crisi

22 Ottobre 2015

Alcuni spunti di riflessione. Dispiace raccontare della vicenda dell’aeroporto di Salerno-Pontecagnano che avrebbe dovuto servire l’importantissima area del Cilento ed anche la vicina Alta Basilicata. Dispiace che dopo tanti anni di discussioni, progetti e investimenti lo scalo aereo che potrebbe dare una svolta ad aree altrimenti difficili da raggiungere, versi in condizioni critiche. La Regione Campania guidata dall’ex sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, si prepara a intervenire.

De Luca ha promesso che Salerno-Pontecagnano verrà rilevato dalla Regione. Bella idea ma viene anche da pensare: soldi buttati senza un piano serio di sviluppo e bisogna vedere cosa ne penserà l’Enac. Lo scalo avrebbe dovuto servire anche la Basilicata sempre più agganciata al carro di Matera Capitale europea della cultura nel 2019. Un manager della cultura del calibro di Paolo Verri alla fine ha detto no a Michele Emiliano, magistrato antimafia e già sindaco sceriffo di Bari, oggi alla guida della Regione Puglia.

Verri, dopo aver partecipato e vinto la selezione per diventare il general manager del turismo in Puglia ha rinunciato per restare a Matera, viste anche le pressanti richieste arrivate dal vertice della Regione Basilicata. Un passo falso per il modello Puglia, messo su dall’ex governatore Niki Vendola? Si vedrà. Intanto è ancora tutta da giocare la partita della governance tra la Regione e Pugliapromozione, e senza un assetto stabile e autorevole si rischia.

Dal canto suo la Basilicata, in vista di Matera 2019, dovrà rilanciare sull’aeroporto sul proprio territorio, previsto peraltro dalla programmazione nazionale. Se non decolla quello di Salerno  deve necessariamente partire quello lucano e sarebbe meglio che qualche discorso venisse fatto anche con la Puglia per Foggia. In conclusione, lo sviluppo del turismo al Sud ha bisogno di un cambio di passo, di un salto di qualità dopo i risultati buoni ma limitati ad alcune aree.

Ci vuole un progetto a rete, di sistema. Non mi pare che in questi giorni ci siano molti spunti per essere assai ottimisti.

Fonte:vincenzochierchia.blog.ilsole24ore.com/


5 Ottobre 2015

La sfida tra i grandi costruttori, la crisi nera dell’Offshore, l’arrivo di Lockheed Martin, le gare più importanti e i mercati emergenti: ecco come sta cambiando il volto del mercato dell’ala rotante.

Diciamo la verità: alzi la mano chi non è rimasto spiazzato dopo l’affare dell’anno, anzi del decennio, dell’industria degli elicotteri. Per chi ne fosse all’oscuro, stiamo parlando dell’acquisto di Sikorsky da parte di Lockheed Martin, un affare da 9 miliardi di dollari che ha proiettato sul mercato un nuovo gigante da 80 miliardi di fatturato annuo e mandato letteralmente in tilt le previsioni degli analisti.

Tra le mire espansioniste del colosso di Bethesda, sovraesposizione di programmi civili e militari, tagli alla Difesa e la crisi nera dell’Offshore, il grande domino dell’industria degli elicotteri sta cambiando faccia.

Ma non nella misura che ci si aspettava.

GUERRE DI MERCATO, GUERRE POLITICHE E GUERRE VERE

Il grande gioco dell’industria elicotteristica mondiale è un domino in cui lerelazioni internazionali hanno un elevato peso specifico. E soprattutto generano ricadute importanti su un’industria che conta su un’importante componente militare. Basti pensare alla guerra di posizione tra Stati Uniti eGermania. Una guerra di posizione sullo scacchiere globale per la leadership dell’Occidente e dell’Europa.

Per gli Usa una partita che era chiusa fin dai tempi della Seconda guerra mondiale e che si è, incredibilmente, riaperta con un l’unificazione tedesca prima e la guida indiscussa dell’Unione europea poi, da parte della Germania.

Oggi si assiste a un conflitto a bassa intensità diplomatica, ma di conflitto si tratta. Un corpo a corpo in cui l’ultimo episodio è lo scandalo che ha colpito laVolkswagen e che chiude un periodo di tensioni crescenti. Dalla crisi Ucraina, ai rapporti con la Russia, dallo spionaggio dell’NSA ai danni della cancellieraMerkel al modo di risolvere la crisi finanziaria Greca ed europea.

Che c’entra tutto questo con l’industria elicotteristica?

Semplice: il mercato dell’ala rotante è oggi dominato da cinque costruttori internazionali, un franco-tedesco Airbus Helicopters, due basati negli Stati Uniti, Bell Helicopter Textron e Sikorsky, un anglo italiano, AgustaWestland, eRussian Helicopters.

E le case diventano sei con la necessaria aggiunta, sul piano del settore Difesa, della statunitense Boeing (che produce l’AH-64 Apache).

Insomma il conflitto diplomatico tra USA e Germania è una guerra di mercato tra Airbus da una parte e Bell-Lockheed Martin-Boeing dall’altra. Una guerra senza esclusione di colpi. E con AgustaWestland che fa il “vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro”, per dirla con Manzoni. Cioè il ruolo del terzo incomodo molto fragile.

Un’azienda a guida italiana che, non potendo scegliere tra due alleati imprescindibili come Stati Uniti e Germania, prova a far da sola. Non è un caso che proprio pochi giorni fa Mauro Moretti, numero uno di Finmeccanica che controlla AgustaWestland, abbia detto al Corriere della Sera che “bisogna muoversi all’interno del rapporto tra gli Stati e sostenere – oltre alle Pmi e agli investimenti stranieri – anche le grandi imprese nazionali”. Tradotto: senza l’aiuto del governo rischiamo di trovarci in mezzo, di essere più deboli dei nostri concorrenti. Ecco spiegati gli esiti delle gare in Polonia, della presenza in Turchia, e via così.

Oltre alle guerre di mercato ci sono anche quelle vere (ISIS, Siria, Ucraina) e le emergenze umanitarie, come l’immigrazione. Su questo piano le aziende che hanno puntato su elicotteri duali, aeromobili progettati sia per l’impiego militare che per quello civile, hanno visto lungo. Oppure le aziende che hanno linee produttive simili che sfornano mezzi civili e militari molto simili, al netto dell’armamento.

LO SPETTRO DEL BRENT A 45 DOLLARI AL BARILE

Ma se la geopolitica è un ingrediente essenziale dell’industria degli elicotteri, ne esiste uno altrettanto importante e imprevedibile. Un elemento che condiziona le scelte dei costruttori e che grava pesantemente sui conti delle aziende: il prezzo del petrolio.

Gli analisti che Helipress ha interpellato, tra Germania e Stati Uniti, prevedono che il clima attuale di incertezza duri ancora a lungo. Nessuno immagina davvero uno shock sui prezzi – si parla di 20 dollari al barile – come, provocatoriamente, ha ipotizzato Goldman Sachs.

Piuttosto si ragiona su un barile di Brent che sicuramente al di sotto dei 60 dollari, così almeno la vede il Wall Street Journal in un’analisi di pochi giorni fa. E addirittura alcune fonti hanno confermato a Helipress che non è irragionevole immaginare il barile a quota 45 dollari, come suggerisceGoldman Sachs. È chiaro che in ballo ci sono molti fattori, come l’ingresso di futuri nuovi produttori nel mercato globale del petrolio come l’Iran, la decisione dell’Arabia Saudita di lasciare invariata la produzione, il rallentamento dell’economia globale e l´indebolimento di quella cinese, le scorte immense di Stati Uniti e Cina, la speculazione sulle materie prime e sul petrolio che è in ribasso.

Una cosa è certa: se si tiene conto del crescente ruolo del gas e delle energie rinnovabili, il petrolio, la cui importanza rimarrà sul medio periodo ancora cruciale, potrebbe non essere la materia prima del futuro.

Con un “breakeven price” per la profittabilità dell’estrazione dello shale oil (il petrolio ricavato dai pori delle rocce impermeabili) fissato a minimo 60 dollari le compagnie petrolifere, hanno chiarito gli analisti interpellati da Helipress, “hanno bisogno di un prezzo che sia quanto meno decisamente sopra i 70 dollari al barile per continuare a lavorare con prospettive di profitto sul petrolio difficile da estrarre (lo shale oil, appunto) o per far fronte al naturale declino di giacimenti tradizionali con sempre nuove trivellazioni”.

L’estrazione dello shale oil soffre più direttamente del basso prezzo del petrolio, ma i produttori possono reagire in maniera più flessibile alla riduzione del prezzo. È una caratteristica che non si riscontra nel settore dell’estrazione Offshore, nel Mare del Nord e soprattutto nelle acque profonde (deep water oil), che soffre per la rigidità dei contratti, per l’infrastruttura e per gli effetti di un prezzo al barile stabilmente al di sotto del “breakeven price”.

Tutti fattori che possono essere difficilmente compensabili con una immediata riduzione della produzione e che si accompagnano ad una decisa perdita di profitto sul medio periodo.

Cosa vuol dire tutto questo per l’industria?

Significa che l’Oil and gas, come segmento, va probabilmente ripensato nel suo complesso. I grandi margini di profitto che si ottengono dalla vendita (ai lessor) di macchine grandi e costose come i Super Puma, gli S-92, l’H175 o l’AW189, dai grandi flussi di cassa generati dai più che remunerativi contratti di manutenzione “Power by the hour”, potrebbero avere i giorni contati.

AIRBUS HELICOPTERS: POLONIA, INDIA E STATI UNITI

Airbus Helicopters non ha certamente esultato per l’affare Sikorsky-Lockheed. Il costruttore franco tedesco, sempre più dominatore in America Latina (dove più di un elicottero su tre è marchiato Airbus, anzi Helibras) e protagonista in Cina, aveva grandi piani per il mercato statunitense: da domani si troverà a dover affrontare in casa sua un colosso consolidato, forte dell’acquisizione di un contractor governativo affermato (Sikorsky detiene il 65 per cento della spesa programmata dal Pentagono per gli elicotteri) e un competitor dall’indole notoriamente aggressiva anche sui mercati internazionali.

Lo scettro del segmento civile resterà tuttavia saldamente nelle mani della casa franco tedesca anche per i prossimi anni. Airbus copre oggi il 44 per cento delle quote globali, più del doppio rispetto a quelle di Bell (la seconda potenza del mercato degli elicotteri civili) e l’affare Lockheed-Sikorsky non produrrà effetti significativi per il mercato civile globale per molti anni.

A uscire ridimensionate dalla calda estate americana, casomai, saranno le mire di Airbus sul segmento Difesa.

Dopo la complessa e ancora travagliata operazione in Polonia, dove l’H225Mè stato selezionato – non senza un lungo strascico di polemiche – come futuro elicottero utility delle forze armate di Varsavia, Airbus guarda infatti con interesse all’India, altro mercato dal potenziale “brasiliano”.

Ma si tratta di progetti a lungo termine, non dell’Eldorado americano e del suo imminente rinnovo dello sterminato parco macchine militare.

Dalle tasche della Difesa americana, infatti, appena un dollaro su 100 sarà dedicato ai progetti di Airbus.

FINMECCANICA-AGUSTAWESTLAND E GLI ALTRI: QUALE FUTURO

Diverso il discorso AgustaWestland. La casa anglo italiana, oggi al terzo posto delle quote del mercato civile (16 per cento), è attualmente impegnata in una fase di transizione che ha visto, proprio nelle ultime ore (con il sì del cda di Finmeccanica alla riforma Moretti) la nascita di una maxi conglomerata formata da più divisioni caratterizzate da un’autonomia inferiore rispetto al passato.

L’ascesa di Lockheed nel comparto civile non preoccupa, vista anche la mole di ordini accumulati da AgustaWestland. Il backlog attuale della casa di Samarate ammonta a oltre 12 miliardi di euro: in altre parole, si tratta di altri tre anni di produzione garantiti, una cifra che comprende i nuovi ordini che nel 2014 hanno superato quota 4 miliardi di euro.

Anche in questo caso è il segmento degli elicotteri militari a stentare. Archiviato il mercato statunitense, ormai una chimera per la casa anglo italiana, restava aperta la porta fondamentale del bando da 3 miliardi in Polonia: le carte in regola c’erano, l’elicottero pure (l’AW149), ma la gara è andata comunque al rivale Airbus.

Leggi anche: perché l’AW149 non ha vinto in Polonia

Il rischio, per AgustaWestland, è di restare schiacciata sull’asse Italia-Regno Unito, mercati che non possono garantire da soli una crescita del comparto Difesa del costruttore.

La verità è che se l’acquisizione di Sikorsky darà una spinta importante al futuro del costruttore americano, l’affare con Lockheed non servirà a risolvere il problema principale dell’industria degli elicotteri: ci sono troppi costruttori e tre di loro sono basati negli States, il tutto in piena epoca di tagli alle spese militari.

Sikorsky si è messa al riparo sulle spalle del gigante, ora non resta che vedere cosa succederà a chi non l’ha ancora fatto.

Fonte:hwww.helipress.it/


1 Marzo 2014

La compagnia di bandiera australiana Qantas ha annunciato oggi il taglio di 5.000 posti di lavoro, su uno staff totale di circa 30 mila.

SYDNEY – La compagnia aerea ha pure  annunciato la riduzione di 50 aerei dalla flotta, denunciando una perdita pre-tasse di 252 milioni di dollari australiani (circa 164 milioni di euro) nel secondo trimestre del 2013.

Il Ceo Alan Joyce ha presentato un piano di taglio dei costi di due miliardi di dollari (1,3 miliardi di euro) nei prossimi tre anni, citando la durissima concorrenza sia nelle operazioni internazionali che domestiche.

La Qantas Domestic ha registrato un profitto di 57 milioni di dollari nel secondo semestre 2013, contro i 218 milioni dello stesso periodo dell’anno prima, mentre la perdita della divisione internazionale è salita a 262 milioni dai 91 milioni del secondo semestre 2012. Risultati definiti “inaccettabili”, tali da imporre misure “senza precedenti come portata e profondità”. Joyce ha citato la ‘distorsione’ del mercato da parte dell’agguerrita concorrente Virgin Australia, che ha accesso a massicce partecipazioni straniere (Air New Zealand, Singapore Airlines e Etihad, Ndr), che per la Qantas sono limitate per statuto al 49%.

La Qantas cerca ora di convincere il governo che merita sostegno finanziario, almeno a livello di garanzie, e chiede di allentare le regole che limitano le partecipazioni straniere. Una concessione che permetterebbe di trasferire all’estero posti di lavoro e di esternalizzare la manutenzione degli aerei.

Nei mesi scorsi sia Standard and Poor’s che Moody’s hanno ridotto il rating della Qantas sotto il grado di investimento e con prospettiva negativa. Il sindacato dei servizi Asu, che rappresenta il personale di prima linea e dei servizi ai clienti, sostiene che i dipendenti sono puniti per le cattive decisioni imprenditoriali prese dalla compagnia e promette di “difendere tutti e ciascuno dei posti di lavoro”.

ATS

Fonte:www.tio.ch/News


28 Settembre 2013

I dati sulla disoccupazione confermano una situazione sociale insostenibile.

Il tasso complessivo cresce in Italia di 1,2 punti annui e si attesta al 12,1%, pari alla media europea resa nota oggi dall’Eurostat, ma ancora piu’ allarmante risulta il tasso di disoccupazione giovanile che raggiunge quota 39,1%, oltre 15 punti sopra la media dell’eurozona (23,9%)”. E’ il commento della responsabile Politiche giovanili della Cgil Nazionale, Ilaria Lani, in merito ai dati diffusi oggi dall’Istat. Secondo la sindacalista ”i giovani italiani sono quindi tra i piu’ svantaggiati d’Europa e l’accesso al lavoro nel nostro paese sta diventando una chimera.

Cresce cosi’ anche tra i giovani lo scoraggiamento, l’inattivita’, il desiderio di fuga.

Come ampiamente dimostrato in questi anni non servono ulteriori interventi per deregolamentare il mercato del lavoro e aumentare la flessibilita’, gia’ la maggior parte dei giovani italiani sono precari, spesso intrappolati in una condizione priva di diritti e prospettive”. Allo stesso tempo, aggiunge Lani, ”per contrastare la disoccupazione giovanile non sono sufficienti piccoli aggiustamenti: occorre urgentemente una terapia d’urto, volta a creare lavoro, sbloccare gli investimenti, far ripartire l’economia”. Infine, ”l’Italia ha un tasso cosi’ alto di giovani disoccupati e inattivi anche perche’ investe molto meno degli altri paesi nei servizi pubblici all’impiego, ad esempio il 10% di quanto spende la Germania. A questo proposito – conclude la sindacalista della Cgil -, come ricordato dalla commissione Ue, e’ urgente realizzare il programma europeo ‘Garanzia per i Giovani’ (Youth Guarantee), puntando sul rilancio e il rafforzamento dei servizi pubblici all’impiego e sulle politiche di sostegno e attivazione dei giovani che finiscono il percorso di istruzione”.

Fonte:http://it.notizie.yahoo.com



L’Iresa unico tributo che non entra in vigore, proteste di Legambiente

“La crisi incombe ma la Regione decide di privarsi di circa 3,7 milioni di euro che potrebbero essere usati ogni anno per il benessere dei cittadini che vivono nei pressi degli scali lombardi, e tutto per fare un favore alle società che gestiscono gli aeroporti”. E’ questo il commento di Legambiente che oggi ha scritto ai consiglieri regionali e agli assessori all’ambiente e alle infrastrutture di Piazza Città d’Italia per chiedere di rivedere la delibera che sospende per quest’anno l’applicazione dell’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili (IRESA). Questa tassa, prevista dalla legge regionale 13/2011 “norme in materia di inquinamento acustico” non è mai entrata in vigore rendendo cosi inapplicata la direttiva europea che prevede la mappatura delle aree più rumorose limitrofe ai sedimi aeroportuali e il finanziamento di interventi di mitigazione (doppi vetri per scuole, ospedali, abitazioni ed impianti di climatizzazione) per le popolazioni più esposte all’inquinamento acustico. La tassa di scopo, prevista a carico delle compagnie aeree, dovrebbe trasformarsi in interventi concreti di isolamento termoacustico di residenze e edifici pubblici, fornendo un apprezzabile contributo alle imprese locali attive nel settore delle ristrutturazioni edili, limitando così l’impatto sul territorio del traffico aereo degli scali lombardi: per il 2012, le fonti di rumore sono state quelle di 174.000 decolli a Malpensa, 120.000 a Linate, 74.000 a Orio al Serio e circa 9.000 a Montichiari.
“Per questi motivi abbiamo scritto ai consiglieri e agli assessori regionali per chiedere di mantenere l’entrata in vigore della tassa sul rumore, assicurando il vincolo integrale di destinazione delle risorse per gli interventi di mitigazione acustica nei pressi degli aeroporti – dichiarano Damiano Di Simine, presidente Legambiente Lombardia e Dario Balotta, responsabile Trasporti Legambiente Lombardia – Questa tassa di scopo, prevista a carico delle compagnie aeree operanti in Lombardia, porterebbe in cassa soldi che potrebbero essere immediatamente usati per colmare il grave ritardo degli interventi di mitigazione ambientale e le gravi problematiche connesse alle aree circostanti degli scali lombardi, portando benefici a oltre 2-300 famiglie l’anno. Siamo convinti che, sul modello di quanto avviene negli scali del nord-Europa, la competitività degli scali passi anche attraverso l’accettazione sociale che deriva dalla riduzione degli impatti imposti alle popolazioni, aspetto decisamente trascurato nella gestione aeroportuale in Lombardia”.


La crisi è crisi! Anche gli Stati Uniti, come tutti, debbono combattere la crisi finanziaria, trovando il modo di risparmiare. Questa volta a pagarne le conseguenze è l‘Aeronautica costretta a tenere a terra un terzo degli aerei da combattimento per far fronte ai tagli del budget della Difesa.

Questo toccherà non solo alle unità dislocate negli Stati Uniti, ma anche in Europa e nel Pacifico.

Il Generale Mike Hostage ha precisato che gli aerei saranno posti a terra a rotazione per concentrasi sulle missioni in corso e che, inoltre, “l’attuale situazione significa che stiamo accettando il rischio che la forza aerea non sia pronta a rispondere con immediatezza in caso di necessità”.

Da parte sua anche la Marina ha fatto sapere che i tagli costringeranno a fermare per tutto l’anno la pattuglia acrobatica “Blue Angels”.

Il budget dell’Aeronautica Statunitense è stato ridotto di 591 milioni di dollari, pari a 450 milioni di Euro circa.

I tagli, entrati in vigore dopo che i Democratici ed i Repubblicani non sono riusciti a mettersi d’accordo sulla programmazione della spending review e sulla riduzione del deficit, fanno parte di una serie di misure di riduzione i cui effetti sono cominciati a partire dal 1° marzo. I tagli, pari a circa 85 miliardi di dollari, sono stati divisi tra i programmi militari e quelli interni.

Il Pentagono aveva già annunciato che 46 mila impiegati sarebbero stati sospesi o licenziati a causa della riduzione del budget.

L’Aeronautica ha comunicato che questa situazione si rifletterà sulle operazioni del Comando Aereo e sui programmi di manutenzione. La carenza di fondi ha già costretto la Forza Armata a ridurre circa 45 mila ore di volo per addestramento. Alcune unità saranno messe a terra al termine del loro attuale impiego fuori area, ma già la prima unità è stata messa a terra da oggi.

Un portavoce dell’Aeronautica ha fatto sapere che le unità si concentreranno sull’addestramento in bianco a terra per mantenere le capacità basiche e la conoscenza dell’aereo. A detta del Generale Philip Breedlove, Comandante dell’Aeronautica USA, le uniche eccezioni saranno fatte per le unità impiegate in Afghanistan e quelle destinate al Nord Africa, tra cui il Mali.

di Vito Di Ventura

Fonte:www.italnews.info


14 Febbraio 2013

SASSARI.  La Sardegna vive una crisi economica e occupazionale senza precedenti e nemmeno il turismo, comparto che dovrebbe essere trainante per una regione con una storia millenaria e bellezze naturalistiche senza eguali, riesce a decollare. L’insularità obbliga coloro i quali vogliono visitarla a raggiungerla o via mare, con costi e tempi ormai anacronistici, o per via aerea. “Sardegna in volo”, il weblog che da anni monitora il mercato aeronautico sardo, in occasione dell’apertura della Borsa Internazionale del Turismo che si svolge a Milano dal 14 al 17 febbraio, ha voluto dare il proprio contributo alla discussione sulle strategie da adottare per permettere al sistema dell’ospitalità di diventare il volano della crescita economica del territorio.
 
E lo ha fatto con la redazione del suo primo rapporto annuale sullo stato del trasporto aereo in Sardegna nel quale vengono analizzati i volumi di traffico dei passeggeri in arrivo e in partenza dall’isola, lo stato dei principali aeroporti, le compagnie che collegano le città sarde con il resto del mondo e gli strumenti adottati dalle Istituzioni per favorire la mobilità aerea dei nati e residenti in Sardegna e di coloro i quali la raggiungono per lavoro o per svago. Dall’analisi dei dati emerge che negli ultimi anni, grazie all’arrivo delle compagnie low cost (Ryanair, EasyJet e Volotea), il numero dei passeggeri trasportati da e per le destinazioni nazionali e internazionali è cresciuto in tutti gli aeroporti sardi. A Cagliari si è registrato un vero e proprio boom di traffico: dai poco più di due milioni di transiti/anno del 2000 si è arrivati agli oltre 3,5 milioni del 2012 (da notare il +523% su base decennale per i trasferimenti internazionali). Buoni risultati anche quelli registrati dall’aeroporto di Alghero: grazie all’inserimento dello scalo tra quelli serviti dalla continuità t-erritoriale e l’apertura della seconda base sarda di Ryanair (nel 2008, dopo quella di Elmas), i passeggeri sono più che raddoppiati: 1,5 milioni nel 2012 contro i 650mila del 2000.  Discorso più complesso, invece, quello relativo allo scalo di Olbia: rispetto agli altri è quello che più risente della stagionalità, alternando un’intensa attività nei mesi da giugno a settembre a una sorta di stallo in tutto il resto dell’anno. Nello specifico, il numero di passeggeri provenienti o diretti verso destinazioni domestiche è rimasto sostanzialmente stabile (nell’ordine di 1,1-1,2 milioni di transiti/anno) mentre quello degli internazionali è cresciuto fino a raggiungere le 700mila unità (da notare infine che il 90% dei voli da e verso l’estero è concentrato durante l’estate).

“I dati forniti dall’Enac (Ente Nazionale Aviazione Civile) mostrano in maniera chiara la patologia di cui soffre il sistema turistico sardo – spiega Giuseppe Bassi, fondatore di Sardegna In Volo e redattore del Rapporto -. I viaggiatori affollano il territorio isolano solo nei mesi estivi mentre, per mancanza di collegamenti e per un vuoto di programmazione strutturale, durante tutto l’anno si assiste a un calo vertiginoso delle presenze. Per cercare di invertire la tendenza serve il lavoro congiunto delle Istituzioni e degli enti preposti: la Regione Sardegna ha il compito non facile di scrivere un nuovo bando di Continuità Territoriale che garantisca però anche la libera concorrenza tra tutte le compagnie aeree; le società di gestione aeroportuale devono cercare di attrarre sempre più vettori e stimolare l’attivazione di nuove rotte; e i Comuni e le Province dovrebbero fare rete ed elaborare proposte turistiche lungo tutto l’arco dell’anno”.

Fonte:www.sassarinotizie.com


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