spazio

12 Ottobre 2016

Prima la Luna e gli asteroidi…

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Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha annunciato che entro il 2030 l’America porterà l’uomo su Marte, per una missione di andata e ritorno. Nonostante sia il prossimo, grande, obiettivo dell’esplorazione spaziale, e il secondo pianeta più vicino a noi, raggiungerlo non è un gioco da ragazzi. La minima distanza dalla Terra è di oltre 50 milioni di chilometri. Le finestre di lancio si ‘aprono’ ogni due anni (sia per andare che per tornare), quando si trova più vicino a noi ed è quindi più conveniente partire. L’attuale tecnologia permette di arrivarci in circa sei mesi. Un tempo accettabile per un viaggio umano, anche se le conseguenze della lunga permanenza nello spazio (radiazioni ed effetti dell’assenza di peso sul corpo) restano ancora un’incognita.

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La Luna, il “piccolo passo”. Non è escluso che sia la Luna la prima tappa del viaggio. Una ‘colonia’ nell’orbita cis-lunare o addirittura sulla superficie del nostro satellite naturale consentirebbe di sviluppare e testare le tecnologie necessarie (sia riguardo al trasporto che alla sopravvivenza) per poter fare il “grande salto” verso il pianeta rosso

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Tappa sull’asteroide. Nella road map della Nasa un altro passo ritenuto fondamentale per la tecnologia da utilizzare nell’esplorazione planetaria riguarda gli asteroidi. La missione Osiris-Rex è decollata l’8 settembre 2016 in direzione di Bennu, dal quale preleverà un campione per riportarlo a Terra. Più complessa l’avventura di Arm (Asteroid redirect mission) prevista per il 2021, il cui obiettivo sarà trasportare un pezzo di asteroide fino all’orbita lunare.

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Il razzo più potente mai costruito. Si chiama Space launch system (Sls), il nuovo sistema di trasporto che, nei piani della Nasa, dovrà trasportare gli astronauti oltre l’orbita terrestre fino a Marte. I test sul vettore e sulla capsula Orion vanno avanti da qualche anno. Il lancio inaugurale (che porterà in orbita alcuni microsatelliti) è previsto per il 2018. Sulla sommità sarà sistemata la capsula Orion, anch’essa in fase di test in questi mesi, che ospiterà quattro astronauti.

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Colonie marziane. La Nasa sta da tempo studiando e sviluppando le tecnologie necessarie per arrivare sul pianeta rosso e valutando idee per la costruzione di una colonia stabile sulla superficie che consenta la permanenza degli astronauti, pionieri del “nuovo mondo”. Dal 2014 ha dato vita a una ‘venture’ composta dai principali contractor e agenzie private: Bigelow Aerospace, Boeing, Lockheed Martin, Orbital ATK, Sierra Nevada Corporation’s Space Systems, NanoRacks. L’obiettivo è indagare le soluzioni migliori, soprattutto sfruttando le materie prime del suolo in loco, per realizzare strutture abitative che garantiscano la sopravvivenza per almeno due anni.

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SpaceX in dieci anni. Il magnate Elon Musk ha di recente annunciato che con la sua SpaceX è pronto a portare l’uomo su Marte “entro dieci anni”. Anche Musk ha riconosciuto che le agenzie spaziali dovranno avere un ruolo in questa nuova “corsa allo spazio” ma, a differenza dei propositi della Nasa, il fondatore di Tesla ha dichiarato che i primi pionieri devono essere “disposti a morire” nell’impresa.

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Mars One, viaggio di sola andata. Il progetto, avviato nel 2011 dagli olandesi Bas Lansdorp e Arno Wielders ndr, promette di creare una colonia su Marte dal 2023. Lo scopo è quello di creare una colonia stabile, che non prevede il ritorno degli esploratori.

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Europei su Marte. Anche l’Esa ha un suo programma per portare l’uomo su Marte. Il primo capitolo si sta aprendo in questi giorni, con l’arrivo di Exomars in orbita attorno al pianeta rosso e del suo Lander Schiaparelli, che scenderà sulla superficie. Exomars fa parte del programma Aurora, come quello della Nasa, ha in agenda lo sbarco su Marte nel 2030 con una tappa, prima, sulla Luna.

 

 

Fonte: www.repubblica.it/


27 Novembre 2015

Scott Kelly, astronauta presente sulla Iss, ha scattato delle foto molto particolari nelle quali molti ufologi di tutto il mondo hanno identificato un disco volante ma purtroppo era solamente Topo Gigio.

Spazio, Topo Gigio scambiato per un disco volante

Topo Gigio è quello che gli ufologi sostengono di aver visto riflesso nello spazio. Un Ufo,invece, è quello che altri ritengono si nasconda nell’immagine scattata da Scott Kelly, l’astronauta della Nasa di stanza ormai da sette mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Lo strano oggetto è stato fotografato dall’astronauta mentre la Iss sorvolava la penisola indiana alla velocità di 28.800 km/h. E definisce particolari che coinciderebbero con il più classico degli stereotipi legati ai dischi volanti.Tuttavia, a ben guardare, non sembra proprio un oggetto non identificato quello immortalato da Kelly. Come nemmeno sembra celarsi la silhouette del  famoso Topo Gigio, l’indimenticabile pupazzetto che molte generazioni hanno conosciuto e con il quale sono cresciute. Infatti, vagliando minuziosamente la foto, ci vuole molta fantasia. Che gli ufologi nostrani abbiano preso un abbaglio?

Probabilmente, tale scherzo si deve ad un gioco di luci e riflessi del Sole proiettati dall’apparecchiatura fotografica che, al momento dello scatto, era al buio. Non è la prima volta che accade. Già altre immagini, infatti, avevano sortito tale effetto. In diverse occasioni, la sezione del modulo Columbus, uno dei tanti che compongono la Iss, è stata riflessa dai raggi solari dando luogo a giochi di luci e forme che spesso hanno stuzzicato la fantasia di molti.

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Ovviamente, al popolo italico ricondurre il tutto a Topo Gigio sembra alquanto scontato. Sebbene bizzarro. Ovviamente, gli esperti d’oltreoceano non conoscono il nostro topo parlante. Quindi, a ragione, possiamo affermare che ognuno, nell’immagine di Kelly, vi ha visto quello ha voluto vederci. Sebbene, rassicurano gli scienziati, nessun Ufo è comparso nei pressi della stazione orbitante..

Ma ci teniamo a precisare che la fonte, ovvero il simpatico e autorevolissimo astronauta americano Scott Kelly, nell’immortalare la scena proprio non aveva in mente la valanga di supposizioni cui avrebbe dato adito. Anche perchè impegnato in una missione decisamente molto interessante. Al suo settimo mese di permanenza sulla Iss, dicevamo, l’astronauta della Nasa vi rimarrà per un periodo totale di circa un anno. Sotto osservazione, infatti, è quello che la comunità scientifica definisce paradosso dei gemelli. Si tratta di un paradosso ipotizzato da Einstein secondo il quale, nel corso di un viaggio spaziale alla velocità della luce, il gemello in orbita e l’altro sulla Terra, “assorbono” il trascorrere del tempo in modo diverso. Quest’ultimo “invecchia” più in fretta. Una straordinarietà cui anche il mondo cinematografico si è rivolto. Basti pensare alla trama di film campioni d’incassi come Interstellar.

Fonti: www.tecnoandroid.it/ & Il Messaggero


19 Maggio 2015

di Alessandro Giuliani

“Una telefonata salva la vita”. Chi non ricorda lo spot pubblicitario che qualche tempo fa imperversava sui canali televisivi?E invece, oggi verrebbe da dire che usare il telefono – o meglio, il “telefonino” – non è sempre provvidenziale. Al contrario: accendere un cellulare in aereo può rivelarsi tanto pericoloso da causare una tragedia. L’emissione delle onde elettromagnetiche provenienti dai telefonini portatili può creare interferenze alle apparecchiature di bordo, sino a provocare alterazioni di rotta di un aereo in volo.

Gli esempi non mancano: lo scorso anno l’Alitalia ha reso noto che durante una trasvolata sull’Atlantico la pompa di travisamento del carburante era stata bloccata da un passeggero che aveva troppa fretta di comunicare l’ora di atterraggio ai familiari con il suo telefonino. E dall’inizio del ‘98 sono scattate già diverse denunce contro i passeggeri che disobbediscono alle disposizioni.

Il fenomeno non è solo italiano. Nel ‘95, dicono alla Civil Aviation Authority americana, la bussola del computer di bordo di un jumbo andò in tilt: il 747 fece un’imprevista virata, poi rimase in bilico con un’ala impennata per alcuni interminabili secondi. La colpa? L’autopilota aveva ricevuto dei dati errati a causa di una videocamera, accesa da un turista per filmare il panorama. A distanza di pochi giorni, un episodio analogo fu causato dall’accensione di due laptop.

Ma perché una telefonata in aereo può essere così pericolosa? Il motivo delle interferenze ad alta quota va cercato nella concentrazione di svariate componenti elettroniche nel ristretto spazio di un aereo. I segnali irradiati dalle stazioni radio creano dei campi elettromagnetici che compromettono la funzionalità dei computer di guida dell’aereo. “Ma le interferenze non provengono solo dai cellulari”, spiega Bruno Audone, ingegnere ed esperto di elettromagnetismo in ambiente aerospaziale all’Alenia Difesa di Torino. “Quello delle onde elettromagnetiche è un fenomeno che dipende anche da altri apparecchi privati digitali, come computer portatili e videocamere, e da parametri casuali. E questo la rende un’area difficile da dominare”.

A studiare il fenomeno dei disturbi sulle apparecchiature di bordo sono gli ingegneri specializzati in “compatibilità elettromagnetica”. Le loro ricerche, svolte nei laboratori di prova aerospaziale, cercano di ridurre le interferenze direttamente sulla fonte. L’obiettivo è creare dei dispositivi di protezione (in genere filtri a radio frequenza) inseriti direttamente all’interno dei telefoni senza fili. La sperimentazione, già in atto da alcuni anni, è però frenata dai disturbi provocati alle prestazioni della comunicazione: in poche parole, la qualità della conversazione o della ripresa filmata da questi apparecchi risulta scadente.

“L’unica soluzione per risolvere il problema – spiega ancora Audone – sta allora nell’imporre alle case costruttrici degli aerei l’uso di materiali non vulnerabili alle onde elettromagnetiche. E non ci sono alternative, visto che i disturbi sono causati anche da piccolissime protesi elettroniche come i pace-maker. Tuttavia, il fatto che il fenomeno sia casuale e tutt’altro che ripetitivo rende più difficile la ricerca: a terra, per esempio, non è possibile riprodurre la stessa situazione di disattivazione delle apparecchiature di bordo”.

E così l’onda elettromagnetica in alta quota si avvia a diventare l’ennesimo business. Alcune aziende hanno già fiutato l’affare, e hanno lanciato sul mercato uno strumento, da applicare direttamente sul cellulare, in grado di minimizzare l’emissione elettromagnetica: grazie alla sua capacità di attenuare qualsiasi tipo di radiofrequenza, questo apparecchio sarebbe in grado di ridurre di oltre il 90 per cento le interferenze alle apparecchiature di qualsiasi velivolo. Recentemente l’Alitalia ha incaricato un’azienda di trovare un sistema di “spie” in grado di individuare la poltrona del passeggero che ha acceso il cellulare.

Mentre nei laboratori proseguono le ricerche, anche la Comunità Europea si è accorta del problema. E ha emanato una direttiva, la 89/336/CEE, che disciplina la materia dal 1 gennaio del ‘96. Secondo la normativa, un apparecchio elettromagnetico deve essere progettato “in modo soddisfacente e senza produrre a sua volta perturbazioni elettromagnetiche inaccettabili per tutto ciò che viene interessato nel campo”. In Italia l’invito è stato recepito con il Decreto Legge del 12 novembre del ‘96. Ma i passeggeri indisciplinati non accennano a diminuire.

 



Le acque dei laghi di Bracciano, Vico e Martignano

Aurora Boreale sulla città

Cielo sereno sopra Melbourne

La ” Grande Mela ” non dorme mai…

Le ipnotiche sfumature di blu del Mar dei Caraibi.

VEDI LE ALTRE FOTO SU

http://www.agi.it/gallerie-fotografiche/dallo-spazio-emozioni-cosmiche/le-acque-dei-laghi-di-bracciano-vico-e-martignano

Fonte:www.agi.it



L’astronauta ha raggiunto la stazione orbitante. Ecco il nostro racconto del lancio dal Kazakistan.

E adesso vola davvero. Il sorriso raggiante di Luca Parmitano in completa assenza di gravità appena entrato nella Stazione Spaziale Internazionale è l’immagine della scoperta spaziale dell’era moderna che vede l’Italia recitare il ruolo di protagonista. L’astronauta italiano dalla Iss ha rivolto il primo pensiero alla mamma per poi salutare la moglie Kathryn, statunitense conosciuta da studente, e le sue due bambine, Sara e Maia di 6 e 3 anni.

Il viaggio dalla terra, partito dal mitico cosmodromo di Bajkonur in Kazakistan, fino allo spazio, per Parmitano e i suoi compagni di viaggio, il russo Fyodor Yurchikhin e l’americana Karen Nyberg è durato sei ore a 28.000 chilometri orari.

Sentito, quasi commovente, l’abbraccio dei tre nuovi giunti con l’equipaggio che era già presente in orbita, i cosmonauti russi Pavel Vinogradov ed Aleksandr Misurkin e l’americano Christopher Cassidy. Sarà proprio assieme all’astronauta statunitense che il 37enne pilota dell’Aeronautica Militare originario di Paternò in Sicilia effettuerà le due passeggiate spaziali. Cassidy, ‘veterano’ delle attività extraveicolari, qualche settimana fa era uscito dalla stazione per riparare una fuoriuscita di ammoniaca.

La vigilia della missione 37 denominata ‘Volare’, per ricordare Domenico Modugno e che durerà 166 giorni, è stata un susseguirsi di emozioni sia per l’equipaggio che per colori hanno seguito il lancio dalla torrida steppa kazaka. Bajkonur è una città chiusa, viene ‘aperta’ solo in occasione dei lanci, la base lo è ancor di più. All’interno dell’immensa base sono custoditi molti segreti. Non servono passaporti, non servono pass o rubli, non serve essere della Nasa, serve solo essere nella lista speciale firmata dal presidente della Roscosmos, l’agenzia spaziale russa. Assolutamente off-limits entrare nelle zone di assemblaggio delle navicelle spaziali Soyuz o altri razzi. Per seguire il lancio delle 2,31 della notte, l’ingresso alla base non era permesso prima delle 22 quando ormai era notte e le installazioni militari non potevano essere viste.

Il viaggio nel cosmodromo, mentre Parmitano e compagni erano ormai dentro la capsula per le ultime verifiche, inizia dal fantastico museo spaziale. Emozionante vedere tutta l’evoluzione delle attrezzature e scafandri, le fotografie dell’epoca ma soprattutto quel pannello con ben visibile in alto la firma di Luca apposta solo pochi giorni fa. Il viaggio nella storia si sposta poi nelle due casette che nell’aprile del 1961 ospitarono Yuri Gagarin (primo uomo ad andare nello spazio) e Sergey Korolev, il famoso ingegnere sovietico. Il tempo passa, l’adrenalina sale ma della rampa di lancio dove Parmitano, Yurchikhin e Nyberg sono ormai con il volto all’insù, rivolto allo spazio, nessuna traccia. Improvvisamente ci fanno salire sul pulmino. E’ ormai mezzanotte passata, bisogna fare in fretta.

Qualche chilometro scortati da polizia e militari ed ecco che ci scaricano su un piazzale. In lontananza alcune antenne ed ecco ben visibile il castello che avvolge la Soyuz. La navicella fuma, Parmitano e colleghi sono ormai in contatto radio con il centro spaziale della Nasa a Houston.

I duecento presenti (di italiani solo i genitori, la famiglia, due amici di Luca e l’addetto militare dell’ambasciata italiana ad Astana) sistemano le telecamere, i treppiedi per trovare l’angolazione migliore e non far ballare la macchina fotografica. I minuti trascorrono e in rampa tutto tace. La notte s’infiamma quanto s’accendono i motori. Prima uno, poi l’altro, poi tutti, poi un’immensa nuvola di fumo bianco. Il tuono, il rosso del fuoco che illumina l’ambiente. Il lift off è preciso al secondo. La Soyuz TMA-09M si alza da terra, dopo circa venti secondi è già lontana. Luca Parmitano è partito per lo spazio e noi con lui.

Fonte:http://altoadige.gelocal.it



ROMA – Il quadretto “Casa dolce casa” lo potrà appendere subito a destra nell’ingresso. Davanti alla porta, invece, niente zerbino: volerebbe via, perché il maxicamper in cui andrà ad abitare e lavorare Luca Parmitano viaggia a 28mila chilometri orari. Sembra un film montato alla rovescia, ma il sesto astronauta tricolore decollerà da Baikonur (Kazakistan) il 28 maggio su una Soyuz russa per attraccare sei ore dopo alla Stazione spaziale internazionale e ritrovarsi così esattamente in Italia.

Ormai più della metà dei moduli abitativi pressurizzati del laboratorio è “made in Italy” dalla progettazione alla costruzione?
«Sì – racconta il pilota siciliano al telefono da Star City a Mosca, in sottofondo le vocine allegre delle figlie Maia e Sara, 3 e 6 anni – Mi ritroverò in orbita circondato da tecnologia italiana, segno che il nostro settore della ricerca e dell’industria e il coordinamento dell’Agenzia spaziale italiana hanno sempre più crediti nel ristretto club dei paesi che si occupano di spazio. Il ruolo dell’Italia, evidente anche nell’ideazione degli esperimenti, è importante sia nella realizzazione dall’A alla Z di parti della stazione, sia quale paese guida di molti progetti dell’Agenzia spaziale europea, ad esempio la Cupola, il luogo più spettacolare dell’Iss».

Già, è la bow window con la più grande finestra (80 cm di diametro) finora mai costruita per lo spazio: il posto migliore per godersi le 16 albe e i 16 tramonti riservati ogni 24 ore ai pur indaffaratissimi inquilini della stazione vasta come un campo di rugby. Poco il tempo libero dunque nei 180 giorni della missione?
«Pochissimo. La nostra giornata è molto piena: ci sono da seguire oltre 150 esperimenti scientifici, c’è da curare e sviluppare la parte tecnologica della stazione e infine ci sono compiti legati ai futuri scenari esplorativi che già adesso creano i presupposti per raggiungere nei prossimi anni altri pianeti».

Il tempo per un paio di passeggiate, però, lo troverà.
«Sì, sposterò radiatori, sistemerò telecamere, recupererò moduli per esperimenti piazzati all’esterno della stazione».
Ma tutte queste faccende non cancelleranno mica l’emozione di galleggiare nello spazio protetto solo dalla tuta? Non era mai capitato a un italiano e non per niente la sua missione si chiama “Volare”.
«Macché, ci mancherebbe, non vedo l’ora: per chi, come me, ama da sempre staccare l’ombra da terra, sembra già il massimo decollare per lo spazio, poi mi è capitato il privilegio delle “passeggiate”. Vi racconterò che cosa vuol dire muoversi “in libertà” nello spazio dopo averlo sognato fin da bambino e dopo essermi fatto tante volte la domanda “chi c’è a guardarci da così in alto?”».

Ha detto privilegio?
«Sì, e aggiungo anche responsabilità. In queste missioni si rappresenta la propria nazione e migliaia di persone che lavorano nelle aziende e nelle università. Quindi ci si allena per anni, ci si fa centrifugare, si passano giorni in piscina con la tuta e sempre con il massimo impegno per rispettare le aspettative e far fruttare gli investimenti. E poi noi astronauti abbiamo anche un compito educativo…».

In cattedra nello spazio?

«Nei tanti incontri con gli studenti organizzati dall’Asi si scopre che dietro al fascino dello spazio, dietro alla domanda “Come si diventa astronauti?” c’è in realtà il nostro futuro. Ai ragazzi tento di dimostrare che la passione per lo studio, per un’impresa, è la chiave per la riuscita della propria esistenza e con la possibilità di aiutare il progresso».

A costo di enormi investimenti.

«Che daranno enormi risultati. Che cosa si aspetta chi pianta il seme di una quercia? Con queste missioni contribuiamo a costruire un futuro migliore e non solo perché con il lavoro di oggi qualcuno domani potrà andare su Marte. Grazie agli esperimenti sulla Stazione spaziale si stanno raccogliendo importanti risultati ad esempio per la medicina, vedi le cure per l’osteoporosi, dato che in assenza di peso le ossa si indeboliscono. E poi si lavora per migliorare la lotta all’inquinamento, per scoprire nuovi carburanti ecologici con test che possono essere eseguiti solo in assenza di gravità. Per i frutti di tanti di questi esperimenti sarà necessario attendere anni, forse decenni, ma è questo il modo di procedere della ricerca che non si può fermare».

Nemmeno un po’ di paura? Lei è sposato e ha due figlie.
«Con la paura si impara a convivere già per diventare pilota militare. E si impara anche a condividere questa esperienze con la famiglia. Le mie figlie fanno un sacco di domande, è meravigliosa la loro curiosità».

Sull’Iss ci sono i doppi servizi, ma non la doccia; il menu, nonostante la location, non vale nemmeno una stella, per non dire dei rifiuti liquidi che vengono riciclati e riusati come acqua potabile.
«Ci si abitua, ci si abitua. E poi là troverò anche una chitarra».

Giusto, abbiamo visto e sentito il suo collega Chris Hadfield cantare Space Oddity con cosmici commenti di David Bowie.
«Chris è bravissimo, io replicherò con Dalla, Battisti e i Litfiba. Suonare la chitarra mi ha aiutato parecchio durante le fasi più dure dell’addestramento».
Allora aspettiamo “Futura” di Lucio Dalla: da lassù non sarebbe male.

CHI E’ LUCA PARMITANO
E’ nato 36 anni fa a Paternò, è sposato con Kathy e ha due figlie di 3 e 6 anni. Si è diplomato al liceo scientifico Galilei di Catania e si è laureato in Scienze Politiche a Napoli frequentando al tempo stesso l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli. Nell’Arma azzurra ha raggiunto il grado di maggiore e conta oltre 2.000 ore di volo con abilitazione al pilotaggio di 20 modelli tra aerei ed elicotteri. Fa parte degli astronauti dell’Agenzia spaziale europea dal 2009.
LA STAZIONE ISS
La Stazione spaziale internazionale (Iss) è vasta come un campo di rugby, pesa 500 tonnellate ed è in orbita, con il suo nucleo primario, dal 1998. Dal 2000 è abitata senza soste (fino a 8 astronauti) e l’anno prossimo dovrebbe essere completata per restare in esercizio fino al 2028. Visibile a occhio nudo dalla Terra, viaggia a una velocità media di quasi 28mila chilometri orari ad un’altezza che varia tra i 278 e il 460 chilometri. Compie 16 volte al giorno un’orbita completa. Alla realizzazione e al funzionamento del grande laboratorio di ricerca scientifica contribuiscono Nasa (Usa), Rka (Russia), Esa (Europa, ovvero Italia, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera), Jaxa (Giappone) e Csa (Canada). I costi stimati dell’Iss sono di circa 100 miliardi di euro nei 30 anni di attività.

GLI ASTRONAUTI ITALIANI
Il primo astronauta italiano è stato Franco Malerba il 31 luglio 1992. Poi toccò a Umberto Guidoni, Maurizio Cheli, Paolo Nespoli e Roberto Vittori. E dopo Luca Parmitano sarà la volta, l’anno prossimo, di Samantha Cristoforetti, la prima astronauta tricolore. Parmitano diventerà inoltre il primo astronauta italiano ad aver compiuto una passeggiata nello spazio e a restare per sei mesi in orbita.

Fonte:www.ilmessaggero.it



ROMA – Nella costellazione della Lira, a duemila anni luce dalla Terra, ci sono ben due sosia del nostro pianeta e potrebbero ospitare acqua liquida. Sono i pianeti più simili alla Terra mai scoperti e i primi di queste dimensioni trovati nella cosiddetta zona abitabile, dove la distanza dalla stella rende possibile la presenza di acqua liquida e il formarsi della vita. La scoperta, annunciata sulla rivista Science, si basa sui dati del telescopio spaziale Kepler deve al gruppo guidato dall’americano William Borucki, del centro di ricerche Ames della Nasa.
«Il risultato mostra che i pianeti simili alla Terra esistono e che vale la pena continuare a condurre questo tipo di ricerche», commenta l’astronomo Raffaele Gratton, dell’Osservatorio di Padova dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Scopo ultimo di queste ricerche, prosegue Gratton, è capire se ci sono probabilità che questi sistemi ospitino la vita e magari trovarne le testimonianze.

I due pianeti sosia della Terra sono i più esterni di un sistema di cinque mondi extrasolari nato intorno alla stella Kepler-62, che somiglia al Sole e dista fra 2.000 e 3.000 anni luce da noi. Chiamati Kepler-62e e Kepler-62f, hanno raggi rispettivamente pari a 1,61 e 1,41 volte il raggio della Terra. Gli altri tre pianeti dello stesso sistema solare hanno raggi pari a 0,54, 1,31 e 1,95 raggi terrestri, ma sono troppo vicini alla loro stella per avere acqua.

Tutti sono stati scoperti grazie alla tecnica dei transiti, che analizza le fluttuazioni nella luminosità di una stella nel momento in cui un pianeta le passa davanti, eclissandola parzialmente. I due pianeti ricevono dalla stella un flusso di luce simile a quello che Venere e Marte ricevono dal Sole e questo lascia supporre che possano ospitare un’atmosfera e acqua liquida. Basandosi su simulazioni, i ricercatori suggeriscono che entrambi i pianeti potrebbero essere solidi, con una composizione rocciosa o ghiacciata. «Un pianeta roccioso avvolto da un’atmosfera e con fiumi e mari sulla sue superficie sarebbe un Santo Graal per la planetologia extrasolare», scrive Science commentando la scoperta.

Sulla base delle dimensioni e della distanza dalla stella, i ricercatori calcolano che i due pianeti potrebbero avere un’atmosfera con azoto, anidride carbonica e acqua. Ma non è possibile avere dati più precisi su pianeti così lontani. Potremmo quindi solo continuare a immaginare che a circa 3.000 anni luce da noi esistono due fratelli della Terra con atmosfera e acqua.

Fonte:www.ilmessaggero.it



Universo

La prima luce del cosmo. Un vagito luminoso dopo il quale l’universo ha cominciato a muoversi, formarsi, differenziarsi.

Accadeva quasi 14 miliardi di anni fa, 13,8 per l’esattezza. Grazie alle prime informazioni che ci ha restituito il telescopio spaziale Planck dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), l’universo è stato fotografato ai suoi albori.

Non si tratta delle prime “foto” che immortalano l’origine del cosmo, ma ad oggi sono le più accurate e precise mai prodotte e al progetto partecipa anche l’Italia, con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).

Grazie a queste mappe cosmologiche, risultato di una perlustrazione dell’intero cielo, è stato possibile arrivare a nuove conclusioni e porre nuovi interrogativi.

Si è scoperto, ad esempio, che la materia oscura, della quale ancora oggi non si conosce quasi nulla, è più di quella che si riteneva presente nell’universo e rappresenta circa il 26,8 per cento degli elementi che lo compongono.

Oppure che il cosmo si è espanso più lentamente di quanto gli astrofisici avevano ipotizzato finora con la costante di Hubble; da questo ne deriva che lo spazio è un po’ più vecchio di quel che si credeva: ha un milione di anni in più.

“Abbiamo fotografato una sinfonia cosmica”, racconta entusiasta alla presentazione ufficiale dei dati a Parigi, Marco Bersanelli, professore associato dell’Inaf. “Il lavoro del telescopio Planck, che si trova ora a 1500 milioni di chilometri dalla terra, è stato quello di registrare oscillazioni che avvenivano nell’universo primordiale quando l’età dell’universo era lo 0,003 per cento dell’età attuale. In quel momento la materia cominciava a organizzarsi”.

“Dove c’era una densità più alta della media – prosegue Bersanelli – veniva attratta più materia che a quel punto rimbalzava producendo delle oscillazioni acustiche: un suono cosmico dal cui spettro abbiamo ricavato le proprietà di quel mezzo primordiale da cui è nato l’universo che abitiamo”, conclude il professore.

In quella luce fossile primigenia (in gergo tecnico si chiama radiazione cosmica di fondo) risalente a quando l’universo aveva appena 380 mila anni, si possono infatti rintracciare tutti gli elementi in nuce che compongono le strutture osservabili oggi, dalle galassie alle stelle.

Venti anni di preparazione e tre di osservazione per questo telescopio lanciato nello spazio nel maggio del 2009 dalla base di Kourou, in America del Sud, vicino all’Equatore.

Italia, Francia, Regno Unito, Finlandia, Spagna, Germania, Stati Uniti, Olanda, Svizzera, Norvegia, Svezia e Danimarca sono i Paesi che hanno formato un consorzio di scienziati e istituti di ricerca per contribuire al progetto.

Forse è ancora presto per dirlo, ma per tentare di spiegare le tre anomalie osservate – alcuni segnali dello spettro che non corrispondo alle previsioni, una zona fredda del cosmo molto più vasta di quello che si credeva e uno scarto inatteso tra le temperature medie nei due emisferi del cielo – potrebbe un domani servire una nuova fisica.

GUARDA I VIDEO

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=M2CWaLU6eMI

http://www.youtube.com/watch?v=L3CRT8qRwrA&feature=player_embedded

Fonte:www.huffingtonpost.it



Il 5 e il 6 gennaio si scopre la storia dei mezzi volanti mentre il 26 e 27 si viaggia nello ‘spazio’ con i volontari Amici di Volandia

Gennaio intenso al Parco e Museo del Volo, fino al 6 Volandia resta aperto tutti i giorni con orario continuato 10.00/18.00 e programma animazioni per imparare e divertirsi insieme a tutta la famiglia: si comincia sabato 5 (dalle ore 15.30) con l’incontro di circa 1 ora per andare alla scoperta de ‘La storia dell’aereo’ e domenica 6 gennaio (dalle 15.30 alle 16.30) ‘La storia dell’elicottero’. Due appuntamenti semplici e affascinanti, adatti ai bambini dai 5 agli 8 anni, per capire i segreti di questi mezzi volanti.
Dal cielo si passa allo spazio, sabato 26 e domenica 27 gennaio, in due incontri da 30 minuti circa ciascuno (alle 15.00 e alle 16.00) lezione breve ‘Alla scoperta dello spazio: la volta celeste e il sistema solare’. All’interno del planetario del Parco e Museo si impara a conoscere la sfera celeste, i pianeti, le loro caratteristiche e tutto ciò che compone il sistema planetario. Ai partecipanti, dai 5 anni, verrà consegnato un diploma dedicato! I posti disponibili nel planetario sono limitati (max 20 posti x turno).
A seguito delle ‘lezioni spaziali’ si può proseguire la visita nei 1.600 mq di allestimento dedicati al tema. Numerosi gli spunti e le curiosità tra cui il diorama del suolo lunare e marziano, 4 Satelliti, 2 sonde spaziali, 1 sala 3d, 1 ologramma dello Space Shuttle, 2 repliche della tuta spaziale indossata sull’Apollo 11 e la riproduzione fotografica degli interni di un modulo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) in scala 1:1.
“Volandia è gioco, divertimento, svago ma anche e soprattutto storia e cultura” – spiega Francesco Reale direttore del Parco e Museo del Volo – “con queste iniziative riprendiamo il nuovo anno per avvicinare bambini e ragazzi a Volandia e accompagnarli verso quello che potrebbe essere, anche, il loro futuro…”.
Infine, dopo aerei, elicotteri e spazio, non può mancare la tappa al VStore che, in occasione dei saldi di stagione, a gennaio propone merce selezionata e dedicata la mondo del volo con interessanti sconti!
Si ricorda che il Parco e Museo del Volo, dall’11 gennaio al 15 febbraio resta aperto solo nei fine settimana (sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00).

INFOLINE 0331 230007 – www.volandia.it

3/01/2013

Fonte: http://www3.varesenews.it


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