delle operazioni navali, ammiraglio Jonathan Greenert, abbia avanzato questa richiesta al Congresso. “Gli F35 possono sfuggire ai radar ad alta frequenza in banda X, ma sono vulnerabili ai sensori a infrarossi e ai nuovi radar a bassa frequenza che consentono di individuare un aereo stealth di quinta generazione a centinaia di miglia di distanza, come qualsiasi altro aereo. Per questo devono necessariamente essere scortati da aerei che, grazie alle loro emissioni ad ampio spettro, possono neutralizzare queste minacce”.

“La richiesta avanzata dalla Marina americana risponde esattamente a questa esigenza”, conferma al Fattoquotidiano.it Andrea Nappi, ingegnere aeronautico Alenia, addetto al progetto Eurofighter. “Negli odierni scenari di guerra l’unica strategia è neutralizzare subito radar e sensori nemici, ai quali oggi è impossibile pensare di sfuggire: l’evoluzione dei sistemi di intercettazione ha reso del tutto inutile la vecchia tecnologia stealth, ormai usata dall’industria americana solo in chiave di promozione commerciale grazie alla generale ignoranza sul tema”. Che la stealthiness, inventata in piena Guerra Fredda, sia ormai una tecnologia obsoleta lo sostengono da tempo i maggiori esperti internazionali di difesa come gli americani Bill SweetmanNorman Friedman o l’australiano Carlo Koop, che già nel 2009 denunciava la vulnerabilità degli F35 ai nuovi radar a bassa frequenza in banda L prodotti dalla russa Tikhomirov Niip.

Ma in ambiente militare la questione è rimasta a lungo un tabù, almeno fino a quando l’estate scorsa proprio l’ammiraglio Greenert scrisse sulla più prestigiosa rivista navale americana, Proceedings: “La rapida evoluzione tecnologica e informatica sta introducendo nuovi sensori e nuovi sistemi in grado di aggirare la tecnologia stealth: è ora di pensare a piattaforme che non si basino esclusivamente su questa caratteristica”. A conferma di questa evoluzione, poche settimane fa l’azienda italiana Selex Es (gruppo Finmeccanicaha reso noto che i suoi nuovi sensori a infrarossi prodotti per i caccia svedesi Gripen e per gli Eurofighter sono perfettamente in grado di individuare un velivolo stealth rilevando la sua traccia termica a una distanza tale da renderne possibile l’ingaggio con missili aria-aria. Un bel paradosso: l’invincibile aereo americano di quinta generazione potrà essere abbattuto anche dai caccia italiani.

Fonte:www.ilfattoquotidiano.it

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8 Aprile 2014

dal blog filippocontarini.ch 

A Tiziano Galeazzi, fermissimo sostenitore dei Gripen, rispondono oggi Filippo Contarini, socialista, e Sabrina Chakory, verde. L’articolo di questi graditi ospiti non impegna la linea redazionale.


Sabrina ed io abbiamo scritto questo articolo sull’acquisto di aerei da guerra, convinti che sia necessario lavorare sui temi fondamentali invece di lasciarsi andare a sterili polemiche tatticiste. Buona letttura!

È anzitutto una questione di priorità. E diciamolo: in questo momento i Gripen non sono la nostra priorità. Ci sono in gioco cifre enormi: i nuovi giocattoli dell’esercito costeranno oltre 3 miliardi, più almeno altri 7 di manutenzione nei prossimi anni, soldi spesi soprattutto per materiale e servizi esteri.

Lo Stato ha tanti compiti e i cittadini svizzeri hanno la possibilità di dire sì o no alle grandi spese, stabilendo la lista delle priorità. Ecco allora due semplici esempi per spendere meglio i nostri soldi:

  1. I giovani fanno sempre più fatica a trovare lavoro. L’assicurazione contro la disoccupazione ha tagliato i sussidi, scaricando il peso della precarietà sulle famiglie. Inoltre le borse di studio a livello nazionale vengono “limate” senza sosta. In un periodo di incertezza economica globale la formazione e l’inserimento professionale sono la priorità numero uno. Sono finite le vacche grasse, la vera assicurazione contro la miseria in questo nostro Paese non sono 22 aerei svedesi, ma è dare un futuro economico ai nostri giovani. Usiamo quei miliardi per non lasciare i giovani a piedi o con stipendi da fame.
  2. Abbiamo appena votato un importante finanziamento per lo sviluppo del trasporto ferroviario. Sappiamo però che le nostre strade rimangono intasate, in Ticino come nelle grandi regioni urbane dell’altipiano. Il motivo: le compagnie di trasporto pubblico vengono privatizzate e diminuisce il servizio nelle zone periferiche. Inoltre la pianificazione urbana è completamente sballata, espropriare costa troppo, di corsie ciclabili e innovazioni per la mobilità lenta non se ne parla. Bisognerebbe incentivare i trasporti eco-compatibili, ripensare le strutture viarie nonché ampliare e intensificare i trasporti pubblici nelle periferie per evitare il traffico parassitario. Sarebbe un investimento economico prioritario in mobilità, in qualità di vita e in tutela ambientale.

Per tutte queste cose i soldi non ci sono.

I soldi ci sono invece per andare in Svezia a comprare degli aerei che esistono solo sulla carta e che costano un’enormità. Conosciamo alla perfezione le motivazioni di chi vuole comprarli: sono un’assicurazione per il nostro futuro, i nostri aerei sono vecchi, nel mondo c’è la guerra… La realtà è che questi signori non ci spiegano né perché bisogna andare a comprare aerei così cari (ah la grandeure suisse…), né a cosa ci servano realmente altri 22 aerei da combattimento nuovi, visto che abbiamo una flotta già molto grande. Solo cinque anni fa l’esercito chiedeva 400 milioni per sistemare i tanti aerei a disposizione. Oggi ci chiedono una pioggia di miliardi per prenderli nuovi. Evidentemente il fatto che il ministro della difesa sia anche l’ex presidente dell’UDC fa comodo. Quando in gioco c’è la sete politica i soldi si trovano subito. E il cittadino paga.

È il caso di ricordarlo: la Svizzera è uno Stato che si sorvola in pochi minuti. La protezione aerea garantita dai nostri jet non è quella dei film, non siamo e non saremo una grande nazione in guerra e non ci sono da noi i top gun che volano per ore sopra i deserti. La Svizzera è, è stata e deve rimanere un Paese neutrale. La neutralità si mantiene prima di tutto intrattenendo coerenti posizioni diplomatiche con i nostri vicini. Chi vuole comprare gli aerei da guerra gioca sulla paura, ma non sarà con i facili slogan del Dipartimento della difesa che saremo fedeli alla nostra Storia. Dov’erano i nostri Tiger e i nostri Hornet quando la CIA deportava i prigionieri a Guantanamo volando per ben 76 volte sopra il nostro territorio?

Comprare i Gripen è un errore, spendere così tutti quei soldi è sbagliato, i cittadini hanno ora la possibilità di dire alla politica quali sono le priorità di spesa della nostra Confederazione. E lo shopping compulsivo in Svezia non è una priorità.

Sabrina Chakori e Filippo Contarini

Fonte:www.ticinolive.ch


27 Marzo 2014

Miscela Strategica – Il combattimento aereo manovrato, che risale agli albori dell’aeronautica militare, è ancora possibile nel moderno campo di battaglia? Scopriamolo insieme.

Duello aereo di altri tempi: Nieuport vs. Fokker Duello aereo di altri tempi: Nieuport vs. Fokker 

LE ORIGINI – L’utilizzo dell’aereo in battaglia risale alla Prima Guerra Mondiale (1914-1918), quando i biplani a elica svolsero inizialmente missioni da ricognizione. 

I piloti ben presto si resero conto che potevano infastidire gli avversari sparando con la propria pistola in dotazione e da quest’intuizione la Francia riuscì nel 1915, subito seguita dagli altri belligeranti, a montate sui velivoli mitragliatrici sincronizzate con i giri d’elica. Nacque così il dogfight (combattimento tra cani), lo scontro aereo ravvicinato, che consiste nel compiere manovre acrobatiche con l’obiettivo di posizionarsi alle spalle dell’avversario per utilizzare efficacemente le armi di bordo a corto raggio. Il termine inglese deriva dal fatto che nelle battaglie aeree i velivoli spesso giravano l’uno intorno all’altro con un movimento che richiamava quello di cani che si azzuffano rincorrendosi in cerchio. 

Inizialmente i piloti non fecero ricorso a tattiche particolari, ma con l’esperienza due assi tedeschi, Oswald Boelcke e Max Immelmann, svilupparono tecniche e manovre ancora valide oggi. Con i “Dicta Boelcke”, infatti, sono state codificate le prime regole del dogfight, tra le quali spiccano le seguenti: garantirsi una posizione migliore prima di attaccare (il sole alle spalle), attaccare sempre l’avversario in coda, formare gruppi di quattro o sei velivoli, attaccare lo stesso nemico con due aerei.

Immelmann, invece, ha dato il nome a una virata acrobatica utile a cambiare rapidamente direzione, spiazzando l’avversario. Queste tattiche, unite all’opportunismo in battaglia, hanno consentito a un allievo di Boelcke, Manfred von Richthofen, noto come il “Barone rosso”, di conseguire ben 80 vittorie. 

3 giugno 1967: un F-105D dell'USAF abbatte un Mig-17 nordvietnamita 3 giugno 1967: un F-105D dell’USAF abbatte un Mig-17 nordvietnamita 

DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE… – Le innovazioni tecnologiche come il passaggio dalla doppia ala a quella singola, l’incremento delle prestazioni e la varietà del carico bellico, hanno separato chiaramente i velivoli in base alle missioni da svolgere, distinguendo i caccia dai bombardieri.  

Ancora una volta i tedeschi hanno innovato le strategie, facendo utilizzare alla Legione Condor, impegnata nella guerra civile spagnola (1936-1939), la tattica degli “sciami” (schwarm), ideata dal pilota Günther Lützow

In pratica i caccia tedeschi attaccavano in formazioni da 4 oppure 6 aerei – gli “sciami” – suddivise in coppie (rotten) in cui era chiaro il ruolo del leader e del gregario in copertura. Questa tattica della Luftwaffe ha fortemente influenzato le altre aviazioni militari durante il secondo conflitto mondiale. 

Verso la fine della guerra (1944), i tedeschi schierarono per primi un caccia a reazione, il Me-262, precursore dei progetti degli aerei postbellici che avrebbe potuto ribaltare le sorti delle battaglie aeree. Ciò non accadde per una serie di motivi: sia perché questo velivolo rivoluzionario entrò in servizio troppo tardi, quando gli Alleati imposero la superiorità aerea alla Germania, ma anche per la mancata familiarizzazione dei piloti. Questi ultimi, infatti, invece di approfittare delle prestazioni velocistiche dell’aereo, ricorrevano alle vecchie tattiche da caccia legate agli affidabili Messerschmitt Bf-109, che però godevano di una manovrabilità maggiore. Bisogna tener presente che i piloti della Luftwaffe si trovarono in difficoltà a controllare il velivolo quando si avvicinava al muro del suono, visto che i comandi tendevano a irrigidirsi, e non erano preparati ad affrontare le consistenti accelerazioni di gravità – la “forza g” – che spesso li portavano a perdere conoscenza (G-Loc) con esiti disastrosi.

Un F-16C aggressor durante la "Red Flag" del 2006 Un F-16C aggressor durante la “Red Flag” del 2006 

…ALLE GUERRE DI COREA E VIETNAM – Il conflitto coreano (1950-1953) è stato il primo in cui si scontrarono aerei a reazione, come il Mig-15, di costruzione sovietica, e l’F-86 statunitense. Gli americani ottennero una schiacciante vittoria, legata alla superiorità dei piloti, quasi tutti veterani della Seconda Guerra Mondiale, esperienza che mancava ai nordcoreani, malgrado il supporto degli istruttori russi. Un’ulteriore svolta nel dogfight è avvenuta all’inizio degli anni Sessanta, quando le due superpotenze schierarono missili aria-aria a guida infrarossa e radar che sostituirono i cannoni come armi principali. Durante la guerra del Vietnam (1965-1975), gli USA si trovarono in difficoltà durante l’operazione Rolling Thunder (1965-1968), che prevedeva bombardamenti intensivi sulle infrastrutture civili e militari del Vietnam del Nord. L’operazione fu un grave insuccesso, sia per la mancanza di poli industriali e infrastrutture da colpire, che per la dura resistenza della contraerea e dei caccia avversari.

Il numero di abbattimenti diminuì drasticamente rispetto alla guerra di Corea, quindi la Marina Usa decise di istituire nel 1969 la United States Navy Fighter Weapons School, nota come Top Gun. La scuola, dal 1996 inglobata nel Naval Strike and Air Warfare Center, insegna tattiche avanzate di dogfight e gli istruttori, inquadrati in “agressors”, simulano il comportamento di piloti avversari con aerei agili dipinti con gli schemi mimetici dei potenziali nemici. Anche l’USAF ha reparti “aggressor” che utilizza durante l’esercitazione “Red Flag”, prevista dal 1975 una volta l’anno presso la base aerea di Nellis (Nevada), e alla quale da anni partecipano gli alleati. Scuole simili sono presenti in altri Paesi e in Russia, dove attualmente l’addestramento si svolge nella base aerea di Lipetsk a circa 500 chilometri da Mosca. 

 MiG-29 Fulcrum in addestramento MiG-29 Fulcrum in addestramento

 LA‘SUPERMANOVRABILITÀ’ RUSSA – Dal conflitto vietnamita alla fine della Guerra fredda, a parte alcuni incidenti e le guerre arabo-israeliane, i combattimenti aerei sono stati limitati. Le novità tecnologiche e gli adeguamenti strategico-tattici hanno ridotto ulteriormente l’importanza del dogfight, basti pensare all’operazione Desert Storm in Iraq (1991). Le forze della coalizione non faticarono a imporre la propria superiorità aerea con attacchi missilistici sui centri di comando e controllo, unite a missioni di controaviazione e di soppressione delle difese antiaeree (wild weasel). Gli scontri aerei furono pochi anche perché buona parte dell’aviazione irachena riparò in Iran. Malgrado quest’evidente tendenza, la Russia punta sulla “supermanovrabilità” dei propri caccia di quarta generazione, con nuove versioni dei modelli della famiglia del Mig-29 Fulcrum e del Sukhoi Su-27 Flanker. Proprio ai russi si deve la sperimentazione di alcune manovre acrobatiche impressionanti, come la “Cobra” e la “Kulbit”, quest’ultima possibile solo per i velivoli dotati di spinta vettoriale (cioè gli ugelli dei motori direzionabili). Gli USA invece hanno puntato sulla stealthness, con l’F-22 Raptor e l’F-35 Lightning II in sviluppo, su droni e su missili “lancia e dimentica” (stand-off).

CONCLUSIONI L’importanza del dogfight è stata ridimensionata nel corso degli anni e la possibilità di uno scontro del genere, tra forze tecnologicamente sbilanciate, è minima. La comparsa dei droni, la guerra elettronica, lo sviluppo di missili terra-aria avanzati, armi stand-off sempre più efficaci e la tecnologia stealth sono tutti elementi che in un campo di battaglia contemporaneo fanno la differenza e possono in parte agevolare o impedire non solo il dogfight, ma addirittura il decollo dei velivoli avversari.

Francesco Tucci

Fonte:www.ilcaffegeopolitico.org 


22 Febbraio 2014

A causa delle restrizioni al bilancio della Difesa gli aerei militari svizzeri sono operativi solo “nelle ore di ufficio”. Per questo nessun caccia F-18 o F-5 in servizio con l’Aeronautica elvetica si è alzato in volo per tenere sotto controllo il Boeing 767 dell’Ethiopian Airlines dirottato su Ginevra dal co-pilota. La notizia ha dell’inverosimile ma è stata confermata da Laurent Savary, portavoce delle forze armate di Berna.

Il volo Et 702, da Addis Abbeba a Roma, è stato ” intercettato” dai caccia Eurofighter Typhoon dell’Aeronautica italiana che lo hanno accompagnato fino ai limiti dello spazio aereo francese dove è stato preso in consegna dai Mirage 2000 dell’Armèe de l’Air. Questi lo hanno scortato fino all’aeroporto di Ginevra che si trova peraltro a pochi chilometri dai confine francese. L’aeronautica di Parigi è autorizzata da un accordo con Berna a sorvolare e proteggere lo spazio aereo svizzero ma senza poter usare le armi.

In ogni caso, come ha spiegato Savary all’agenzia di stampa elvetica Ats, i jet della Confederazione non si sono alzati in volo perché l’incidente è avvenuto fuori dalle ore di servizio, le uniche durante le quali i caccia sono operativi a causa delle restrizioni al bilancio, cioè dalle 8 alle 12 e dalle 13,30 alle 17, ma solo nei giorni feriali perché le basi aeree svizzere restano chiuse tutto il fine settimana. Gli aerei svizzeri “non potevano intervenire perché le basi aeree sono chiuse la notte e nel week end per ragioni di budget e di personale” ha precisato Savary aggiungendo che una copertura aerea a tempo pieno viene assicurata solo in caso di eventi particolari come il Forum economico mondiale di Davos .

I cieli svizzeri sono costantemente controllati dai radar ma l’indisponibilità di velivoli da intercettazione per ben 16 ore al giorno lascia aperti varchi potenzialmente pericolosi. Nonostante i progressivi tagli a un bilancio della Difesa che nel 2013 ha avuto a disposizione 3,5 miliardi di euro e un ulteriore decurtazione di oltre 51 milioni di franchi (42 milioni di euro) quest’anno, i “buchi” nella difesa dello spazio aereo hanno dell’incredibile perché solitamente ogni Paese che dispone di un’aeronautica dotata di velivoli da combattimento ne mantiene almeno due o tre coppie sempre pronte al decollo su emergenza proprio per far fronte a dirottamenti o intrusioni nello spazio aereo nazionale che potrebbero avere anche una natura terroristica.

Se durante la Guerra fredda i jet pronti allo “scramble” (il decollo rapido d’emergenza) avevano lo scopo di contrastare le provocazioni dei velivoli sovietici, dopo l’11 settembre 2001 è emerso chiaramente che anche un velivolo civile dirottato può comportare gravi rischi per la sicurezza nazionale. Negli ultimi anni tutte le aeronautiche occidentali, inclusa quella italiana, dedicano particolare attenzione alla difesa dello spazio aereo anche nei confronti dei velivoli commerciali dirottati (“renegade” nel gergo aeronautico) o che escono dagli usuali corridoi aerei e ai piccoli velivoli da turismo e agli ultraleggeri (“slow movers”), velivoli ideali per azioni terroristiche.

Sorprende quindi che un Paese come la Svizzera affronti la difesa del proprio spazio aereo con gli stessi schemi rigidi dell’orario fisso degli uffici pubblici escludendo lo “straordinario” soprattutto se si tiene conto che in rapporto alla sua limitata estensione geografica la Confederazione dispone di un’aeronautica di tutto rispetto che in fatto di jet da combattimento può schierare 32 cacciabombardieri F-18 C/D affidati a piloti professionisti in servizio permanente e 54 più vecchi F-5E/F pilotati in buona parete da piloti riservisti destinati a venire rimpiazzati a partire dal 2016 da 22 Saab Jas 39 Gripen. Karin Suini, portavoce del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (che a Berna ha le funzioni di Ministero della Difesa) ha reso noto che nel 2020 è prevista l’attuazione del “Progetto Ilana” che prevede il potenziamento dei controlli del traffico aereo e l’aumento del personale assegnato alla sicurezza dei cieli elvetici.

di Gianandrea Gaiani

Fonte:www.ilsole24ore.com


7 Febbraio 2014

Mario Sardu, 62 anni di Riola, era il responsabile del centro radar di Marsala. «La notte del 27 giugno 1980 nel Tirreno erano in volo soltanto jet “amici”»

 

SASSARI. Il muro di gomma che protegge il segreto della strage di Ustica non è più da tempo un vergognoso bastione impenetrabile che respinge la legittima domanda di verità. È come se il cemento che per anni ha tenuto insieme bugie, complicità, omissioni e depistaggi si stia lentamente sbriciolando, facendo intuire lo scenario di guerra nel quale, il 27 giugno del 1980, finì il Dc9 Itavia, con 81 persone a bordo.

Così, proprio l’altro ieri, un altro mattone è caduto. Ad allargare la breccia è stato un ex maresciallo dell’Aeronautica sardo, Mario Sardu, 62 anni di Riola, che dopo oltre 33 anni ha deciso di rompere il silenzio, raccontando in una lunga intervista al quotidiano La Repubblica cosa vide e sentì la notte di Ustica. Quella notte maledetta Sardu era il responsabile del 35esimo Gram di Marsala, cioè il cervello del sistema radar militare che controllava il Tirreno e il canale di Sicilia.

Non sono verità sconvolgenti quelle che rivela Sardu, ma da lui arriva la conferma, forte e credibile, che il Dc9 Itavia fu abbattuto da un caccia della Nato. L’ex maresciallo prima di tutto smentisce quello che per anni ha costituito un comodo alibi per l’Aeronautica. E cioè che i radar erano impegnati in un’esercitazione Nato. Va da sè che così si trovava anche una giustificazione alla presenza di aerei da guerra dell’alleanza atlantica nel basso Tirreno. Ebbene Sardu dice invece che la sera del 27 giugno non era in corso alcuna esercitazione. La guerra simulata, in codice Synadex, era stata programmata per quella sera alle 21, ma non partì mai.

«Qualche minuto prima della caduta del Dc9 – ha detto Sardu – tutto il traffico era “friendly”, cioè erano in volo solo aerei amici». Una constatazione che ha il peso di un’accusa. Come dire: il Dc9 non può essere stato abbattuto da un aereo nemico, uno”zombi” come si dice nel gergo militare. Restano solo jet della Nato.

Sardu dice poi di non aver visto l’aereo dell’Itavia precipitare, scomparire dai monitor del centro radar, ma si accorse che a un certo punto la traccia non c’era più. Scomparsa. Sul chi può essere stato a lanciare quel missile che ha provocato la morte di 81 persone, l’ex maresciallo non azzarda conclusioni, ma è innegabile che restringe le possibilità.

Sta di fatto che lo scenario fatto intuire dall’ex sottufficiale sardo era stato in qualche modo anticipato nella primavera del 2011, quando la Nato aveva trasmesso un dossier alla procura di Roma in risposta alla rogatoria inoltrata circa un anno prima dalla magistratura italiana. I vertici dell’alleanza atlantica avevano trasmesso l’elenco delle tracce radar degli aerei militari che, la sera del 27 giugno del 1980, erano in volo nello spazio aereo italiano. Per alcuni velivoli mancherebbe ancora l’identificazione, ma tutto fa pensare che fossero cacciabombardieri francesi decollati dalla base di Solenzara, in Corsica.

Parigi ha sempre dichiarato che nella base dell’Armée dell’air di Solenzara il giorno di Ustica le attività erano state sospese alle 17. In precedenza, esattamente nell’ottobre del 1997, l’allora segretario generale della Nato, Javier Solana, aveva consegnato al nostro governo una documentazione nella quale si parlava di dodici caccia americani e britannici in volo quella tragica notte. Ma Solana omise di riferire di altri quattro aerei da combattimento. Si parlò anche allora della possibilità che si trattasse di aerei francesi, perché una registrazione radar di Poggio Ballone (Grosseto), stranamente non inghiottita dal gorgo oscuro nel quale sono svanite prove e testimonianze, indicava in Solenzara, in Corsica, la base di partenza dei quattro jet.

Per dire la verità, fu il generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, braccio destro di Carlo Alberto Dalla Chiesa nella cupa stagione del terrorismo, il primo a mettere in relazione Solenzara con la strage di Ustica. La sera in cui il Dc-9 dell’Itavia precipitò in mare, infatti, dalla base corsa partirono decine di caccia-bombardieri. Bozzo era là in vacanza con alcuni parenti, e fu quindi testimone dell’intenso traffico aereo di quella sera. La sua testimonianza casuale – durante un briefing in Calabria successivo a un sopralluogo del giudice Priore che indagava sul misterioso Mig-21 trovato sulla Sila – smentì clamorosamente il ministero della Difesa francese. Diventa così sempre più realistica la possibilità che il Dc9 Itavia si sia trovato al centro di un’operazione di guerra reale e non simulata. E anche sull’obiettivo di quell’operazione restano pochi dubbi: il colonnello libico Muahammar Gheddafi

Fonte:http://lanuovasardegna.gelocal.it


6 Dicembre 2013

È stato recuperato il relitto dell’aereo caccia della Regia Aeronautica «Reggiane Re 2000», affondato al largo di Porto Venere (La Spezia) durante la Seconda guerra mondiale. Il velivolo, pilotato dall’allora ventisettenne spezzino maresciallo Luigi Guerrieri, medaglia d’argento al valor militare, ammaro’ il 16 aprile 1943 a causa di un’avaria al motore.

Dopo appena tre giorni di attività operativa preparatoria, ieri pomeriggio la società Micoperi ha proceduto al recupero del relitto che ora, grazie al concorso di diverse amministrazioni dello Stato, potrà essere restaurato ed esposto nel Museo Storico dell’Aeronautica militare.

 

Fonte: www.corriere.it & www.ansa.it


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