Navi e nuovi missili Mosca puntella il regime di Assad

Una flotta verso Tartus.
Usa e Israele preoccupati
Più difficile l’intervento
anche la Turchia ora frena.

 

di Francesca Paci

Roma

In Siria è l’ora della Russia. La recente processione di leader mondiali al Cremlino – dal premier israeliano Netanyahu al segretario di stato Usa Kerry, dal primo ministro britannico Cameron a Mr Onu Ban Ki-moon – illustra meglio di qualsiasi analisi il nuovo ruolo di Mosca che, dopo aver scongiurato il bis della marginalizzazione seguita all’intervento in Libia, si gode la rivincita dialogando da un lato e dall’altro mostrando i muscoli.  

La Casa Bianca, restia a impelagarsi in quella Siria che a detta del think tank Pew la metà degli americani non sa dove sia, ha puntato sulla Russia per il successo della conferenza di pace «Ginevra 2» nonostante i musi lunghi di Israele e dei paesi sunniti del Golfo (più interventisti). Ma Obama non deve aver gradito lo scoop del «New York Times» secondo cui uno degli ultimi carichi di armi diretti da Mosca a Damasco conteneva un’avanzatissima versione di missili Yakhnot con un sistema radar capace di neutralizzare tanto un blocco navale quanto l’ipotetica no fly zone imposta da una forza internazionale (diversamente dagli Scud usati contro i ribelli, gli Yakhnot sono mobili e molto difficili da attaccare). Solo pochi giorni fa Netanyahu aveva invano chiesto a Putin di non inviare ad Assad gli assai meno potenti missili terra-aria S-200.  

Da mesi, approfittando dello stallo di una guerra che nessuno sa vincere (nonostante i 3 miliardi di dollari versati dal Qatar all’opposizione), Mosca si rafforza nella regione. A gennaio ha effettuato una mega esercitazione nei mari Nero e Mediterraneo con due dozzine di navi militari. A febbraio ne ha dispiegate 4 al largo della costa siriana: oggi, sostiene il «Wall Street Journal», ne tiene 12 davanti alla base di Tartus. 

Sebbene il ministro degli esteri Lavrov ripeta che la Russia non farà «accordi segreti sulla Siria in cambio di concessioni occidentali», il Cremlino sembra meno rigido del passato. Sul cambio di regime, per dire, frena gli americani ma non pare più tanto affezionato ad Assad. Come «conditio sine qua non» per esserci, Mosca pone invece l’apertura di «Ginevra 2» a Riad ma soprattutto a Teheran scontrandosi su questo con la Francia (ostile a includere l’Iran). 

La Siria è diventato un buco nero che dopo aver inghiottito almeno 90 mila vittime, 1,5 milioni di profughi, danni per 80 miliardi di dollari, sta tirando dentro i paesi confinanti e oltre. La Turchia, partita alla grande a fianco dei ribelli, rallenta il passo, consapevole che senza il sostegno Usa potrebbe essere il grande perdente della crisi siriana. Così, di fronte al rischio di perdere la leggendaria stabilità che in passato le ha garantito una crescita del 7,5%, Ankara «accetta» la Russia, unica potenza regionale con un’economia e un esercito superiori (l’alternativa sarebbe una zona cuscinetto al confine turco). Inoltre, nota l’esperto Soner Cagaptay, un’escalation dissolverebbe i sogni presidenziali di Erdogan.  

Poi c’è Israele, per cui gli Yakhont sono il primo serio sforzo siriano di sfidare la propria marina dalla guerra dal 1973. La tentazione di far da sé, come con i bombardamenti di aprile per evitare il passaggio di armi a Hezbollah, c’è, lo prova il video di Fox News con il commando israeliano di ritorno nel Golan dopo una missione in Siria. Ma in un blitz a Gerusalemme il direttore della Cia Brennan ha insistito per il rispetto della linea americana.  

Il tempo di agire è ora. Perché Assad, rinvigorito dai missili russi e dalla riconquista di postazioni importanti come l’arteria di Khirbet Ghazaleh che controlla le armi inviate ai ribelli dalla Giordania, si mostra più sicuro (anche la moglie Asma è ricomparsa su Facebook). Perché l’opposizione è sempre più divisa e tra i combattenti guadagna terreno la frangia irachena di Al Qaeda, quella ancora più estremista di Al Nusra. Perché Human Rights Watch documenta la tortura sistematica del regime a Raqqa. Per i morti, i rifugiati, i dispersi. Perché la guerra siriana ormai riguarda il mondo.

Fonte:www.lastampa.it

PIERGIORGIO GOLDONI

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